Anche per Giuseppe De Virgilio, cinquantasettenne professore associato di esegesi del NT e di teologia biblica presso la Pontificia Università della Santa Croce in Roma – nonché dottore in teologia morale (2010) – le Lettere Pastorali (LP) sono opere pseudoepigrafiche della fine del I sec. d.C., espressione del periodo di passaggio fra la seconda e la terza generazione di cristiani.
Frutto della tradizione paolina, le lettere indirizzate a due figure di “pastori” carissimi a Paolo – Timoteo nominato responsabile della Chiesa di Efeso e Tito di quella di Creta (con sede a Gortina) – intendono recuperare e attualizzare la figura e l’insegnamento di Paolo nel contesto culturale e religioso mutato di fine secolo, in pieno ambiente greco-romano.
Il movimento “cristiano” e la Chiesa non si stanno “imborghesendo” – come qualcuno ha sostenuto (tacciandolo come bürgerliches Christentum) – ma è innegabile che il superamento del trauma della mancata parusia imminente porta alla sottolineatura dell’impegno etico del cristiano e alla ricerca di presentare la comunità cristiana ben inserita nelle strutture politico-civili della società greco-romana, presentandola tramite il modello della “casa di Dio” e della “famiglia” e la sottolineatura della necessità del buon andamento delle comunità sotto la guida di episcopi, presbiteri e diaconi.
La preoccupazione ecclesiale è prioritaria nelle LP, tramite l’elencazione delle qualità richieste ai responsabili – equivalenti a quelle dei funzionari civili della cosa pubblica –, la lista dei doveri reciproci fra i vari membri della comunità equivalenti a quelli vigenti nella famiglia (“codici domestici” o Haustafeln) e la raccomandazione a combattere la propaganda distruttiva degli eretici e dei “falsi dottori” di impostazione pre-gnostica.
Non mancano spezzoni innici di origine liturgica, detti e proverbi, liste di virtù (fede, speranza, amore, onestà, probità, saggezza, “pietà= religiosità/eusebia, equilibrio, moderazione), inviti alla preghiera e ad una vita conforme alla vocazione ricevuta, criteri di discernimento e di regolamentazione del comportamento da tenere verso le “vedove”.
In modo corrispondente si elencano liste di vizi da evitare accuratamente. Il cristiano deve “lottare” e agire in modo operoso nel mondo in cui vive, testimoniando l’esperienza della conoscenza della verità, cioè il patrimonio spirituale del godimento dell’amore gratuito di Dio.
L’annuncio cristologico e teologico di Paolo viene visto come “sana dottrina”, un “deposito/parathēkē” da custodire con somma attenzione e da trasmettere in modo integrale e con coerenza di vita.
Il punto di riferimento della comunità resta fondamentalmente Cristo, ma in primo piano rimane la figura dell’apostolo Paolo (“esclusivismo paolino”), del quale si elabora un quadro a volte ideale (Paulusbild) di peccatore – Paolo non ha mai espresso una tale coscienza nelle lettere autoriali! –, persecutore perdonato e poi reso araldo/kēryx, apostolo/apostolos e maestro/didaskalos.
La figura del Cristo, di cui si sottolinea la “manifestazione/epiphaneia” incarnatoria e quella parusiaca, assume le nuove titolature di “Salvatore/sōtēr”, oltre a quella di “Signore”.
Paolo viene invece presentato soprattutto come servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo, messaggero, apostolo e maestro, un modello esemplare di cui imitare l’esempio e le parole udite. Egli è un modello ministeriale di cui Timoteo e Tito, nella loro imitazione, assumono valore paradigmatici, diventando “trasparenti” e modello dei responsabili delle comunità (cf. Fabris, citato a p. 28).
L’eredità spirituale di Paolo è presentata nel suo essere uomo del “servizio”, di cui Timòteo e Tito devono assimilare il “cuore” pastorale. Egli è l’uomo della Parola, incentrato nella predicazione, nell’annuncio del vangelo e nell’insegnamento. Paolo è visto come un atleta e un soldato che “combatte” nell’impegno radicale, esigente ed esclusivo del ministero che coinvolge l’intera sua esistenza.
Alcuni realia di Paolo conservati nella tradizione concorrono a presentare 2Tm come un drammatico lascito spirituale testamentario pieno del pathos dell’Apostolo che si è speso tutto per il vangelo e per la crescita della fede delle sue comunità.
Nella presentazione, De Virgilio ricorda lo scenario che si evince dalle LP e che costituisce la struttura della cronologia classica che prevede due prigionie romane, il viaggio in Spagna e il ritorno in Oriente. Va ricordato che la maggioranza degli studiosi non si serve della LP per ricostruire la scansione cronologica della “corsa” apostolica di Paolo.
Il commento è ricco di suggestioni, aderente al testo, senza note a piè di pagina. I termini greci in esame sono in traslitterazione. La traduzione seguita è quella ufficiale della CEI 2008, anche se non detto. Un volume molto utile per accostarsi ad una parte dell’epistolario paolino che, non essendo autoriale, tende a essere un po’ trascurato nella considerazione dei lettori e dei cristiani in genere.
Giuseppe De Virgilio, Lettere a Timoteo Lettera a Tito (Nuovo Testamento – Commento esegetico e spirituale s.n.), Città Nuova, Roma 2017, pp. 192, € 18,00.