Un secolo è passato dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il conflitto che in Europa ha prodotto almeno 16 milioni di morti tra militari e civili (e nei mesi successivi l’influenza “spagnola” ne aggiunge quasi il doppio…). Un evento che ha ridisegnato confini tra Europa e Medioriente, una tragedia che si può solo ricordare, senza festeggiamenti per i vincitori e tanto meno la retorica che l’ha accompagnata a partire dal Ventennio fascista e che, nelle scorse settimane, sembra tornata in concomitanza con la proposta del neocancelliere austriaco Sebastian Kurz di concedere la doppia cittadinanza ai sudtirolesi che la richiedano.
Le dichiarazioni a livello italiano – politici nazionali e autorevoli commenti sui media – hanno mostrato troppo spesso la pressoché totale mancanza di conoscenza della questione dell’autonomia del Trentino-Alto Adige (che non dimentichiamo è sancita dal Titolo V della Costituzione della Repubblica che, all’art. 116, recita: «Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano»).
A più riprese, infatti – non importa se da destra o da sinistra –, viene messa in discussione l’autonomia trentina o sudtirolese, mentre non suscita alcuna rimostranza l’autonomia delle due maggiori Isole italiane e men che meno della Valle d’Aosta o del Friuli.
E dire che le ragioni storiche ne costituiscono più che solide fondamenta. Proviamo solo a ripercorrere brevemente un secolo di eventi.
Una annessione difficile
Il Trattato di Saint Germain del settembre 1919 attribuì all’Italia il territorio tirolese a sud del Brennero che venne annesso al Regno d’Italia il 10 ottobre 1920. Il Re Vittorio Emanuele III, nel discorso della corona del 1° dicembre 1919, dichiarò il pieno rispetto delle autonomie locali e delle tradizioni, ma le cose andarono ben diversamente a causa dell’opposizione e dell’intolleranza di gruppi nazionalistici guidati da Ettore Tolomei.
Già nell’aprile 1921 si ebbe la prima aggressione di stampo fascista a Bolzano dove una squadriglia assalì un corteo in costume uccidendo Franz Innerhofer, maestro elementare a Marlengo (nessun processo venne mai celebrato). Il 2 ottobre 1922 la cosiddetta “marcia su Bolzano” (26 giorni prima di quella su Roma) per deporre il sindaco democraticamente eletto, Julius Perathoner.
Il 1° gennaio del 1923 l’Alto Adige (il nuovo nome italiano del tutto inventato del Sudtirolo), insieme al Trentino, fu incorporato nella Venezia Tridentina (altro nome del tutto inventato in quanto la Serenissima era arrivata, e per poco, solo a Rovereto… e da lì si cominciò a parlare di Triveneto, termine mai accettato né in Trentino, né in Sudtirolo) e il prefetto di Trento ebbe l’ordine di attuare il programma del premier Mussolini che prevedeva la completa italianizzazione del territorio sudtirolese con massicci insediamenti italiani, la snaturalizzazione dei sudtirolesi e il loro progressivo allontanamento dalla propria terra.
Nelle scuole della Provincia fu proibito l’insegnamento della lingua tedesca, tutti i dipendenti pubblici vennero licenziati, furono proibite tutte le federazioni, i sindacati tedeschi, le associazioni, la lingua italiana divenne l’unica lingua ufficiale e tutto ciò che era “tedesco” completamente bandito.
Il 15 luglio 1923, a Bolzano, Ettore Tolomei rese pubblico il suo programma di assimilazione e italianizzazione del territorio con la “rieducazione politica-culturale” degli abitanti di lingua tedesca (in stragrande maggioranza!) Tra l’altro la proibizione del nome Tirolo, l’italianizzazione dei cognomi, lapidi funerarie esclusivamente in lingua italiana; censure e proibizioni di pubblicazione di giornali tedeschi, fondazione del giornale “Alpenzeitung” di ispirazione fascista, l’eliminazione di istituti di credito locali, insediamento di un podestà nominato da Roma, l’insediamento di segretari comunali italiani, il rafforzamento dei contingenti dei carabinieri e l’insediamento di numerose caserme delle Forze Armate per presidiare la linea di confine.
