La commissione ufficiale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella anglicana ha postato online, il 2 luglio scorso, il documento “Camminare insieme lungo la strada: imparare a essere Chiesa – locale, regionale, universale (Walking together the way – Learning to Be the Church — Local, Regional, Universal)”, elaborato lo scorso anno ad Erfurt, in Germania.
È un testo di 68 pagine che affronta le strutture e i processi decisionali delle due Chiese ed esplora le modalità per il mantenimento della comunione fra esse ad ogni livello, locale e universale.
Afferma, inoltre, che le strutture di gestione hanno bisogno di riforme, e analizza le modalità di comunione con altri partner ecumenici.
Inoltre, esamina le condivisioni dei principali aspetti teologici e le differenti modalità e strutture, basate sui medesimi principi comuni, attraverso le quali le due Chiese giungono alle decisioni finali.
Come sede dei lavori era stata scelta la città tedesca di Erfurt perché in questo luogo Martin Lutero aveva sentito la vocazione ed era entrato nell’ordine agostiniano. E perché era il 500° anniversario della Riforma.
Nonostante «diverse difficoltà» e alcuni «ardui problemi» incontrati negli anni scorsi, i teologi anglicani e cattolici che costituiscono l’ARCIC III, nell’incontro del 14/20 maggio del 2017 – come ha affermato Radio Vaticana –, sono riusciti a concludere la prima parte del loro mandato e a raggiungere un accordo a partire da come le due Chiese sono strutturate a livello locale, regionale e universale.
Ma cosa contiene questo nuovo testo ecumenico? E come influenzerà i cattolici e gli anglicani ordinari?
Molti i temi affrontati
Il documento – scrive Joshua J. McElwee, vaticanista del periodico National Catholic Reporter in un articolo, ripreso poi anche da Vatican Insider, in cui ha messo in risalto le affermazioni-chiave del testo – sottolinea: «La Chiesa può imparare dalla cultura del dibattito franco e aperto che esiste a tutti i livelli della Comunione anglicana… La prassi anglicana di attribuire un ruolo deliberativo ai sinodi e di investire l’autorità negli strumenti regionali di comunione afferma che il sinodo dei vescovi potrebbe esercitare un ruolo deliberativo e suggerisce che la Chiesa cattolica romana ha bisogno di articolare più chiaramente l’autorità delle conferenze episcopali».
Aggiunge, inoltre, che la Chiesa cattolica può fruttuosamente «imparare dall’inclusione dei laici nelle strutture decisionali a tutti i livelli della vita anglicana».
Creata in seguito allo storico incontro del 1966 tra Paolo VI e l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Michael Ramsey, la commissione ha cominciato i suoi lavori nel 1970 e ha pubblicato il suo primo documento l’anno successivo sulla comprensione della dottrina eucaristica delle due Chiese.
Il documento ora pubblicato abbraccia un vasto ventaglio di problemi che riguardano l’ordinazione, l’autorità e la salvezza. In precedenza, nel 2005, la commissione aveva reso pubblico un documento intitolato “Maria: grazia e speranza in Cristo”. Poi ci fu una lunga paura, dopo che Giovanni Paolo II aveva disapprovato la nomina episcopale nel New Hampshire del vescovo Gene Robinson, un uomo che viveva apertamente una relazione gay.
I due co-presidenti della commissione, l’arcivescovo cattolico Bernard Longley, di Birmingham, e l’arcivescovo anglicano David Moxon, della Nuova Zelanda, che ha appena terminato il suo servizio presso la Santa Sede in qualità di rappresentante dell’arcivescovo di Canterbury, scrivono nella prefazione che questa fase ha lo scopo di riconsiderare due costanti temi del dialogo: l’autorità e l’ecclesiologia di comunione.
Un documento per la discussione
Il documento ora prodotto è destinato alla discussione; non è una «dichiarazione autoritativa» delle due Chiese. È diviso in sei capitoli di cui tre esaminano il modo di esercitare l’autorità in ciascuna Chiesa sul piano locale, regionale e mondiale. L’attenzione principale di questa analisi è di conoscere le diverse modalità con cui le due Chiese armonizzano il diverso processo decisionale tra il piano locale e quello universale.
Per esempio, il documento sottolinea che, nella Comunione anglicana, le province locali possono prendere delle decisioni sulla condivisione dell’eucaristia con altre Chiese nella loro provincia, contrariamente a quanto avviene nella Chiesa cattolica in cui le decisioni sono riservate a Roma. «Questa differenza tra le due tradizioni è centrale nella diversa comprensione e struttura della Chiesa cattolica e della Comunione anglicana».
«In parte – sottolinea il documento – ciò si riferisce ai modi differenti di comprendere come la Chiesa cammina verso l’unità, la missione e la verità. In questione è l’equilibrio tra il modo di rispondere alle domande di alcuni contesti specifici e l’esigenza di muoversi insieme».
Il documento esamina anche le tensioni che esistono nella prassi di comunione all’interno di ciascuna Chiesa, mettendole a confronto su due colonne accostate del testo. Così si comprende con chiarezza cosa intende dire quando ciascuna Chiesa parla in maniera specifica della propria esperienza.
