Contro «l’argomento del tiranno»

di:
pensatore

Auguste Rodin, Il pensatore

Non si può che essere contenti di un certo «ritorno» della filosofia in ambienti che si sono a lungo vantati di poterne farne a meno: penso alla proposta di insegnare filosofia come materia stabile anche nelle scuole superiori di orientamento tecnico e commerciale, così come alla recente introduzione di un suo insegnamento al Politecnico di Milano (si aggiunga il master in Filosofia dell’economia appena nato proprio in Cattolica).

Propongo la seguente definizione: la filosofia è costituita da parole frutto di una discussione pubblica tra pari intorno all’intero. Ogni singolo termine di tale definizione meriterebbe una lunga disquisizione (in particolare è il riferimento all’«intero» a suscitare un’insistente interrogazione: Di che cosa si tratta? Ha senso parlare di «intero»? ecc.), ma in questa sede vorrei limitarmi a sottolineare la forte dimensione etico-politica della riflessione filosofica.

Si tratta sempre di una parola «pubblica» e di una parola «tra pari», vale a dire di una parola la cui eventuale forza non dipende dal luogo in cui essa viene proferita e neppure dai titoli di coloro che la proferiscono; contro coloro che si attribuiscono un particolare accesso alla verità, così come contro coloro che affermano che un simile accesso si produce solo all’interno di determinati luoghi (in generale: nei luoghi alti e segreti, quelli abitati da una aristocrazia di iniziati), il filosofo non si stanca di affermare che una parola di verità può essere proferita da chiunque e in qualsiasi luogo, a condizione però – ed è proprio di questo che gli «aristocratici» si attribuiscono l’esclusiva – che tale verità sia cercata con sincerità, serietà e rigore.

Inoltre la filosofia è convinta che una simile ricerca sia sempre il frutto di un confronto, per l’appunto di una discussione. L’impresa è così complicata ed ardua (per alcuni è addirittura impossibile; è la convinzione di certi sofisti: non esiste alcuna verità, se anche esistesse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile) da richiedere il contributo di tutti: al dibattito in cui si contrappongono tesi diverse secondo la logica della contesa (vince la tesi che si dimostra più forte perché batte più forte) bisogna preferire la discussione in cui ci si confronta, secondo la logica del dialogo, non sulle singole tesi ma sulle ragioni che si suppone le sostengano (vince non la tesi che è sostenuta con forza ma quella che in sé si dimostra più forte, vale a dire più ragionevole).

Contro ogni tentazione fusionale e ogni cedimento a facili entusiasmi del sentimentale e di un certo religioso, ma anche contro ogni intuizionismo di tipo mistico, il filosofare comporta infatti la capacità di fermarsi, prendere tempo, ri-flettere con lucidità, serietà, pazienza ed indipendenza di giudizio, sviluppando in particolare la dimensione critica, soprattutto verso i propri presupposti e preconcetti, dando così vita a un libero, pacifico e pubblico scambio comunicativo con gli altri. A tale riguardo non si può fare a meno di riconoscere come, soprattutto in una parte del mondo cattolico, una certa «arroganza del pratico o del concreto» abbia finito per alimentare un irriducibile sospetto nei confronti di ogni pensiero che, pensate un po’, invece di agire, insiste nel perdere tempo a pensare. Proseguendo lungo questa strada, ai molti che «predicano bene ma razzolano male», si sono così aggiunti i moltissimi che «razzolano bene ma predicano male, anzi malissimo», confermando di conseguenza l’antica verità secondo la quale «due torti non fanno una ragione». A furia di dire che l’importante sono i fatti e non le parole-pensieri si sono resi i fatti stessi muti: è come se non si riuscisse più a dare voce, una nuova voce, al tanto bene che è ovunque. In altre parole, se, per paura degli eccessi e dei cosiddetti scandali, si insiste nel non pensare, alla fine si può essere certi che ci si riuscirà.

È per questo insieme di ragioni che il teoretico ha per sua natura sempre una valenza etico-politica: in filosofia l’«aver ragione», il tentare di aver ragione, coincide necessariamente con il «rendere ragione»; in essa il sapere in quanto presa e possesso (com-prendere) si identifica con il sapere in quanto esercizio etico-politico del dover rendere (com-prendere): la filosofia è un discorso alimentato dalla responsabilità di una parola capace di rendere conto all’altro.

Tale discorso non è mai passato di moda, o forse meglio: la filosofia, pur essendo sempre presente e attiva, non è mai stata di moda proprio perché è la moda ciò che la riflessione filosofica non si stanca di interrogare e mettere in questione. In effetti non si può ridurre la rilevanza etico-politica di un pensiero filosofico alle eventuali prese di posizione sui cosiddetti «temi d’attualità»; come è ormai noto da tempo, l’«attualità» è un concetto assai vago che non raramente è il frutto di costruzioni mediatiche alimentate da evidenti interessi economico-politici.

Non a caso la filosofia, fin dalla sua nascita, si è interrogata sulla doxa dimostrandosi sospettosa nei confronti di tutti gli effetti prodotti da quelli che possono essere definiti «eccessi di evidenza». A tale riguardo vale la pena ripetere alcune ovvietà: «Pubblico» non coincide con «pubblicitario», così come la «semplicità» – è l’eterna accusa rivolta ai filosofi, soprattutto dai pigri e dai militanti del non-pensiero: siete troppo difficili – non si identifica con quella «semplificazione» che senza dubbio garantisce una certa visibilità mediatica ma a prezzo di una sicura e talvolta eccessiva banalizzazione.

Il «ritorno» cui accennavo all’inizio – che in verità a tale solo per coloro quella che non si sono accorti o hanno preferito non accorgersi che la funzione sociale dell’opera dei filosofi emerge essenzialmente, non da qualche comparsata in tv o nei quotidiani, ma dai loro testi, dal loro modo di insegnare, se insegnano, dalle conferenze che tengono e in genere da tutta l’attività pubblica, e per l’appunto non pubblicitaria, ch’essi svolgono – può senza alcun dubbio aiutare il pensare a non sclerotizzarsi nel pensato, a restare di conseguenza sempre aperto e soprattutto a non farsi abbagliare da quegli eccessi di evidenza e di necessità che sempre alimentano, per riprendere le acutissime parole di Milton in Paradise Lost, «l’argomento del tiranno» (tyrant’s plea) (Paradise Lost IV, 393-394).

Silvano Petrosino, studioso di filosofia contemporanea, si è occupato prevalentemente dell’opera di M. Heidegger, E. Lévinas e J. Derrida. Oggetto dei suoi studi sono la natura del segno, il rapporto tra razionalità e moralità, l’analisi della struttura dell’esperienza con particolare attenzione al rapporto tra la parola e l’immagine. Insegna Filosofia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano. Il suo ultimo libro, pubblicato da Vita e Pensiero, è Contro la cultura. Per EDB è autore, insieme a M. Iofrida, di Contro il post-umano. Il testo è stato pubblicato sulla rivista on-line VP Plus 19, il 26 maggio 2018.

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