Dopo l’età del padre, ovvero dei padri della Prima Repubblica (1948-1984), seguì per un quarto di secolo l’età del figlio o di colui che di sé ha detto: «Mi sono fatto da solo» (generato e non creato?). Oggi siamo entrati solennemente nella Terza Repubblica, nell’età dello spirito.
Un paradigma, questo delle tre età, che, ideato con ben altre intenzioni da Gioacchino da Fiore, ha attraversato più o meno consapevolmente le vicende della nostra cultura italiana ed europea. La formula «terzo regno» se fosse pronunciata in tedesco ci farebbe sobbalzare.
Il terzo regno si presenta come un sogno utopico, un ideale al quale l’uomo pare non possa rinunciare. I suoi profeti preconizzano l’irrompere del cambiamento, l’attuazione di promesse salvifiche a lungo attese: una società in cui l’onestà regna sovrana; è messo al bando il compromesso; in cui progressivamente e pervasivamente la città viene eticizzata, purificata dalle scorie; in cui è fatta piena luce su quella mezza ombra crepuscolare che caratterizza la realtà politica, giuridica, sociale e, con esse, la vita umana.
È evidente che ogni assetto politico soffra di un naturale deterioramento. Che dopo alcuni anni o decenni quegli elementi trascurati da un leader o da un sistema politico producano un disagio, chiedano un risarcimento.
Ad essere singolare è invece il fatto che questa esigenza di discontinuità, che ad un certo punto si affaccia, pare non possa fare a meno di adottare un certo dualismo, affatto innocente.
Si tratta di una retorica manichea. Essa semplifica la realtà separando la luce dalle tenebre. Ricordiamo tutti lo scandalo di «Tangentopoli» e l’indagine «Mani pulite», quel regime giudiziario che ha firmato il certificato di morte della Prima Repubblica. È una locuzione a cui ci siamo assuefatti, ma «mani pulite» appartiene ad un vocabolario manicheo, ad un giustizialismo non privo di macchie. Non è solo un mio giudizio. Lo stesso Antonio Di Pietro ha fatto ammenda dopo trent’anni da quegli eventi, riconoscendo di aver costruito erroneamente il suo consenso politico sulla retorica della paura e delle manette.
Ora ciò che è successo nell’interstizio temporale fra la Prima e la Seconda Repubblica sembra si stia riproponendo in modo analogo oggi. Non imparare dalla storia ci condanna a reiterare gli errori.
Siamo tutti protagonisti e spettatori dell’emergere di un nuovo linguaggio dualista: prevale il «movimento» sul partito, il «popolo» sullo stato, la «piazza» sui palazzi, il «governo dei cittadini» su quello delle élite. La falsa luce si nutre delle false tenebre, cresce a colpi di denigrazione, ha bisogno di inventare un «nemico»: si è persino insinuato un impeachment per Mattarella e i nemici giurati sembrano essere ora l’Europa, la BCE e gli immigrati. Tutto ciò che non andrà in porto delle mirabolanti promesse di questo governo, sarà colpa esclusiva dei nemici.
Come può poi questo governo dirsi «puro», se è nato solo grazie ad un «compromesso» (per noi altri, parola nobile!) fra gli immacolati a 5 stelle e la Lega di Salvini?
Non sentiamoci però troppo sfiduciati. Ogni novità porta con sé anche elementi positivi. Spunteranno anche gemme su questi rami. Confidiamo che alla buona volontà dei ministri facciano seguito risultati sostenibili a lungo termine.
Non sentiamoci nemmeno troppo soli. È sì una magra consolazione, ma pur sempre una verità: noi italiani, intuitivi e impulsivi, abbiamo sempre anticipato in uno stile da operetta ciò che poi gli altri paesi del mondo hanno poi realizzato in grande: prima abbiamo inventato il fascismo di Mussolini, e i tedeschi lo hanno preso sul serio in modo demoniaco; poi abbiamo ideato la Lega Nord secessionista e padanista coi i suoi riti pagani, e francesi e tedeschi ci hanno emulato, rendendo la cosa più seria; abbiamo dato dunque i natali a Berlusconi in politica e gli americani ci hanno seguito con Trump, un versione in grande dell’imprenditore al potere.
Forse che allora questo primo governo a trazione populista non sia un’ultima nostra invenzione, prossimamente su altri schermi? Se solo riuscissimo ad ottenere i diritti d’autore sulle nostre trovate, avremmo finalmente risolto il problema del debito.
Gianluca De Candia è Privatdozent presso il Dipartimento di questioni filosofiche fondamentali della teologia dell’Università di Münster e collaboratore del direttore del Dipartimento prof. Klaus Müller. Oltre a una serie di ritratti biblici, ha pubblicato su Settimana News gli articoli Il “catechismo” di Donald Trump (2 giugno 2017) e Individualisticamente democratico (7 giugno 2017).