L’italianizzazione forzata non risparmiò neppure la scuola per far leva sulle giovani generazioni: vennero istituiti asili infantili e scuole italiane, dall’anno scolastico 1923-1924 l’italiano divenne l’unica lingua d’insegnamento (nel 1928 presso diverse parrocchie vennero aperte scuole clandestine dove s’insegnava religione nella madrelingua tedesca…). Venne altresì cambiata tutta la toponomastica vigente da secoli con l’introduzione di nomi italiani del tutto inventati (e troppo spesso fantasiosi) allo scopo di sradicare completamente ogni “residuo del passato”.
Ma il progetto romano faceva acqua da ogni parte e, nel 1935, Mussolini avviò una massiccia opera di immigrazione italiana nella regione favorendo le grandi industrie lombarde e piemontesi per aprire filiali a Bolzano: nacquero così gli stabilimenti Lancia di Torino, le Acciaierie di Milano e altre industrie che attirarono a Bolzano centinaia di famiglie italiane che s’insediarono in tutto il Sudtirolo trovando occupazione mentre era proibita l’assunzione di lavoratori sudtirolesi.
La tragedia dei totalitarismi
L’11 marzo del 1938 Hitler promulga l’“Anschluss”, l’annessione dell’Austria al nuovo Reich tedesco e il 23 giugno del 1939 viene firmato a Berlino l’accordo tra Italia e Germania riguardante il trasferimento dei Sudtirolesi nel Reich: “libera” possibilità di optare entro il 31 dicembre ’39 se rimanere nell’Italia fascista con l’obbligo di essere fedeli al Duce o espatriare nella Germania nazista. La popolazione sudtirolese si divise in due: i “Dableiber” (restare nella propria casa) e gli “Optanti”. Alla scadenza del termine, 166.488 altoatesini avevano optato per passare il confine, mentre 63.017 erano quanti avevano dichiarato l’intenzione di rimanere nella loro terra nonostante gravi manifestazioni di ostilità e intolleranza.
Dopo l’armistizio del 1943 che sembrava chiudere la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi occuparono militarmente tutto il Sudtirolo, senza scontri di rilievo. Il comandante supremo Franz Hofer, si adoperò immediatamente per gettare le premesse dell’annessione del territorio al Reich e modificare di nuovo la toponomastica per allontanare il ricordo del Regime di Mussolini.
Ebbe inizio, questa volta, un’azione di germanizzazione di ritorno: nomina di autorità tedesche, introduzione del bilinguismo, pubblicazione di giornali tedeschi e tedeschi erano gli agenti della polizia locale. Ripresero vita tutte le tradizioni e le manifestazioni folkloristiche che erano state proibite dai fascisti.
Al termine della Guerra, come per il resto del Paese, fu solo la lungimiranza politica e la grandezza di uno statista come il trentino Alcide De Gasperi, già deputato a Vienna e poi a Roma, a ricomporre le fratture e a guarire le ferite che bruciavano da entrambe le parti.
La lungimiranza politica di Alcide De Gasperi
Nato a Pieve Tesino (TN) nel 1881, allora Tirolo meridionale, laureato in filologia a Vienna, consigliere comunale a Trento nel 1909, due anni più tardi è il più giovane deputato al Parlamento dell’Impero. Mai irredentista, anzi convinto sostenitore della neutralità italiana, nel corso della Grande Guerra diventa delegato al Comitato d’assistenza profughi. Dopo l’annessione all’Italia, è tra i fondatori del Partito Popolare Italiano e, nel 1921, viene eletto deputato a Roma. Antifascista convinto e imprigionato tra il 1927 e il 1929 prima di trovare asilo in Vaticano, fu uno dei protagonisti della ricostruzione europea, e italiana, tra il Piano Marshall e il Piano Schumann e tra i fondatori della Democrazia Cristiana.
Presidente del Consiglio dal 1945 e, a più riprese, fino al 1953, lavora a stretto contatto con Adenauer e Schuman per la costituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) da cui deriverà l’Unione Europea.
Solo De Gasperi (morto nel 1954) profondamente legato alla sua terra e soprattutto allo spirito dei padri, poteva comprendere il senso di patria che legava i suoi concittadini entrati a far parte del Land Tirolo solo nel 1803, ma di fatto autonomi da sempre, come amava ricordare uno storico come mons. Iginio Rogger. «È nelle piccole comunità di valle che si incontra il primo senso di patria dei Trentini: sono comunità fiscali, che provvedono al loro interno alla distribuzione degli oneri per fronteggiare in solido gli obblighi verso l’autorità superiore, sono comunità di sussistenza che si alimentano di solidarietà, di un regime parsimonioso e un’attenzione appassionata alle vicissitudini della cosa pubblica anche se caratterizzate da un atteggiamento piuttosto diffidente con cui vengono guardati i “foresti”…».
