Il 23 marzo, in un quartiere periferico e popolare di Parigi, una signora di 85 anni, Mireille Knoll, è stata trovata uccisa con brutale violenza. Era ebrea, sfuggita alle retate antisemite del 1942, vedova da alcuni anni del marito, sopravvissuto ai campi di stermino.
Il 28 marzo migliaia di persone sono scese in piazza in una «marcia bianca» per denunciare l’antisemitismo della violenza esercitata dai due presunti aggressori, già noti alla polizia per reati minori e per la loro radicalizzazione fondamentalista. Il tribunale ha subito riconosciuto la ragione antisemita di una violenza esercitata su una persona vulnerabile e sola.
Il 22 aprile esce su Le Parisien un manifesto firmato da 300 personalità pubbliche (fra cui l’ex presidente Nicolas Sarkosy e l’ex direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, estensore del testo).
Musulmani, pronunciatevi!
«L’antisemitismo non riguarda solo gli ebrei, è una questione di tutti. I francesi, la cui maturità democratica è stata misurata dopo ogni attentato islamista, vivono un paradosso tragico. Il loro paese è diventato teatro di un antisemitismo mortifero. Un terrore che si espande, provocando la condanna popolare e un silenzio mediatico che la recente marcia bianca ha contribuito a rompere».
La tradizione ebraica è «determinante» nella storia del paese e questo rende intollerabile che, negli anni recenti, «undici ebrei siano stati assassinati – e alcuni torturati – in quanto ebrei da parte di islamisti radicali». Si ricorda il rischio di violenze per la minoranza ebraica (25 volte superiore a quella musulmana) e il cambio di residenza del 10% degli ebrei dell’area parigina (cioè 50.000 persone) verso zone più sicure.
La radicalizzazione islamica veicola un antisemitismo che si espande ovunque essa si manifesta, aggiungendo nuove ragioni alla violenza antiebraica della destra radicale, della tradizione storica e delle nuove pulsioni della sinistra. Come una sorta di carciofo in cui le parti esterne (brattee o foglie fortificate) fanno sopravvivere tutte quelle cresciute all’interno.
Per «bassezza elettorale» – il voto musulmano è dieci volte maggiore di quello ebraico – si permette che i carnefici degli ebrei siano considerati «le vittime della società». «Chiediamo che i versetti del Corano che chiedono l’uccisione e la punizione degli ebrei, dei cristiani e dei non credenti siano dichiarati obsoleti dalle autorità teologiche come è successo per le incoerenze bibliche e l’antisemitismo cattolico aboliti dal Vaticano II, affinché nessun credente possa trovare giustificazione su un testo sacro per commettere un crimine. Ci attendiamo che l’islam di Francia apra la via. Chiediamo che la lotta contro questo fallimento democratico che è l’antisemitismo diventi una causa nazionale, prima che sia troppo tardi. Prima che la Francia non sia più la Francia».
Timori e critiche
L’autorevolezza dei firmatari solleva un’onda di consenso, ma anche preoccupate reazioni. Per il rettore della grande moschea di Parigi, Dalid Bourbakeur, sottoporre tutti i cittadini francesi di confessione islamica all’accusa di antisemitismo vuol dire «contrapporre le comunità religiose fra loro in un’isteria che mette a prova la realtà sociale e politica».
Ghaleb Bencheikh, presidente della Conferenza mondiale delle religioni per la pace ricorda la filiazione diretta del Corano dalla Torah ebraica, il peso del permanente conflitto israeliano-palestinese, l’aberrazione di leggere il testo coranico fuori dal suo contesto storico.
Tareq Oubrou, imam di Bordeaux, organizza una risposta firmata da una trentina di imam, apparsa su Le Monde (24 aprile). «Siamo indignati in quanto francesi per l’ignobile terrorismo che ci minaccia tutti. Lo siamo anche in quanto musulmani, come gli altri nostri correligionari, musulmani pacifici, che soffrono la confisca della loro religione da parte di criminali», preoccupati di vedere cadere la propria religione nelle mani di una «gioventù ignorante, perturbata e disorientata».
Costatano che decenni di pratiche sovversive colpiscono le comunità musulmane «generando un’anarchia religiosa e incancrenendo la società». «Molti imam non percepiscono ancora i disastri che i loro discorsi possono provocare a causa di uno scarto in rapporto alla nostra società ed epoca, e di cui non valutano gli effetti psicologici nocivi sugli spiriti vulnerabili».
