Il patriarca latino emerito di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, ha tradotto in arabo la biografia di don Giuseppe Dossetti scritta da don Fabrizio Mandreoli nel 2012 per l’editrice di Trento Il Margine. Giuseppe Dossetti è stato fondatore della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata, monaco in Medio Oriente e prima ancora politico italiano membro dell’Assemblea costituente – nei banchi della Democrazia cristiana – tra il 1946 e il 1948, e, da prete, perito al concilio Vaticano II. Il racconto della vita di Dossetti, nato nel 1913 e morto nel 1996, è ora disponibile dunque anche per i lettori arabi in Terra Santa, dove il religioso trascorse gli ultimi anni della sua vita con la sua comunità, tra Gerico, Ma’in e Ein Arik.
Viene pubblicata in questi giorni una biografia di Dossetti in arabo. Mi sembra che anche questo si inserisca nel tema del dialogo tra le religioni, in particolare tra islam e cristianesimo. Il papa nella Evangelii gaudium afferma che «per sostenere il dialogo con l’islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità. Ma anche perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di far emergere le convinzioni comuni» (EG 253).
Primato di Dio
Su questa pista procediamo, domandandoci innanzitutto cosa potrà produrre la lettura di questa traduzione. Sarebbe bello poter rispondere con i fatti che ogni pagina scritta suscita o produce. Cosa potrebbe regalarci la traduzione in arabo di una delle più belle biografie di Dossetti (F. Mandreoli, Giuseppe Dossetti, il Margine, Trento, 2012)? Occorrerebbe anche saper rispondere alla domanda: chi la leggerà?
Posso proporre un auspicio: spero che la leggano anche e soprattutto non cristiani, in particolare credenti musulmani. Credo che sarebbe una incredibile occasione per poter continuare e approfondire il dialogo tra le diverse religioni. Soprattutto perché Dossetti è stato davvero un uomo di Dio e in nome di Dio (per quello che aveva capito) ha plasmato la propria esistenza.
Potrebbe essere il primo punto di un possible dialogo: cosa vuol dire, concretamente, vivere il primato di Dio nella nostra vita? Scrive Fabrizio Mandreoli nella biografia in oggetto: «Credo che i molti impegni e le molteplici svolte della vita di Dossetti siano interpretabili in maniera unitaria solo a questo livello molto profondo. Sono la vicenda di un cristiano che, di volta in volta, si è interrogato con tutte le risorse della propria anima e della propria intelligenza, sulle tracce delle vie di Dio e del bene» (p. 139). Dobbiamo credere che anche per le persone di fede islamica la via migliore per la loro vita sia approfondire la ricerca di Dio, dell’unicità del Dio misericordioso: proclamare l’unicità di Dio può aiutare a costruire uomini liberi perché si mette in guardia dall’adorare un dio umano che rende schiavi.
Pace
Un secondo tema su cui dialogare è la pace: nel volume di Mandreoli troviamo pagine intensissime in cui vediamo Dossetti parlare di Sabra e Shatila e delle certe conseguenze dell’attacco USA all’Iraq: «In un breve articolo dell’ottobre del 1990 intitolato Qui la Chiesa scomparirà, che esce volutamente senza la sua firma, Dossetti propone un’analisi dettagliata di cosa può significare alla lunga il preventivo attacco americano e occidentale all’Iraq» (p. 121).
Ebbene, proprio sulla pace, sulla guerra, santa o meno, sul jihad si concentrano le peggiori deturpazioni delle varie religioni. Non possiamo affrontare qui la complessità di questo tema: ma ci basta ricordare alcune parole del Corano per capire che un altro modo per costruire la convivenza in pace è possibile: «Recita loro la storia dei due figli di Adamo, in tutta verità, quando offrono a Dio un sacrificio e quello dell’uno viene accettato e non venne accettato quello dell’altro. Costui disse: «Io ti ucciderò», e il fratello rispose: «Dio accetta solo il sacrificio di chi Lo teme, e se stenderai la mano contro di me per uccidermi io non stenderò la mano su di te per ucciderti perché ho paura di Dio, il Signore dei mondi» (Corano, Sura V,27-28).
La lettura del meraviglioso libro di Jawat Said, Vie islamiche alla non violenza (Zikkaron, Marzabotto (BO), 2017), potrebbe essere utilissima, se non fondamentale. Un piccolo passaggio: «Le nostre guerre di oggi sono come quelle offerte sacrificali, senza alcuna utilità e senza altro insegnamento che quello di non ripeterle più. Chi non si sentirà soddisfatto e non crederà che le guerre producono solamente perdite, ripeterà queste tragedie. Oh voi altri, oh mondo, oh esseri umani: Dio non vuole sacrifici, Dio è clemente misericordioso!» (pp. 63-64).
Partecipazione
Ancora: un ulteriore terreno di confronto tra Dossetti e i suoi lettori di fede islamica potrebbe essere quello della partecipazione. Volutamente non parlo di democrazia, perché la parola non ci aiuterebbe. Il rapporto tra Islam e democrazia è molto complesso; ma certamente non si elidono a vicenda (cf. i libri di Massimo Campanini, come Il pensiero politico islamico contemporaneo, il Mulino, Bologna, 2005; oppure Oltre la democrazia. Temi e problemi del pensiero politico islamico, Mimesis, 2014).
Il professorino di Reggio Emilia ha sempre lavorato (pensiamo alla Costituente o al Concilio Vaticano) affinché nelle varie assemblee ognuno potesse portare il proprio contributo originale e si potesse arrivare ad un esito concreto. Forse potremmo definirlo un facilitatore. Anche nel mondo islamico il concetto di comunità è assolutamente decisivo ed è dentro la comunità che possono stemperarsi difficoltà altrimenti insormontabili.