La firma dell’Accordo De Gasperi-Gruber, il 5 settembre 1946, ratificato dall’Assemblea Costituente il 29 gennaio 1948, rendeva effettiva, con garanzia bilaterale e internazionale, l’autonomia di cui il Sudtirolo, insieme al resto del Tirolo, godeva già nell’Impero d’Austria-Ungheria con le più ampie garanzie per la minoranza italiana nella provincia di Bolzano.
«Io che sono un autonomista convinto e che ho patrocinato la tendenza autonomista, permettete che vi dica che le autonomie si salveranno, matureranno, resisteranno, solo ad una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quanto riguarda le spese – dichiarava De Gasperi ai suoi colleghi romani –. Non facciamo concorrenza allo Stato per non spendere molto, ma facciamo in modo di creare una amministrazione più forte e che costi meno. Solo così le autonomie si salveranno ovunque, perché se un’autonomia dovesse sussistere a spese dello Stato questa autonomia sarà apparente per qualche tempo e non durerà per un lungo periodo. Solo in questa prospettiva non c’è alcun pericolo di creare in Italia una serie di repubblichette che disgregherebbero la Repubblica Italiana».
L’autonomia oggi
Il resto è storia troppo recente per descriverla con il necessario distacco: certo è che l’autonomia di Trento e Bolzano ha avuto figure illustri che hanno saputo coniugarla al meglio del loro tempo. Parliamo di Tullio Odorizzi, Silvius Magnago, Enrico Pruner, Giorgio Grigolli, Bruno Kessler, Flavio Mengoni, Luis Durnwalder, Lorenzo Dellai, Alberto Pacher e oggi Ugo Rossi e Arno Kompatscher… uomini politici che hanno reso possibile una convivenza tra la popolazione trentina e quella tirolese facendo leva sul tanto che unisce rispetto a ciò che potrebbe essere motivo di divisione.
Il forte impulso dato alla ricerca della storia locale e all’educazione delle giovani generazioni – oggi la scuola è trilingue perché, oltre all’italiano e al tedesco, la conoscenza dell’inglese è più che mai indispensabile – rende possibile comprendere a fondo le motivazioni di un’autonomia che deve guardare al futuro mantenendo salde le proprie radici.
La questione dell’accoglienza migranti, attivata congiuntamente fra le due province (e le due diocesi, le uniche in Italia ad aver attuato i dettami del Concilio di comprendere esattamente il territorio civile…) è una prova di cosa significhi il lavoro congiunto.
E così pure l’istituzione, con il placet dell’Unione Europea, dell’Euregio, la regione transfrontaliera che comprende il Tirolo austriaco, il Sudtirolo e il Trentino, con una serie di competenze proprie, di collaborazioni in campo culturale, scolastico, sportivo e molto altro, che contribuisce a rinsaldare legami mai spezzati nonostante l’istituzione di un confine al Brennero, poi abolito dal Trattato di Schengen.
Ma non è tutto roseo il presente in quanto le spinte disgregatrici sono sempre attive: movimenti populisti uniti alla forte azione della destra italiana in Sudtirolo, ma non solo, sembrano voler riportare indietro le lancette dell’orologio, tanto che la convivenza è spesso messa a rischio.
Il problema della toponomastica (con legge provinciale si intende riprendere i nomi di luoghi e paesi in vigore da secoli fino a Tolomei, come la “Vetta d’Italia”, pura invenzione che cancellava il locale “Glockenkarkopf” o “Nova Levante” comune della Val d’Ega che, in locale, recitava da sempre “Welschnofen”) si associa a tutte le competenze che pian piano da Roma sono passate in sede locale, dalla gestione strade e territorio alla sanità, alla scuola, (ma ci si immagina strade di montagna che dovrebbero attendere l’ANAS per sgombero neve o paramassi antifrana? Tutto fa capo ai Comuni e al tanto volontariato dei cittadini…).
Evasione fiscale ai minimi italiani e gestione oculata delle risorse (nel Comune di Trento una raccolta differenziata che supera l’80%…) non sempre sono sufficienti ad una valutazione positiva da parte dei nostri connazionali.
