Misericordia, giubileo e Vaticano II

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Dalla rivista IHU-online ho ricevuto alcune domande sul tema “misericordia” nel pontificato di Francesco e nel Giubileo. L’intervista è uscita ieri on line in portoghese. Pubblico qui la versione italiana

Misericordia come principio di diversità riconciliate.
Il Giubileo e il grande atto di misericordia che fu il Vaticano II

1) Come comprendere il concetto di misericordia? Quali sono i suoi significati al di là della teologia?

Il concetto teologico di misericordia si colloca in una “regione” della coscienza ricca di riflessi non univoci. Veniamo da una lunga tradizione – antica e moderna – che ha guardato la misericordia con sospetto, quasi come la negazione della giustizia e della forza. Essere “misericordiosi” significava – fuori e dentro la Chiesa – non essere sufficientemente determinati nella verità, essere confusi, essere deboli, persino essere ingiusti! Più che un “al di là” della teologia, dobbiamo essere consapevoli che c’è un “al di qua” della misericordia che tende a sminuirne la portata. Un riflesso di questo “al di qua” si trova facilmente in tutte quelle letture della “misericordia cristiana” che non riescono a coglierne la “logica di conversione” della proporzione di giustizia nel primato di un amore che Dio offre gratuitamente all’uomo. Misericordia è il cuore dell’annuncio del Vangelo, il centro della “nuova alleanza”, il senso della morte e resurrezione, il vero “dono” che è Spirito Santo.

2) Quali sono gli ideali di misericordia su cui Bergoglio si appoggia e qual è la novità dell’approccio alla misericordia nel suo pontificato?

Il ministero episcopale del vescovo di Roma Francesco si è caratterizzato, fin dall’inizio, per una “gioia di evangelizzare” che si identifica con una “misericordia” riservata a tutti e a ciascuno. La Chiesa diventa anzitutto “annuncio di misericordia”. Ed è evidente che questa “concentrazione” determina, immediatamente, una grande tensione e qualche disagio, rispetto allo stile cui eravamo abituati. La Chiesa, ora, può essere se stessa solo se “ascolta e proclama”, dunque se “esce da sé”, se rinuncia ad ogni “autoreferenzialità” come “mondanità spirituale”. La parola di misericordia diventa esigenza di nuova autorevolezza, e per questo implica spogliazione di potere e mediazione di una autorità altra. La Chiesa deve essere “mysterium lunae”. Questo significa che annunciare la misericordia ha bisogno – essenzialmente – di riforma della Chiesa. Questo collegamento è lucidissimo nella coscienza di Francesco, molto più opaco in non pochi settori accanto a lui e nel grande corpo della Chiesa.

3) Quali sono i temi di fondo della proposta di papa Francesco nello stabilire un giubileo straordinario che ha come tema la misericordia?

Il giubileo non ha la misericordia come “tema”, ma è esso stesso anzitutto “atto di misericordia”. Nella bolla di indizione Misericordiae vultus si notano due cose impressionanti. Da un lato la continuità esplicita e diretta dell’anno santo con il grande atto di misericordia che è stato il Concilio Vaticano II, riletto nelle parole del papa che lo ha indetto – Giovanni – e di quello che lo ha compiuto – Paolo. Questo è sorprendente. Dopo almeno due decenni in cui si doveva quasi chiedere scusa prima di nominare il Vaticano II – avevo una zia che faceva così quando nominava i “piedi”: chiedeva sempre scusa prima… – ora lo si innalza a criterio interpretativo della categoria di “misericordia” non tanto come “tema”, ma come “atto di Dio” che genera la Chiesa con uno stile e una identità del “misericordiar”. In secondo luogo questa concezione determina una ripresa potente della “gratuità” del rapporto con la grazia e libera dalla ossessione della “disciplina”. Misericordia diventa principio di pluralità riconciliate.

4) Cosa porta l’Anno santo della misericordia in termini di novità alla Chiesa?

Porta anzitutto ed essenzialmente uno “stile” e un “linguaggio” rinnovato. Certo non è mancato – anche in sedi ufficiali – chi ha provato a “non cambiare niente”. L’uso retorico di tutto il “glossario di Francesco” è un’arte nella quale i curiali non sono secondi a nessuno. Abbiamo ascoltato discorsi della curia romana in cui la “indulgenza” continuava a essere interpretata con il bilancino del farmacista piuttosto che con la passione del profeta. Ma questi sono “effetti collaterali” – o diciamo “fuoco amico” – che nessuno può pensare di superare in tre anni… Ciò che conta è che l’anno santo, che è struttura quasi millenaria, ha rilanciato, in una forma ufficiale, questa radicalità profetica della misericordia, rimettendo al centro non la “proporzione di giustizia”, ma la “sproporzione di misericordia”. Questo, inevitabilmente, mette in crisi tutti gli “uffici”: anzitutto quello dei canonisti, che sono coloro che potremmo dire professionalmente possono illudersi di imbrigliare la misericordia nelle tele di ragno della giustizia. Di poter trovare “tutta la misericordia necessaria” in un documento del magistero!