Per la delicatezza della situazione chiedono agli intellettuali e ai politici, firmatari e no, un discernimento maggiore. Chiedono un sostegno a contenere e denunciare ogni pericolo terroristico e il riconoscimento di un servizio di competenza teologica per rispondere adeguatamente alle aberrazioni teologiche che solo la loro competenza è in grado di smascherare.
Altre voci indipendenti non hanno mancato di far notare le ambiguità del testo, al di là della condivisione delle sue intenzioni. Difendere gli ebrei sembra implicare il rifiuto dell’islam. La critica antisemita diventa strumento per un identitarismo politico nazionalista. Non ci sono spazi per la denuncia dell’islamofobia che è anch’essa un fenomeno della nostra società. L’appassionata difesa della laicità non può dimenticare che la Francia è «anche musulmana». Parlare di «pulizia etnica a bassa intensità» significa dare spessore retorico a fenomeni più puntuali e limitati.
Che significa chiedere il riconoscimento d’obsolescenza di testi del Corano ad autorità religiose inesistenti (il parallelo con la Chiesa cattolica è sbagliato)? Lo stesso processo conciliare cattolico è stato lungo e non ha cambiato la Scrittura. Non stiamo creando i nuovi Protocolli dei saggi (di Sion), in questo caso islamici? Accusare un’intera religione significa alimentare le fratture che rendono precaria la convivenza civile.
Vento velenoso in Europa
La paura per una rinnovata ondata antisemita va ben oltre la Francia. In Polonia sono diventati di nuovo spendibili, dopo la discussa legge sulla memoria di Auschwitz, pregiudizi antiebraici di cinquant’anni fa. Nel 1968 furono espulsi 13.000 ebrei polacchi, accusati di attacco allo stato.
I responsabili delle istituzioni della memoria ebraica (M. Stola, del museo Polin, M. Bilewicz, direttore del centro ricerche sui pregiudizi sociali, P. Cysinski, direttore del museo di Auschwitz-Brikenau) denunciano una retorica nazionalista che dà spazio crescente al pregiudizio ebreo-comunista, ben conosciuto nella storia recente del paese, accompagnata da una violenza di linguaggio, sdoganata dalla crisi migratoria del 2015. Nazionalismo, anti-migrazione, anti-islam e figure dell’antisemitismo si saldano in un terreno di coltura pericoloso.
Un documento dell’episcopato polacco sul patriottismo «ospitale e inclusivo» della migliore tradizione nazionale e la denuncia dell’anti-semitismo come contrario ai principi cristiani (14 marzo 2018) costituisce una pregevole ma insufficiente correzione ad un clima ben più pesante.
Una nota dei vescovi del gruppo di Visegrad (Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria) denuncia, con qualche ragione, la laicità a-valoriale dell’Europa senza interrogativi di fondo sulle pieghe ambigue del nazionalismo dei propri paesi (18-19 ottobre 2017).
Preoccupazioni crescenti anche per l’antisemitismo attivo in Germania. Non passa settimana che sui giornali non appaia la denuncia dell’uno o l’altro evento che abbia caratteristiche anti-ebraiche. Il Centro di informazione e ricerca sull’anti-semitismo ha registrato nel 2016, 590 «incidenti» in merito. Nel 2017 sono diventati 947. Anche qui la connessione fra paura dell’immigrazione islamica e antisemitismo vanno di pari passo.
Così in Austria, dove il nuovo partito di governo (FPÖ, Partito della libertà austriaco) ha dovuto far dimettere un candidato alle elezioni amministrative, Udo Landbauer, per apologia nazista ed è sistematicamente accusato per posizioni antisemite espresse in una pubblicazione vicina, Die Aula. Per il 18% della popolazione sono incidenti irrilevanti.
Anche in Gran Bretagna alcuni del partito laburista si interroano sulle spinte anti-semite contenute nelle critiche anti-sioniste allo stato d’Israele.
Un contesto che in parte sollecita e in parte ferisce la scelta ecclesiale di un dialogo delle buone prassi. Essa è consapevole che non si possono addebitare all’islam nel suo insieme le violenze del fondamentalismo e che solo un paziente scavo può convincere l’Umma a un diverso approccio ai testi fondativi.
La contestuale difesa dell’ebraismo e dell’immigrazione la pone al centro di forti pressioni, sia interne che sociali, collocandola di fatto in un ruolo strategico per dare futuro ad un islam europeo e a un continente che deve fare i conti con i suoi antichi démoni.
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