Due immagini plastiche: un poliedro (solido geometrico a più facce) e una piramide rovesciata servono al teologo francese Ghislain Lafont per tratteggiare la Chiesa al tempo di papa Francesco.
È innegabile, da parte di singoli e di gruppi, un’azione di resistenza nei confronti dello stile e del messaggio dell’attuale pontefice. Il monaco benedettino autore di questo libro (curato, per l’edizione italiana, da Francesco Strazzari) intende mostrare con saggezza e acume teologico che «se si vuole che la Chiesa vada avanti… non si devono voltare le spalle a papa Francesco» (p. 44).
Perché Lafont ha scelto la figura del poliedro? Perché «il poliedro permette e provoca il dialogo», mentre «la linea retta fa dei cadaveri sul ciglio della strada» e «il cerchio chiude la vita» (p. 55). Il poliedro, avendo più facce, permette di guardare la Verità e le verità della fede, da più versanti. La faccia che papa Francesco ha voluto particolarmente illuminare è quella della misericordia. Un’insistenza ingenua? Confessa Lafont: «Da lungo tempo avevo percepito che il cambiamento più profondo operato dalla Chiesa in questi ultimi decenni era quello di fare dell’amore e non della verità la pietra miliare della costruzione cristiana». Questo «amore in eccesso», che si chiama misericordia, non è – come molti pensano – un omaggio «al soggettivismo, al relativismo, al lasciar correre», non si tratta di «una compassione sdolcinata, di un’amnistia a buon mercato». Rimane vero che, «senza verità, l’amore misericordioso rischierebbe di restare un sentimento debole».
«La misericordia – scrive Lafont – è la possibilità donata ad ogni uomo di riprendere in ogni momento il cammino di Cristo» (p. 39) ed è un annuncio necessario «in un mondo come il nostro, in cui il male e la sofferenza hanno assunto proporzioni distruttive drammatiche» (p. 44).
Non sempre tutto è chiaro. Per questo papa Francesco ripropone incessantemente la necessità del discernimento, dal momento che «non tutte le cose sono mature nello stesso momento e in ogni luogo. Spetta alla responsabilità, che cerca la verità, di rischiare nell’amore la sua decisione».
L’altra immagine adottata da Lafont è quella della piramide rovesciata. «Non è stato papa Francesco a rovesciare la piramide, ma piuttosto il concilio Vaticano II», quando ha parlato della Chiesa privilegiando l’immagine del “popolo di Dio” (p. 81). La scelta coraggiosa del concilio di descrivere la Chiesa non a partire dalla gerarchia, bensì dal «primato della base», riposiziona tutti i carismi e le funzioni in ordine all’edificazione e alla santificazione di questo popolo. Ma anche a farne un soggetto attivo e partecipe.
Un’applicazione evidente di rovesciamento della piramide, l’abbiamo avuta nell’ultimo sinodo. Scrive Lafont: «la realizzazione dei sinodi organizzati dall’alto è stata alla fine piuttosto deludente» (p. 82). Se si vuole ottenere un risultato migliore, in sinodo non vanno convocati solo i vescovi ma l’intera Chiesa. «Il sinodo dei vescovi viene dopo ed esamina con libertà la consultazione della Chiesa» (p. 82).
Se, per applicare la misericordia, il papa aveva parlato di discernimento, qui la parola chiave proposta dal pontefice è sinodalità.
L’ultima parte del libro, intitolata “Alcune aperture”, affronta temi teologicamente impegnativi, di frontiera, come il rapporto tra carismi specifici e autorità sui sacramenti, il carisma di autorità in uomini sposati, la misericordia applicata al versante ecumenico, il pensare la Chiesa in modo democratico…
Il volume si intitola “Piccolo saggio”. È davvero piccolo, ma prezioso. Scritto in maniera piana, è facilmente accessibile a quanti vogliono gustare una riflessione teologica attuale. La capacità di sintesi dell’autore riassume in poche battute temi ampiamente dibattuti lungo la storia della Chiesa, facendoci apprezzare la novità del “tempo di papa Francesco”.
Ghislain Lafont, Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco, Ed. italiana a cura di Francesco Strazzari, EDB, Bologna 2017, pp. 112, € 12,80. 9788810409978
Il problema è come vivere l’essere minoranza, cioè l’accettazione dell’essere minoranza ha due risvolti. Ciascuna comunità dovrà decidere se asserragliarsi in fortezze con pochi preti e fedeli che seguono la dottrina tradizionale o se essere comunità umili, aperte, accoglienti soprattutto agli esclusi, misericordiose e sinodali, dando spazio in maniera significativa alle donne. La Chiesa, se vuole rimanere unita, dovrà accettare che queste differenze di prassi, dottrinali e anche disciplinari convivano sotto lo stesso tetto. Se la Chiesa ci riuscirà, cosa che non è riuscita in passato, sarà un segno profetico per il mondo.