«A volte è più difficile vivere che morire», confidava un amico all’ebreo olandese rinchiuso con lui nel lager di Auschwitz. Attivo nella resistenza, egli fu deportato da Westerbork dopo la delazione di conoscenti il 1° luglio 1944.
Koopman riuscì a resistere all’abiezione, alla fame e al freddo del lager e, facendo la scelta pericolosa di rimanere nell’“ospedale” del campo, riuscì a vedere la sua liberazione da parte delle truppe russe il 27 gennaio 1945. Egli sfuggì in tal modo alla tremenda marcia di trasferimento che, nei terribili giorni precedenti, uccise il 98% dei prigionieri ancora sopravvissuti.
L’autore stese le sue note nei mesi immediatamente successivi alla liberazione e al ritorno in patria (autunno 1945 – primavera 1946).
Tradotto in inglese nel 1975, il suo libro fu dimenticato e vede ora la sua prima traduzione in italiano. Koopman leggeva la sua vicenda ancora come un momento della diaspora ebraica (il titolo originale era “Ebrei erranti”). L’editore italiano ha cambiato il titolo, rendendo con più efficacia il contenuto tragico narrato.
La prosa di Koopman è stringata, senza pregi letterari particolari, senza ancora il peso della storia e della memoria, come nota Stefani nell’introduzione (pp. 5-14). Manca la rielaborazione profonda che giunge solo dopo anni di resoconti, testimonianze, elaborazione del lutto e del senso di colpa di essere sopravvissuto. Non ci sono riflessioni teologiche o antropologiche ricercate. Solo il diario sommario della vita del campo, con le sue atrocità, i gelidi appelli mattutini e serali, il lavoro sfiancante, la mancanza perenne di cibo, l’angoscia incredula dei nuovi arrivati e il fumo nero che sale dai camini subito dopo la “selezione” fatta sul binario di arrivo.
L’autore racconta però anche in egual numero di pagine il travagliato viaggio di evacuazione dal campo, che lo vede peregrinare per mesi con migliaia di altri deportati europei lungo le vie ferrate che collegano Katowice, Cracovia, Przemysl, Leopoli, Ternopol, Podol’ski, Černovcy, Odessa, per arrivare poi in nave a Istanbul, Messina, Marsiglia e di lì in treno per Tilburg e infine ad Amersfoort, dove, dopo un’accoglienza tiepida, può riabbracciare la moglie Alida (che poi morirà) e i figli. Membro del partito socialista, si laureerà in economia e, dopo vari impegni di consulenza economica in Africa, morirà e sarà sepolto in Israele accanto alla seconda moglie, Henriette.
La testimonianza di Koopman è concisa e stringata, senza alcuna indulgenza alle atrocità vissute nel campo, ma frutto di immediatezza da cui traspare ancora lo straniamento di trovarsi ancora vivo, emerso fra i sommersi.
Un testo che si aggiunge ai molti altri, perché la memoria del Male e della sua banalità faccia sì che i mostri della storia non abbiano mai più a ritornare.
Jo Koopman, La notte di Auschwitz. Diario inedito di un ebreo olandese (Lapislazzuli s.n.), EDB, Bologna 2018, pp. 144, € 13,00. 9788810559215
Beh ho sentito in TV ,canale 5, che trump ha già comunicato di intervenire in Siria contro le atrocità del regime nei confronti del popolo siriano (quindi a prescindere da qualsiasi attacco chimico sotto falsa bandiera) mentre parlava con macron e merkel.se ciò accadrà la Russia non potrà esimersi dal rispondere .non credo ad operazioni di terra USA se non attraverso ascari e mercenari però le basi da dove partiranno queste forze dovranno essere colpite a prescindere dalla presenza di forze USA britanniche o francesi.inoltre le navi e gli aerei che dovessero lanciare missili contro la Siria dovrebbero lo stesso essere attaccate anche se immagino che saranno attacchi portati da molto lontano e probabilmente da sommergibili.Putin oltre che ha dichiarare di possedere armi formidabili già in fase operativa avrebbe dovuto dire chiaramente ma molto chiaramente che in caso di attacco in Siria in appoggio alle forze jihadiste ci sarebbero state risposte che avrebbero riguardato le forze USA e accoliti in Siria. La Siria non potrebbe comunque resistere e sarebbe giusto far pagare un prezzo alto alle forze d”occupazione.speriamo che ci sia una possibilità di soluzione politica ma io non ci credo.
Elie un’esperienza devastante. fra quegli orribili giorni, in cui il bambino assistette all’impiccagione di un altro bambino, che “aveva il volto di un angelo infelice”, sentì qualcuno gemere dietro di lui: “Dov’è Dio? Dov’è? Dov’è dunque Dio?”. E in lui una voce rispondeva: “Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca”. La centralità del racconto non sta però nella commovente descrizione dell’accaduto, ma quanto nel parlare molto della rottura del suo rapporto fiduciario con Dio, nonostante fosse stato fin da bambino indirizzato alla vita religiosa.