Una settimana fa a Reykjavik, in Islanda, la consacrazione di una cappella temporanea dedicata a san Nicola taumaturgo collocata nel luogo dove, nei prossimi mesi, verrà edificata la prima chiesa ortodossa dell’isola nordica.
Alla liturgia di consacrazione della Croce, celebrata da Timothy Zolotousky del patriarcato di Mosca, hanno partecipato diversi rappresentanti della comunità ortodossa e l’ambasciatore russo in Islanda, Anton Vasiliev, convinto sostenitore, anche a livello finanziario, del progetto cui ha fattivamente contribuito tutta la comunità ortodossa islandese (circa 600 fedeli).
Un segnale positivo
Il progetto della costruzione di un luogo di culto ortodosso in Islanda, con annesso centro culturale, risale al 2011. In questi anni si è dato avvio al bando di progettazione e al reperimento dei fondi e, mercoledì 10 gennaio, si è aperto ufficialmente il cantiere con la consacrazione della cappella temporanea. L’area scelta per la costruzione è collocata nel centro della capitale islandese, nei pressi del porto e quindi facilmente raggiungibile da chi vi arriva via nave o battello.
Il 14 ottobre scorso la parrocchia russo-ortodossa di San Nicola taumaturgo aveva ricevuto ha ricevuto la visita del patriarca ecumenico Bartolomeo I che era stato accolto dall’arciprete Zolotousky: il patriarca di Costantinopoli aveva portato in dono una croce pettorale e un turibolo d’argento.
In Islanda sono presenti anche una comunità rumena e una comunità serba, ma quella ortodossa è la prima che potrà avere un proprio luogo ufficiale di culto.
Nonostante i legittimi interrogativi, che vanno dalle relazioni reciproche all’interno della Chiesa ortodossa fino ai tanti segnali che mostrano, come sanno bene le Repubbliche baltiche, ma anche i Paesi scandinavi, un’escalation di attività di carattere espansionistico a livello politico da parte del governo di Mosca, l’edificazione di una nuova chiesa cristiana alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità non può che essere salutata positivamente.
La comunità cattolica
Per quanto riguarda invece la comunità cattolica l’Islanda, rientra nella Chiesa Nordica che comprende – unico caso in Europa – ben 5 Chiese locali e precisamente Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e, appunto, Islanda, la cui conferenza episcopale è attualmente guidata da Czeslaw Kozon, vescovo di Copenhagen (segretaria generale suor Anna Mirijam Kaschner).
Si tratta di una comunità profondamente segnata dalla secolarizzazione, ma caratterizzata da un’intensa attività di dialogo ecumenico, come riconosciuto anche da papa Francesco in occasione della sua visita a Lund nell’ottobre scorso per fare memoria dei 500 anni dalla Riforma di Lutero.
Un autentico spirito ecumenico viene testimoniato da anni dal vescovo di Stoccolma, il cardinale Anders Arborelius, religioso carmelitano, per 11 anni (dal 2005 al 2015) presidente della Conferenza episcopale nordica. Primo presule cattolico di Svezia dai tempi della Riforma, mons. Arborelius, dal Concistoro 2017, è anche il primo cardinale di quelle terre (e per questo, a dicembre, è stato insignito del titolo di “Svedese dell’Anno”).
La Chiesa cattolica Nordica, in stretto contatto con i fratelli luterani (che, dal 2012, hanno eletto il primo vescovo donna della storia d’Islanda, Agnes M. Sigurðardóttir), si caratterizza oggi per la capacità di leggere i segni dei tempi: i profondi cambiamenti sociali in atto negli ultimi anni (la crisi economica e morale diffusa, la situazione giovanile…) e il flusso migratorio in crescita sono stati assunti come ineludibile priorità pastorale per promuovere comportamenti di accoglienza e progetti di integrazione.
Oggi le società nordiche sono multietniche e pluraliste, anche se non esenti da frange xenofobe e populiste come nel resto d’Europa: tra quanti bussano alle loro porte molti provengono dal Medioriente o dai Paesi dell’Est europeo: «I cattolici orientali sono una grande ricchezza per il nostro Paese» dichiarava Arborelius in qualità di presidente della Conferenza episcopale, nel 2011 e, scherzando, aggiungeva: «Direi che nella nostra Chiesa non abbiamo tanti problemi tra progressisti e tradizionalisti, ma abbiamo problemi di spazio: le nostre Chiese stanno diventando troppo piccole per celebrare con tanti fedeli cui non siamo abituati…».
“Aleppo Kebab”
Un segnale significativo del cambiamento aveva ottenuto nel marzo scorso l’onore della prima pagina sui media islandesi: ad Akureyri, una cittadina di 18 mila abitanti nella parte più settentrionale dell’Isola, alcuni rifugiati siriani avevano aperto in pieno centro città, nella via pedonale dello shopping, il primo locale – “Aleppo Kebab” –, dove viene servito cibo mediorientale. Il menù è molto vario e comprende, oltre al kebab, altre specialità tradizionali di Siria e Turchia, quali falafel, shawarma e baklava. Il logo del locale raffigura le antiche mura della città di Aleppo distrutte dalla guerra in corso e, in poche ore, la pagina Facebook del locale aveva ricevuto 1.850 like.
«Non abbiamo alcuna esperienza nella gestione di un ristorante – dichiarava alla radio locale Khattab che ad Aleppo era insegnante di inglese in una scuola superiore –, ma tutti noi sappiamo bene come si cucinano i piatti della nostra terra». Lui, come tutte le famiglie impegnate nell’attività che noi definiremmo cooperativa, non mancavano di ringraziare quanti, in sede locale, hanno fornito loro tutto l’aiuto necessario per reperire la struttura da adibire a ristorante e cucina, ottenere le licenze e quant’altro.
Un bell’esempio dell’accoglienza nordica, che riscalda il cuore e fa riflettere anche noi.