La questione della doppia cittadinanza
Opposti estremismi si fronteggiano oggi in Sudtirolo, dove la destra italiana ha ripreso forza da circa 25 anni, ed è solo dell’autunno scorso, in piena campagna elettorale austriaca, che 19 consiglieri su 35 della Provincia autonoma di Bolzano inviano formale richiesta al Parlamento di Vienna per vagliare la possibilità di concedere il passaporto austriaco da associare a quello italiano a chi ne farà richiesta. La lettera viene inoltrata al neo premier Kurz e al suo alleato di governo Strache che aveva inserito il tema tra gli impegni elettorali del suo partito nazionalista.
La lettera, sottoscritta da 7 consiglieri di maggioranza della Südtiroler Volkspartei (Svp) e da 12 consiglieri delle opposizioni, tra cui gli indipendentisti dei Die Freiheitlichen e il Movimento 5 Stelle, non è caduta nel vuoto, perché ad essi si sono aggiunti, con un’altra lettera, politici ed ex politici di peso, come lo storico ex presidente della provincia Durnwalder, che si dice «finalmente più ottimista. Noi siamo una minoranza austriaca, non c’è niente da fare», nonostante la sua idea, come testimonia la sua azione di governo, sia assai lontana da spinte di «secessione dall’Italia».
L’intenzione iniziale dei politici, in particolare di matrice Svp, si richiama essenzialmente ai valori europei di un’Europa dei popoli più che delle nazioni; diversa la posizione dei Freihetlichen, da sempre ostili a quella che definiscono l’“invasione italiana”. «Basta guardare le nostre città – ricorda l’ex parlamentare Svp Siegfried Brugger –, sono ben più simili alle città medievali ungheresi o cecoslovacche che a quelle del centro Italia, questo nessuno lo può negare».
Le reazioni sono cominciate in sordina per farsi sempre più forti quando il cancelliere Kurz ha dato una prima risposta riguardo alla missiva.
«Sarebbe una mossa non distensiva» ha commentato a caldo il presidente dell’Europarlamento Tajani.
Attendista la posizione del governo nazionale. «Sdoganare la cittadinanza su base etnica – scriveva però su Facebook il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova – avrebbe effetti gravissimi, ad esempio in tutti i Balcani, minando la convivenza nei Paesi, anche nell’UE, caratterizzati dalla presenza di cittadini di molteplici culture».
Se la portavoce di Forza Italia, Micaela Biancofiore, stronca sul nascere (e così pure Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia), nessun timore per Matteo Salvini: «Strache non è assolutamente estremista. Se controllare i confini è estremista, allora sono estremista anch’io. Io vedo un partito che difende l’interesse nazionale austriaco e io, come Lega, lo voglio fare non solo in Lombardia e Veneto, ma anche in Puglia o in Campania».
Le dichiarazioni di Kurz a Bruxelles …
Le acque si calmano con la visita di Kurz a Bruxelles e le sue rassicurazioni circa la cooperazione fra Roma e Vienna anche in merito alla questione sul tappeto. E il vice cancelliere Heinz Christian Strache (FPÖ) ribadiva: «Per noi era importante inserire nel programma di governo il desiderio dei sudtirolesi, come riportatoci da tutti i partiti politici del Sudtirolo, riguardo una futura possibile doppia cittadinanza; e noi cercheremo di realizzarlo, dialogando in piena amicizia con il nostro vicino, l’Italia. L’Italia stessa ha una buona legge, milioni di italiani che non vivono in Italia hanno la doppia cittadinanza, comprese ovviamente quelle minoranze italiane che vivono in Croazia e in Slovenia. Proprio per questa positiva unitarietà all’interno della Comunità Europea, non ci potranno essere e non ci saranno praticamente problemi a portare a realizzazione questo intento, nell’interesse di tutte le parti, con le stesse modalità con cui già operano altri stati, fra cui appunto il nostro vicino, l’Italia».
Rassicurante la dichiarazione dell’ex presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, oggi deputato a Roma, che riprende una proposta già presentata qualche anno fa: una cittadinanza “italo-austriaca” sperimentale per i cittadini residenti nei territori dell’Euregio (Trento, Bolzano e Innsbruck) indipendentemente dalla loro appartenenza linguistica e culturale.
