La serialità televisiva sviluppatasi negli Stati Uniti nel corso degli anni duemila ha consolidato alcune tra le novità narrative più significative introdotte in letteratura a partire dagli anni Ottanta. Tra queste si trovano la decostruzione e ricostruzione dell’identità (data dall’acquisizione della psicologia freudiana) e l’indagine del rapporto vita/morte «attraverso nuovi riti e viaggi agli inferi, siano essi nel mondo fisico, nella cultura o nella psiche».[1]
Un genere che meglio di altri ha saputo mettere insieme questi aspetti è stato senza dubbio la fantascienza, che all’interno delle produzioni seriali televisive odierne sta godendo di un grande successo, tanto che il 2018 può già vantare diverse serie di questo genere che si distinguono per la qualità e la profondità dei temi trattati. Tra queste segnaliamo Altered Carbon e Counterpart, due prodotti molto diversi tra loro che condividono però un approccio molto interessante ai temi dell’identità personale e del rapporto tra coscienza e corporeità.
Altered Carbon
Creata da Laeta Kalogridis, Altered Carbon è l’adattamento di Bad City, primo romanzo di una trilogia cyberpunk scritta da Richard K. Morgan e pubblicato nel 2012. La prima stagione dello show è disponibile su Netflix dal 2 febbraio 2018.
Le vicende della serie ci proiettano nell’anno 2384, dove gli enormi progressi tecnologici hanno permesso la completa digitalizzazione della coscienza umana (denominata IDU). Questa può pertanto essere caricata su un supporto fisico, la «pila corticale», innestata chirurgicamente nella colonna spinale. Questo supporto può essere trapiantato in qualsiasi tipo di corpo (naturale, clonato o sintetico) infinite volte, permettendo così di posticipare indefinitamente la morte fisica.
Nel mondo di Altered Carbon il corpo non definisce pertanto l’identità della persona: io non sono il mio corpo ma tutti quelli che desidero avere e posso permettermi. Il corpo è solo una «custodia» (così viene chiamato nella serie), ospite temporaneo della coscienza.
Tuttavia la morte non è del tutto sconfitta nel mondo di Altered Carbon, poiché la distruzione della pila corticale comporta quella che viene chiamata la «vera morte», un riferimento alla seconda morte richiamata in Apocalisse. Non tutti però apprezzano questo modo di vivere. Tra gli scettici troviamo i neo-cattolici, minoranza religiosa che rinnega l’uso del corpo-custodia poiché considera la vita unica e irripetibile, quella che si vive con il proprio corpo dalla nascita fino alla morte.
La tecnologia del corpo-custodia è inoltre fonte di aspre discriminazioni sociali, perché solo le persone più ricche e potenti possono permettersi una schiera di corpi clonati sempre pronti all’uso e un backup costante dell’IDU che li rende virtualmente immortali, tanto da essere venerati come delle divinità dalle fasce più povere della popolazione. Questi uomini sono chiamati Meth, riferimento a Matusalemme, patriarca antidiluviano e tra gli uomini più vecchi che siano mai esistiti, secondo il testo biblico.
Con un estetica che richiama in maniera fin troppo eccessiva Blade Runner, la serie di Kalogridis rappresenta però un’intelligente riabilitazione della morte, un richiamo alla finitudine dell’uomo e all’importanza che questa riveste nel rapporto tra gli individui. La consapevolezza dei nostri limiti e l’accettazione dello scorrere inesorabile del tempo sono valori che Altared Carbon presenta quali elementi necessari per la buona salute dell’individuo e dell’intero corpo sociale.
D’altra parte la serie mostra anche come l’uomo sia molto di più del proprio corpo: la mente, coscienza o anima, eccede e supera sempre i limiti corporei. Tuttavia l’uomo non può fare altro che affidare la portata trascendente del suo vissuto personale a un supporto pure sempre fisico, come la pila corticale.
Counterpart
Più asciutta nelle estetiche ma più complessa nell’intreccio narrativo è invece Counterpart, serie ancora inedita in Italia conclusasi all’inizio di aprile sul network Starz. Creata da Justin Marks, Counterpart può essere descritta come la fusione di Fringe e Le vite degli altri: dal primo recupera l’idea di due universi paralleli e divergenti, dall’altro gli intrighi e i sotterfugi degni di un ottima spy story. Personaggio principale di cui seguiamo le vicende è Howard Silk, interpretato dal premio oscar J.K. Simmons. Howard lavora per un’agenzia burocratica delle Nazioni Unite con sede a Berlino.
Dopo trent’anni di lavoro la sua posizione lavorativa non è mai cambiata: Howard, infatti, è una persona mite e tutt’altro che ambiziosa e non sospetta minimamente cosa comporti realmente il lavoro della sua agenzia. Questa, infatti, presidia in realtà un passaggio verso un mondo parallelo, una copia del mondo di Howard creata accidentalmente durante un esperimento nella Germania dell’Est nel 1987, e che da allora ha cominciato a essere divergente. I problemi cominciano quando l’Howard dell’altro mondo arriva per dare la caccia a un sicario che intende uccidere proprio la moglie del suo alter ego.
L’altro Howard è molto diverso dalla sua mite controparte: è un agente sul campo, cinico e senza scrupoli. Al di là dell’intrigo politico che vede coinvolti i due universi paralleli, la serie deve la sua forza proprio al rapporto tra i due Howard, caratterizzati da Simmons in modo straordinario. Come possono due persone geneticamente identiche essere così differenti? Come dirà uno dei due Howard, «genetica, infanzia, non contano niente: siamo impotenti rispetto alle nostre esperienze».
Ma la serie non vuole necessariamente mostrare come sia il vissuto a condizionare gli individui, perché i due Howard sono in realtà più simili di quanto loro stessi possano pensare. Anche se seguiamo le vicende di due personaggi uguali e contrari, la serie riesce a riflettere molto bene sul tema dell’identità e sopratutto dell’unicità della persona. L’incontro-scontro con se stessi messo in scena in Counterpart attraverso la contrapposizione tra i due Howard rappresenta la possibilità della vera conoscenza di sé: come un immagine allo specchio che ci spinge a fare i conti con chi non pensavamo di essere, con chi, in fondo, rischiamo di diventare.
[1] F. Vittorini, Narrativa USA 2984-2014. Romanzi, film, graphic novel, serie TV, videogame e altro, Pàtron editore, Bologna, 2015, 32-34.