Le tensioni identificate dai membri cattolici della commissione sono molto ampie. Un’«area di difficoltà» riguarda il concetto secondo cui i vescovi cattolici del mondo possono agire insieme in maniera autoritativa anche quando non sono raccolti in Concilio.
«Nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis e nell’enciclica Evangelium vitae si fa appello a questo insegnamento vincolante, scrivono i membri cattolici della Commissione, riferendosi alla riaffermazione del 1994 riguardante la proibizione dell’ordinazione sacerdotale delle donne nella Chiesa cattolica e al documento del 1995 che ha trattato problemi quali l’aborto e l’eutanasia.
«Tuttavia, non c’era un atto che segnasse l’esplicito consenso dei vescovi circa questo presunto insegnamento vincolante… Di conseguenza, né i vescovi né i laici possono sapere quali insegnamenti hanno bisogno di un consenso prima di essere resi obbligatori, o da un papa… o da un concilio ecumenico».
I membri cattolici della commissione hanno discusso anche dei poteri dei papi nei recenti decenni, affermando che l’uso di un’autorità del genere «può… sembrare troppo lontana dalla realtà delle singole Chiese locali».
«Papa Francesco ha notato che esiste una tendenza dei vescovi di rinviare troppo in fretta i problemi a Roma anziché esercitare la loro autorità».
«L’autorità decisionale esercitata da Roma (in particolare per ciò che riguarda le nomine dei vescovi) e il suo potere di censura possono rendere i singoli vescovi e le conferenze episcopali reticenti e restii nell’esercizio della loro autorità».
Inoltre, i membri cattolici ritengono che «l’istinto per l’unità e la partecipazione vissuti il più possibile insieme alla loro Chiesa possa a volte indurre a credere che «tutta la Chiesa debba sempre agire unitariamente in tutti i problemi, con la conseguenza che anche le legittime differenze culturali e regionali vengono soppresse».
«Anche se esistono delle tensioni riconosciute in seno alla Comunione anglicana, la Chiesa cattolica romana potrebbe imparare fruttuosamente dalla sua prassi della diversità provinciale e dal riconoscimento che, su certi problemi, parti diverse della Comunione possono compiere in maniera appropriata discernimenti differenti, influenzati dalla pertinenza culturale e contestuale».
Esame dell’unità della Chiesa cattolica
Da parte loro, i membri anglicani della commissione apprezzano ciò che chiamano «l’impegno per l’unità» della Chiesa cattolica e suggeriscono che la loro comunione potrebbe emulare le pratiche cattoliche intese a mantenere un calendario comune dei santi, sviluppare un Catechismo dottrinale mondiale e avere un solo Codice uniforme di diritto canonico.
«Nonostante l’esitazione anglicana a modificare l’autonomia provinciale, c’è in essa un desiderio di unità e di impegno sul piano mondiale che richiede un’espressione più profonda nella vita della Comunione».
I membri anglicani della Commissione, inoltre, apprezzano il processo dei sinodi dei vescovi cattolici del 2014/2015 sui problemi riguardanti la famiglia e affermano che gli incontri mondiali dei vescovi cattolici derivanti dall’esortazione apostolica Amoris laetitia sono stati «accuratamente seguiti» dagli anglicani.
Essi dichiarano che «l’incoraggiamento di Francesco circa la sussidiarietà nella determinazione dei problemi pastorali che dividono potrebbe essere… un campo di apprendimento da accogliere».
I membri cattolici, pertanto, riconoscono che i modelli anglicani «potrebbero essere utilizzati per trasformare il sinodo da uno strumento puramente consultivo ad uno strumento deliberativo, previsto dal Codice di diritto canonico.
Imparare gli uni dagli altri
Nella sua conclusione, la commissione afferma di nuovo che sia la Comunione anglicana sia la Chiesa cattolica romana possono imparare dall’esperienza l’una dall’altra.
«Noi crediamo che gli anglicani possono imparare dai cattolici romani le strutture e le procedure che hanno sviluppato a servizio dell’unità sul piano ultralocale e quello universale».
«Crediamo anche che i cattolici possono imparare dagli anglicani le strutture e procedure che hanno sviluppato per garantire la consultazione e la deliberazione a livello locale e ultralocale».
In ambedue i casi c’è bisogno di una comprensione più ricca del ruolo dei laici e di coloro che, mediante il battesimo, partecipano pienamente al triplice ufficio di Cristo profeta, sacerdote e re».
La commissione, composta di 16 membri, 8 per ciascuna tradizione, ha affermato che, nella prossima discussione, da parte delle due Chiese l’attenzione sarà rivolta a discernere rettamente la dottrina etica.
Padre Anthony Currer, del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, e co-segretario dell’ARCIC III, intervistato da Philippa Hitchen sull’impatto che questo documento potrà avere sui cristiani ordinari ha risposto: «Questo è un esercizio che può essere compiuto a tutti i livelli della nostra Chiesa e noi invitiamo i laici, il clero e i vescovi locali a discutere insieme, (…) a essere sinceri l’uno verso l’altro su ciò che si sta dibattendo» e in questo modo crescere nella comunione, «riconoscendo ognuno come compagno lungo il cammino».