Un commento trentino postato su FB: «Ormai sono anni che Innsbruck, Bolzano e Trento collaborano insieme come secoli fa su molti temi, temi che non possono essere affrontati in modo slegato ma solamente portando da ognuno qualcosa di buono da mettere a fattor comune. Questo segnale però ci dimostra che nei ricordi della gente trentina sono rimasti i buoni ricordi che fece l’impero asburgico alla nostra terra come la diffusione dell’istruzione obbligatoria, lo sviluppo del catasto, chiare regole, sicurezza tra le comunità, rispetto delle lingue della nostra regione, di un primo sviluppo sul territorio del sistema turistico e dei trasporti su rotaia. Non è vero – come dicono alcuni – che da noi non si sviluppava, i territori alpini a quel tempo avevano difficoltà e povertà non paragonabili alla pianura…».
Diversi i commenti dal mondo delle altre regioni italiane, dovuti perlopiù ad una non conoscenza delle ragioni storiche.
Fra gli interessati c’è chi frena: non tanto per la proposta, che veniva da tempo rimessa in gioco, quanto piuttosto l’aria (di destra) che attualmente tira a Vienna… Il presidente Kompatscher è assai prudente e, mentre a Vienna si è già insediata un’apposita commissione di studio, sta confrontandosi con il suo collega di Innsbruck, Günther Platter, Landeshauptmann del Tirolo, in vista degli incontri che avranno nella capitale in occasione dei prossimi festeggiamenti di governo.
E, in queste settimane, esiste un ulteriore motivo di incomprensione con il governo a Roma, che ha messo in discussione una decisione maturata in seno a due comunità della valle di Fassa dove lo scorso anno, con referendum indetto a norma provinciale come per altri comuni un po’ il tutto il Trentino (per ridurre spese, uffici e burocrazia), gli abitanti dei due comuni di Pozza e Vigo di Fassa avevano optato per la fusione delle due amministrazioni con la costituzione di un Comune nuovo.
Il problema è il nome scelto autonomamente, sempre a norma provinciale: “Sén Jan”, il nome della storica Pieve di Fassa, posta a metà strada tra i due comuni oggi sede decanale, che nei secoli si estendeva fino a comprendere Cortina d’Ampezzo. Il nome è ladino, come ladini sono gli abitanti di Fassa, minoranza linguistica tutelata per legge che prevede l’utilizzo della lingua madre nei luoghi di lavoro, l’insegnamento a scuola ecc. «Il nome deve essere italiano» – dicono a Roma –, ma «quale sarebbe il nome italiano di località come Courmaieur, Gressoney, La Thuile e via dicendo?» ribattono tra Fassa e Trento. Davvero la questione del Sudtirolo ha una storia che, in Valle d’Aosta o altrove in Italia, non hanno mai conosciuto…
… e le parole del vescovo Muser
Non mancano due dichiarazioni, quasi un inciso, del vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser. Nel Messaggio natalizio: «In questa festa di Natale chiedo come cittadino, cristiano e vescovo che la discussione in merito alla doppia cittadinanza non divida la nostra società, non apra antiche ferite e pregiudizi e crei un clima politico e umano avvelenato che speravamo di avere superato. Costruiamo insieme la nostra società e non lasciamoci separare».
E all’omelia del giorno di Natale tornava sull’argomento: «Natale, la festa del nostro Dio che si assume la nostra umanità, ci invita. Impegniamoci che la nostra società rimanga umana. Il senso per il bene comune deve prendere il posto dell’egoismo e della pretesa. Bisogna saper parlare in modo responsabile; il linguaggio populista non solo si nutre delle preoccupazioni della gente, ma serve spesso ad alimentare rancori e paure. In molti anni di “casa comune” qui in Alto Adige abbiamo imparato a considerare le diversità linguistiche e culturali come un patrimonio di tutti, da tutelare insieme. La comunità cristiana per prima, in questo campo, è stata ed è un laboratorio per tutta la società. La cittadinanza a cui tutti aspiriamo è quella di un’Europa solidale, al servizio dei diritti umani, capace di abbattere le frontiere interne e esterne, i confini politici e i confini mentali. È poco serio, anacronistico e pericoloso nelle sue conseguenze, minare per interessi particolari questa Europa, che dev’essere per tutto il pianeta un progetto di pace. Il mio augurio natalizio rivolgo a tutti voi con il motto episcopale del nostro vescovo Karl Golser che proprio oggi un anno fa è passato da questo mondo alla casa definitiva del Padre: “Cristo è la nostra pace”. Pace nei cuori, nelle nostre case, tra le culture e le religioni, tra i gruppi linguistici della nostra provincia, tra i vicini e i lontani, tra i compaesani e gli extracomunitari, pace con la creazione, pace con Dio».