Contrariamente a quanto si pensa usualmente, ci sono strade percorribili all’interno del mondo islamico per costruire vie per la giustizia che tengano conto dei diritti della persona, di tutte le persone, di qualsiasi credo esse siano: la qual cosa è il fine della democrazia. Anche il jihad deve essere vissuto in questa direzione: «Il jihad, nel pensiero di Said, è stato legiferato per eliminare la coercizione e l’ingiustizia, per proteggere la gente e il loro credo e non per costringerla o opprimerla. Il dovere dei musulmani è quindi quello di contribuire a liberare l’uomo dall’ingiustizia in qualsiasi luogo, a prescindere dalla sua religione e dal suo credo» (dall’introduzione di N. Dumairich a Jawat Said, Vie islamiche alla non violenza, p. XLV).
Un interessantissimo personaggio, per questi temi, è il musulmano sudafricano di origine indiana Farid Esack. Nel suo pensiero di come interpretare la rivelazione e per come operare per la giustizia troviamo un tratto esistenziale molto vicino a Dossetti: «La necessità per l’interprete di collocarsi in mezzo agli emarginati e alle loro lotte, così come di interpretare il testo dal punto di vista della storia, è basata sulla nozione dell’opzione preferenziale di Dio e dei profeti per gli oppressi (…). Una lotta i cui partecipanti sono principalmente gli ‘Altri’ religiosi, che costituiscono la stragrande maggioranza degli oppressi» (F. Esack, Qur’an, Liberation and Pluralism, Oneworld, Oxford 2002, pp. 102-103, citato in M. Campanini, Il pensiero politico islamico contemporaneo, p. 173).
Non è così semplice trovare una pista comune tra cristiani e musulmani che possa essere etichettata come fraternità universale: ma questo non significa che sia impossibile. E sicuramente la strada è passare dall’unicità di Dio al suo desiderio di una armonia tra le sue creature.
Donne
Proseguendo nella lista dei desideri, potrei aggiungere il tema delle donne. Non tantissimo è stato scritto su Giuseppe Dossetti e il suo rapporto col mondo femminile; quello che è evidente è il ruolo importantissimo che ha avuto sua madre anche agli inizi della sua esperienza comunitaria e il fatto che in comunità ci fosse, ben numeroso, anche il polmone femminile. Forse in qualche lettera potremmo trovare ulteriori indicazioni. Ma per noi è sufficiente notare che la donna è presente nella sua vita, con sensibilità in anticipo rispetto ai suoi tempi.
E anche la questione femminile è assolutamente decisiva per il mondo islamico, oggi. E lo è non solo perché ogni persona deve essere riconosciuta pari in dignità e diritti, ma anche perché ricomprendere la questione femminile aiuterebbe ad affrontare la grande fatica che, ovunque nel mondo, ma con tratti peculiari nell’Islam, si ha nel valorizzare il diverso. Secondo il parere di Campanini, una delle più illuminate studiose della questione femminile è Fatima Mernisi: «Il senso della sua ricerca può essere riassunto nella formula: elogio della diversità contro il conformismo» (M. Campanini, Il pensiero politico islamico contemporaneo, p. 202).
L’islam delle origini era molto più progressista dell’attuale rispetto alle donne, molto più capace di costruire percorsi di eguaglianza: «L’Islam è una prolungata protesta contro l’individualismo arrogante e non sarebbe possibile comprendere la fulminea espansione di questa religione se si trascurasse l’insistenza del Corano sull’uguaglianza di tutti, a prescindere dal colore della pelle o dall’estrazione sociale» (M. Campanini, Il pensiero politico islamico contemporaneo, p. 203). Il ruolo e la presenza attiva delle donne nella società, nella politica e nell’economia potrebbero ridare all’Islam una nuova dinamicità, più vicina al clima che aveva accompagnato la crescita della comunità del Profeta.
Discernimento
Infine, il discernimento. Il volume di Mandreoli termina così: «L’esistenza di Dossetti è segnata in profondità dall’ascolto orante della parola di Dio, dalla capacità di attenzione a quanto avviene nella vita degli uomini e da un desiderio incessante di libertà e verità. Da tutto questo scaturisce un continuo cercare, per sé e per gli altri, risposte adeguate e vie – spirituali e istituzionali, ecclesiali e politiche – per un futuro. Tutte prospettive lasciate alla nostra responsabilità e al nostro desiderio di cambiamenti profondi e autentici» (p. 144). La vita di Dossetti è stata tutta un concreto e vivente discernimento. E proprio tante fatiche nel capire l’islam (pensiamo in modo specifico alla guerra motivata da idee religiose) derivano proprio dalla «spaccatura che si è verificata nella storia islamica tra devozione e il discernimento, nel trasporto di una devozione non informata dalla conoscenza di ciò che è giusto e vero» (dall’introduzione di N. Dumairich a Jawat Said, Vie islamiche alla non violenza, p. LII).
Terminando di stendere queste note, credo che sia chiaro come questo libro, tradotto in arabo, possa davvero far nascere processi di giustizia e pace, di fraternità e uguaglianza: «Il pensiero islamico contemporaneo non potrà rimanere chiuso nella torre d’avorio idealistica di una ricerca teorica fine a se stessa. Queste pagine dimostrano forse che la strada è aperta a un impegno concreto del pensiero, un pensiero di cui abbiamo voluto evidenziare l’attuale effervescenza» (M. Campanini, Il pensiero politico islamico contemporaneo, p. 203).