5) E fino a che punto questa proposta impatta il mondo al di là della Chiesa?

Questo impatto è persino “esagerato”. Mi spiego. È facile leggere la “campagna di misericordia” voluta da papa Bergoglio come una splendida operazione di marketing. E questo ha avuto una efficacia a volte sorprendente. Anche aiutato da letture interessate “interne” alla Chiesa. Ma bisogna distinguere. La riduzione semplicistica di questo papato ai “buoni sentimenti” è rischiosa e deve essere accuratamente evitata. Vorrei dire che si può spiegare questo papato come “conversione alla misericordia di Dio” solo se si prende sul serio il profilo “esigente” di questa misericordia. Ossia se si riscopre che, a fronte di un rinnovata primato della “sproporzione di misericordia”, tante “logiche proporzionate” devono essere rilette con grande accuratezza. Per fare un esempio: riscoprire che anche le “famiglie irregolari” devono essere capaci di perdono e di essere perdonate, richiede alla Chiesa non solo una capacità di annunciare la misericordia, ma anche una nuova capacità di “gestirla” e di “amministrarla”, cosa che oggi viene praticata con strumenti o vecchi o ingiusti. La Chiesa deve imparare questa arte dalla propria storia – non recente – e anche dallo Stato moderno!

6) Cosa rivela l’enciclica Laudato si’ sulla misericordia?

Con questa enciclica papa Francesco ha scritto su righe particolarmente difficili: uscire dalla autoreferenzialità significa anche semplicemente “aprire gli occhi sulla realtà”. Noi vediamo non la “terra” o “gli animali” o gli “alberi”, ma il concetto classico di “natura” o di “creato”. Mediare adeguatamente tra la realtà – che ha il primato – e l’idea – che interpreta il reale – è una operazione che richiede “misericordia”, nel senso di un atteggiamento di ascolto e di disponibilità a lasciarsi spiazzare dal reale, nel quale Dio non deve essere “portato”, ma “riconosciuto”. Misericordia è qui anzitutto la capacità di uscire da una “cultura dello scarto”, che non è soltanto un “problema ecologico”, ma è anche un problema teologico. La teologia procede spesso “per scarti” troppo grossolani e poco intelligenti. Pregiudica il reale in categorie troppo rigide e autoreferenziali.

7) Qual è il ruolo del laicato per la costruzione dell’esercizio della misericordia dentro e fuori le mura della Chiesa?

Anche in questo caso mi pare che quello che chiamiamo laicato sia, anzitutto il prodotto di una mancanza di misericordia, che è diventata strutturale, talmente strutturale che non si vede più. Se un “nomen infamiae”, come quello di “laicus”, diventa normale – e normalizza la mancanza di diritti e doveri – qualcosa di grosso deve mutare per farvi fronte. Il laicato contribuisce a un “soprassalto di misericordia” non accettando più di essere chiamato così.

8) Come esercitare la misericordia oggi? Quali questioni etiche e filosofiche questo concetto di misericordia suscita nella società oggi?

Annunciare la misericordia passa, inevitabilmente, per una profonda riscoperta dell’”altro”. Potersi “levare le scarpe davanti alla terra sacra dell’altro” – come ha detto con parole indimenticabili papa Francesco, riecheggiando un tema centrale nella filosofia del XX secolo – significa anche uscire dalle categorie metafisiche della tradizione greca. In certo modo, misericordia e de-ellenizzazione sono percorsi paralleli e obbligati. Questo non può avvenire solo per slogan, tuttavia. De-ellennizzare significa uscire da categorie troppo rigide, troppo autocentrate, troppo logocentriche. Allo stesso modo bisognerebbe riconoscere che accanto alla “deellenizzazione” dobbiamo vivere anche una “delatinizzazione”, ossia dobbiamo uscire non solo da “categorie teoriche”, ma anche da “riduzioni pratiche”, che hanno la presunzione di risolvere le questioni con il “diritto canonico”. Una “delatinizzazione” non significa “rinunciare al diritto”, sia chiaro, ma ripensare anche il diritto canonico in una logica di dialogo più stretto e più profondo con il diritto civile. Si tratta di uscire da una impostazione “antimodernista” del diritto canonico, che dal Codice del 1917 compromette l’autorevolezza giuridica nella Chiesa.

