Continua l’agonia del governo Dilma Rousseff del partito dei lavoratori (PT), rieletta di misura con il 51,64% dei voti contro il 48,36% di Aécio Neves, candidato di centro destra nelle elezioni del 5 ottobre 2014. Dilma è attaccata dai mass media, dall’apparato di giustizia, dai deputati. Dei 38 che hanno votato per l’impeachement in commissione, 35 sono indagati dalla giustizia con l’accusa di estesa corruzione. Dei 27 che hanno votato contro, 3 sono pure indagati. Da che parte è allora la corruzione?
C’è una sbandata generale dei partiti della “base” del governo. È paragonabile alla fuga dei topi quando la nave va a picco. I pronostici non sono favorevoli al governo. Sono necessari 342 voti (2/3 dei 513 deputati) perché l’impeachement passi alla Camera bassa. Il voto sarà domenica 17 aprile. A Dilma, presidente e capo del governo, bastano 171 voti per rimanere in carica.
Se passa alla Camera, il procedimento d’impeachement passa al Senato, dove 41 su 81 voti (metà più uno) bastano per procedere. Se sarà così, Dilma lascia il governo per 180 giorni; le subentra il vice, Michel Temel del partito del Movimento democratico brasiliano e incomincia l’iter in Senato.
Per condannare la presidente Dilma Rousseff alla fine del processo sono necessari i 2/3 dei voti dei senatori.
C’è quindi ancora un lungo cammino da percorrere, logorante per il paese e soprattutto con gravi conseguenze sull’economia e sui posti di lavoro, che vengono a mancare di giorno in giorno.
A mio parere, le accuse non configurano i crimini che la Costituzione prevede. Si tratta di un processo politico all’interno di lotte tra classi, reso più infuocato dalla crisi economico-sociale.
(testo raccolto da Francesco Strazzari)
José Oscar Beozzo, brasiliano, è teologo e storico dell’America Latina