Attrazione fatale: il dress code della nuova religione estetica

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Met Gala 2018

Jared Leto (destra) e Lana Del Rey al Met Gala 2018

Non esiste alcun dubbio sul fatto che la mostra promossa al Met di New York con il titolo Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Immagination riscuoterà un successo strepitoso. Tutti gli ingredienti sono al loro posto. Battezzata il 7 maggio da Donatella Versace, Anna Wintour e il cardinale Gianfranco Ravasi, nel contesto del Met Gala 2018, la mostra curata da Andrew Bolton riesce a mettere insieme, per la prima volta e con una visibilità eccezionale, 40 capolavori di arte ecclesiastica provenienti dalla sacrestia della Cappella Sistina, alcuni mai usciti da quelle stanze, vesti, tiare e accessori appartenuti a 15 papati storici, con una collezione di abiti ispirati ai paramenti religiosi e perfino a mosaici a tema sacro firmati da Versace, Moschino, Dolce & Gabbana, Valentino, John Galliano per Dior, Jean Paul Gaultier, Yves Saint Laurent e diversi altri grandi couturier, tra cui Balenciaga e Elsa Schiaparelli.

Sui social lievita già fervida la ridda di reazioni alla fantasiosa antologia di invenzioni che il dress code del Gala ha ispirato sul tema. La comunicazione che accompagna il lancio della mostra tocca dal canto suo il tasto di un eccezionale incontro fra dimensioni apparentemente inconciliabili. Ma in questo caso sacro e profano si frequentano da tempo con una assiduità di cui questo evento newyorkese pare solo essere una sorta di attesa celebrazione. La storia dell’abito ecclesiastico è inspiegabile senza quella dell’arte tessile e delle mode che anche in altri tempi hanno guidato le sue estetiche.

Sono decenni del resto che i grandi couturier scavano nell’antica miniera della maniera cattolica in cerca di materiale utile alle loro invenzioni. Lo scintillante cattolicesimo e i lussureggianti rituali della moda hanno più dimensioni in comune di quanti siano gli aspetti che apparentemente li rendono inconciliabili. Il fascino e la seduzione che il loro connubio possono generare ha trovato espressione, solo per ricordare qualcosa di non molto lontano, nel Papa giovane di Paolo Sorrentino con le accuratissime e stupefacenti creazioni di Carlo Poggioli, costumista della serie.

rihanna

Rihanna in una sala dell’esposizione Heavenly Bodies al Met

Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Immagination, insomma si adagia in un letto già abbastanza riscaldato. Celebra ai massimi livelli un intreccio che non ha mai smesso di essere nell’aria, e la cui investitura su un palcoscenico della cultura internazionale, più che sorprendere, conferma questioni e interrogativi molto interessanti sul sentimento religioso serpeggiante nella nostra tecnicizzata e secolare civiltà tardomoderna e sulle forme di un cattolicesimo alle prese con le sue seduzioni epocali, il sacro inestirpato della società laica e il fascino residuo della religione confessionale. In specifico, e a unire tutti i puntini dello schema, lo strapotere della dimensione estetica cui l’epoca ha assegnato il compito di veicolare le pulsioni in circolazione libera di questi atavici sentimenti.

Viene in mente l’Ottocento della restaurazione, dopo la sbornia rivoluzionaria, i baccanali consumati attorno all’altare della dea ragione, quando consumati paladini della cultura dei Lumi tornavano a frequentare le chiese, si riavvicinavano alla forma cattolica, per via del gregoriano e del suo fascino, della liturgia e della sua bellezza. Erano i tempi in cui Chateaubriand scriveva il Genio del cristianesimo, nasceva la letteratura romantica e l’arte prendeva il posto della religione. La dimensione estetica, carica dei suoi additivi sentimentali e gravida dei suoi erotismi di base, entrava nel nostro ordine culturale come spazio di sopravvivenza del sacro e della religione, espulso dalla ragionevolezza dei saperi, ma reintegrato per necessità di sistema dal lato della vita emotiva e nel perimetro dei sentimenti.

Lo charme della religione si faceva valere in un’epoca in cui le sue ragioni non avevano più circolazione. Correndo quei rischi che qualche decennio fa un grande teologo come von Balthasar ha provato a rendere perspicui. La tentazione di cedere a una religione estetica, anziché scavare a fondo nelle ragioni teologiche e filosofiche di una estetica della religione, erano e sono fortissime, fare della religione uno spettacolo, esaurire l’esperienza che le corrisponde nella messa in scena dei suoi elementi esteriori, contando sul grado di seduzione che essi sanno sempre esercitare sui più svariati umori di base nascosti nell’inconscio della vita collettiva e nei meandri della psiche individuale.

kate perry

Kate Perry al Gala di apertura di Heavenly Bodies al Met

E mi pare non ci sia bisogno di questa mostra, splendida e interessante, stupefacente e rivelatrice, per convincerci di quanto la seduzione di una religione estetica ci stia avvolgendo. Basta osservare molti aspetti del nostro attuale cattolicesimo, in alto come in basso, fra i dotti e fra i semplici. Un cattolicesimo ritirato dalle sfide del presente, riottoso a una vera riforma della propria testimonianza, renitente nell’acquisire la lezione di una equilibrata e giusta condizione di laicità, ma portato a rifugiarsi nella persistenza delle forme, rintanarsi nel surrogato di una bellezza museale, consolarsi con la complicità di un mondo che della religione ignora la profezia e disdegna la giustizia, ma copia il fascino e assume l’estetica.

Ecco, una mostra come questa può dire molto dell’aria che tira negli spaesati umori della laicità contemporanea e di quello che ha nel cuore molta parte di un cattolicesimo che si sta ancora chiedendo che parte deve fare in questa epoca così convulsa e straniante.

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2 Commenti

  1. Andrea 16 maggio 2018
  2. Erminio Burbello 9 maggio 2018

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