9) In che modo l’idea di misericordia è legata al concetto di perdono?

La misericordia è l’orizzonte del perdono. La “dipendenza dall’altro” è la condizione per desiderare, anzitutto, la comunione con l’altro. Per questo il “dono per eccellenza” – ossia il perdono – è la verità di una vita segnata dalla misericordia.

10) Come comprendere misericordia e giustizia come concetti in opposizione? E come superare questa opposizione?

La opposizione tra misericordia e giustizia dipende da un inevitabile irrigidimento della idea di giustizia, che tende ad identificarsi con la osservanza di una “legge immutabile”. È da notare che questa “riduzione della giustizia alla legge” la Chiesa l’ha imparata da… Napoleone! Lo spazio della misericordia è più ampio di quello della giustizia, senza essere con esso contraddittorio. La misericordia implica una giustizia, ossia un “sistema proporzionato di diritti e di doveri”. Ma alla radice di questo “sistema” c’è un “rapporto” che è sproporzionato, e che custodisce il “dono originario”. Ogni uomo e ogni donna trovano il meglio di sé quando riescono a onorare non solo tutti i loro diritti e doveri, ma anzitutto questo “dono immeritato”. Non di rado, per onorare il dono, occorre ridimensionare e talora addirittura negare diritti e doveri. Il rapporto tra misericordia e giustizia non è di opposizione, ma conosce tensioni, drammi, compimenti, rinnegamenti dell’altro e rinnegamenti di sé. È non solo una “teodrammatica”, ma una “antropodrammatica”.

11) Qual è il posto della misericordia come nucleo fondamentale della essenza divina e della rivelazione cristiana?

I termini “essenza divina” e “rivelazione” risentono della difficoltà di pensare la misericordia “al centro” del sistema. D’altra parte, come abbiamo riconosciuto, se si dà un sistema, la proporzione tende a prevalere sulla sproporzione, e la misericordia viene sempre più “amministrata” e “controllata”. Un Dio pensato come “essere perfettissimo” e una rivelazione pensata come “proposizioni coerenti intorno a questo essere” possono diventare ostacoli insuperabili rispetto ad una vero “ascolto della parola” che si faccia sacramento e vita. La misericordia diventa, perciò, “metodo teologico” con cui la tradizione si mette in ascolto del Dio che parla, senza ingabbiarlo previamente in categorie “elleniche” e “latine”, dove appare ridotto a concetto o a legge.

12) In quale misura il concetto teologico di misericordia può ispirare e riorientare la prospettiva economica? (tenendo conto del perdono dei debiti, l’anno sabbatico)

La “giustizia della economia” – dopo la rivoluzione industriale – procede secondo regole impersonali. In questo non c’è solo del male. Una “personalizzazione dell’economia” era il terreno fertile di tutte le forme premoderne di sfruttamento, di ingiustizia, di discriminazione, di emarginazione e di schiavitù. Dunque, guardando indietro, c’è poco da consolarsi. Ma per guardare avanti occorre recuperare una “rilevanza più che individuale” dei comportamenti economici. Questo sarà il cimento dei prossimi decenni. Che la esposizione debitoria non sia una condanna per interi popoli e che la logica del “consumo” non dipenda soltanto dal reddito individuale sono profezie sociali, psicologiche e relazionali, non solo e non anzitutto “contenuti di dottrina”. E vorrei aggiungere: la profezia di un “legame strutturale tra matrimonio e patrimonio” – senza cadere nella trappola di ideologizzare il primo e di relativizzare il secondo – può aiutare a riconsegnare il primato alla realtà sulla idea, anche nella pastorale delle unioni familiari.

13) Vuole aggiungere qualcosa?

Un’ultima cosa: la misericordia non sopporta alcuna forma di “idealizzazione”. Papa Francesco, in una delle sue prime interviste, aveva detto che «in ogni idealizzazione si nasconde una aggressione», citando addirittura Freud! Anche la misericordia, se idealizzata, diventa violenta e ingiusta. Essa deve annunciare un “primato della sproporzione”, ma sempre coniugandosi con una proporzione necessaria, per quanto mai sufficiente. La misericordia si fonda su un difficile riconoscimento della propria non-autosufficienza. La misericordia si iscrive anzitutto in una rinuncia. Se diventa ideologia, parte con il piede sbagliato.

Pubblicato il 4 aprile 2016 nel blog: Come se non

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