Le posizioni restano divergenti. E lo si era visto anche all’incontro di Heiligenkreuz a metà febbraio tra una delegazione COMECE e i patriarchi orientali: i vescovi europei impegnati a promuovere una cultura dell’accoglienza delle centinaia di migranti in fuga dal Medio Oriente e i loro colleghi ortodossi e caldei a chiedere invece di aiutarli a frenare i flussi per far sì che non venga meno la presenza cristiana in quelle terre.
Al patriarca caldeo Sako, che ha girato l’Europa per perorare la causa, in questi giorni dalle colonne di Le Figaro si è aggiunta la voce di Gregorio III, patriarca greco-melchita di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme.
Originario di Daraya, il quartiere cristiano di Damasco, Gregorio Laham (84 anni) si è sempre distinto per la sua schiettezza e il suo dinamismo in favore della sua gente (la famiglia ha subito la perdita di un cugino, impiccato poco lontano dalla sua abitazione per mano dei guerriglieri ribelli al regime di Assad ). Dopo essere stato per 26 anni alla guida della comunità di Gerusalemme, nel 2000 è stato eletto patriarca di tutto l’Oriente, la comunità che comprende circa 700 mila cristiani di rito greco-melchita (per tradizione, dall’epoca di Costantino, fedeli al potere costituito).
«Aiutateci a rimanere a casa», ha implorato alla delegazione francese giunta in visita in Siria e di cui faceva parte anche il vescovo di Fréjus-Toulon, Dominique Rey (laurea in economia politica e lunga esperienza “laica” prima di entrare in seminario).
«Non abbiamo intenzione di vivere in un ghetto – ha continuato il patriarca – né di costituire uno stato cristiano. Ma le nostre chiese sono ancora piene e questo è un vero miracolo. Posso essere orgoglioso della Chiesa di Siria dove, a differenza del vicino Iraq, i preti sono rimasti al servizio dei fedeli».
Gregorio ha ricordato con rammarico come, a causa del conflitto che dura da anni, molte persone abbiano già lasciato il paese, ma il flusso migratorio è oggi ininterrotto. A suo parere, molti emigranti erano forse terroristi e sono andati via con l’intenzione di distruggere non solo la Siria, ma soprattutto l’Europa.
Sottolinea altresì come si tratti di un grosso problema anche dal punto di vista umanitario: in Siria non si contano ormai più di una cinquantina di medici.
«Nonostante tutto dobbiamo aiutare le persone a restare, frenando con ogni mezzo l’attuale emorragia» concludeva di fronte alla delegazione, senza nascondere né ai francesi, né ai giornalisti, la sua simpatia (di cui è stato spesso accusato) per l’attuale regime del presidente Bashar Assad: «Non siamo la peggiore delle tirannie. Ricordiamoci che, a parte Israele e Libano, la Siria è l’unico regime in Medio Oriente, che rispetta la libertà religiosa per i cristiani».
In un’intervista ad un’agenzia francese nel mese di gennaio aveva dichiarato: «I musulmani hanno bisogno di noi. Siamo persone di fiducia. Lo sanno tutti! Oggi, anche se la situazione è difficile, i cristiani non dovrebbero avere paura, ma piuttosto pensare a come potrebbero servire il proprio Paese. La Siria non meritava questa guerra. Non aveva bisogno di questa guerra. Dobbiamo fermare la guerra, perché non ci sarà alcun vincitore. Non esiste un’opposizione armata che si possa definire “moderata”: la moderazione esiste solo sulla carta. Per che cosa poi? Per uccidere la gente. Ma il presidente rimarrà al suo posto e intanto? Noi cristiani moriremo tutti quanti!».
Una battuta l’ha dedicata, su Le Figaro del 30 marzo, anche a san Paolo in relazione alle troppe «teste calde» che destabilizzano l’area mediorientale, esportando terrorismo anche in Occidente: «Non dimentichiamo che Paolo di Tarso, prima della sua conversione qui sulla via di Damasco, era anche lui un irriducibile jihadista che aveva compiuto efferati delitti tra i cristiani dell’epoca …».
Non fa sconti, invece, palando del suo incontro con gli ospiti francesi: «Ho provato vergogna per la Francia, una volta cristiana. Solo quattro membri della delegazione parlamentare francese erano in grado di recitare il Padre nostro…».