Annunciata da un colloquio confidenziale del patriarca di Venezia Francesco Moraglia (cf. Gente Veneta, 18.3.2016, p. 11), è stata consegnata ai presbiteri della diocesi lagunare, al termine della messa crismale, la lettera pastorale dal titolo Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù. In essa il patriarca raccoglie e rilancia la riflessione che ha impegnato la diocesi per quattro anni sul tema della “collaborazione pastorale”.
Che ci fosse bisogno di questa risposta di fronte ai mutamenti sociali ed ecclesiali, lo aveva preconizzato il patriarca Marco Cè nel 2002, al termine del suo mandato episcopale: «Credo che sia maturato il momento in cui devono essere messe allo studio e attuate delle ristrutturazioni anche di tipo organico. La collaborazione non può essere affidata solo allo spontaneismo di alcuni preti. La collaborazione deve diventare organica». Il suo successore, il patriarca Angelo Scola, avviò alcune comunità pastorali.
Ora si tratta di strutturare queste realtà. Il patriarca Moraglia pone alla base di questa nuova realtà la dottrina del Vaticano II, vale a dire l’ecclesiologia di comunione, il popolo di Dio, la sacramentalità della Chiesa e la sua istanza missionaria. Insistita la dimensione comunionale: si parla infatti di «atteggiamento sinodale», di «maturare insieme», di «alleanza pastorale», di «collaborazioni interparrocchiali», di «cammino condiviso». Lo ribadisce anche il vicario generale, don Angelo Pagan: «La collaborazione non è un elemento estrinseco, un metodo di lavoro, ma appartiene alla realtà del popolo di Dio: nella comunione e con la comunione si annuncia il Vangelo».
La figura del presbitero non ne uscirà mortificata, ma appariranno più evidenti la sua insostituibilità e la sua specificità.
Il passaggio deciso alle “collaborazioni pastorali” è reso necessario – afferma il patriarca – dal fatto che ci sono ambiti pastorali in cui, non da oggi, «non riusciamo più ad essere evangelicamente significativi nella stessa comunità ecclesiale e nel quartiere o paese in cui viviamo». Egli auspica, concretamente, «un’alleanza pastorale fra comunità parrocchiali» allo scopo di salvaguardare e potenziare gli ambiti tuttora vitali dell’azione pastorale e di intraprendere coraggiosamente nuove strade per rispondere alle esigenze nuove e inedite.
Ma questa collaborazione non si improvvisa. Nella certezza che, nella comunità, esiste una «molteplicità e varietà di vocazioni», che affondano la loro radice nel battesimo, occorre recuperare la loro carica missionaria (il patriarca parla della necessità di «deprivatizzare il battesimo»).
Queste vocazioni vanno coltivate. Come? Con il metodo chiamato “cenacolo”. Esso è pensato come «una piccola comunità che vive una reale esperienza di Chiesa». Al “cenacolo” «è essenziale che partecipino laici disposti ad impegnarsi, i consacrati, tutti i diaconi e i presbiteri che operano in quella porzione di Chiesa». Scopo del “cenacolo” è «realizzare quel soggetto evangelizzato ed evangelizzatore attraverso incontri e momenti in cui si possa crescere nella preghiera comune, nella spiritualità, nella conoscenza della fede, nella carità pastorale e, non da ultimo, nella fraternità». Da qui, da questi “cenacoli”, deve nascere «una presenza efficace della comunità cristiana sul territorio». I servizi da offrire o da incentivare vanno dall’accoglienza alla liturgia, dalla catechesi alla carità, alla cultura e al mondo della comunicazione…
«Evangelizzare – conclude il patriarca – non è mai compito di un’élite, è impegno e compito di tutti».