Il sito del Vaticano pubblica i documenti del viaggio di papa Francesco del 21 giugno sotto il titolo: «Pellegrinaggio ecumenico a Ginevra».
In un dizionario recente, la parola pellegrinaggio è definita come «un viaggio verso un luogo santo in uno spirito di devozione».[1] In questo caso, il luogo santo è la Ginevra di Calvino e di tutti i protestantesimi. Per quanto riguarda il pellegrino, è il papa, di cui il medesimo dizionario dice che è «il capo supremo della Chiesa cattolica romana» rinviando alla parola pontefice: «Alto dignitario cattolico. Il Sommo Pontefice: il Papa».[2] Che lo spirito di devozione fosse presente è evidente dalle parole pronunciate da Francesco, sia nella sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) che durante la celebrazione liturgica che ne è seguita. I 70 anni del CEC evocano, sulle sue labbra, «un periodo di tempo compiuto, segno di benedizione divina» che, per il futuro, «spalanca il metro di una carità smisurata».
Fin qui, tutto bene. Eppure… In occasione di un convegno ecumenico tenutosi a Monaco (Francia) nel giugno del 1965, al quale ho partecipato, ricordo di aver sentito il pastore Hébert Roux, osservatore riformato al Concilio, deplorare il fatto che, nel Decreto sull’ecumenismo Unitatis reditegratio, non si faccia menzione dell’enciclica Mortalium Animos di Pio XI del 1928 per dire che l’esclusivismo cattolico professato in quel documento è ormai superato.
Allo stesso modo, quando ho ascoltato papa Francesco giunto a Ginevra per l’anniversario della nascita del Consiglio Ecumenico delle Chiese, mi sarebbe piaciuto che il suo intervento includesse un breve riferimento al Monitum del Sant’Uffizio del 5 giugno 1948. Questo testo vietata, senza nominare esplicitamente il CEC ma prendendolo evidentemente di mira, la partecipazione a riunioni «dette ecumeniche» senza l’espressa autorizzazione della Santa Sede, così come qualsiasi partecipazione a liturgie diverse da quelle cattoliche: il 70° anniversario del CEC è dunque anche l’anniversario del deciso rifiuto allora opposto dalla Chiesa cattolica a questo stesso CEC.
Se papa Francesco non ha detto nulla, il teologo deve ancora rischiare qualche riflessione. Sono convinto che i Papi Pio XI e Pio XII pensassero che i loro due testi fossero «definitivi» e che non si sarebbe mai ritornati sulle posizioni allora prese: ci sarebbe certo sempre stato uno sforzo di benevolenza verso i «fratelli separati» per i facilitare il loro «ritorno all’unità», ma si pensava che, per rispettare la volontà di Cristo fondatore della sua Chiesa, nessuna transazione fosse possibile, né sul piano dottrinale, né su quello liturgico o istituzionale e neppure sul piano missionario.
Mi si renda atto che non esagero, poiché ho vissuto il 1948, ho ascoltato le dichiarazioni della Santa Sede, ho conosciuto i sospetti e le sanzioni riguardanti i rari «ecumenisti cattolici» dell’epoca. E, pio monaco benedettino non appartenente a un ambiente «progressista», seguivo il magistero dell’immenso papa Pio XII! Se oggi papa Francesco viene di persona a Ginevra, se a Lund partecipa a una liturgia con i luterani, è perché i criteri di giudizio sono cambiati. E infatti il concetto di «Chiesa cattolica» ha conosciuto, dal 1928 e dal 1948 a oggi, un approfondimento: i principali libri pubblicati tra le due guerre da teologi come Mersch, Congar, Lubac e altri, ne sono il segno sul piano teologico. Ma, con l’Azione Cattolica, si è fatta anche un’esperienza più ampia della realtà della Chiesa. D’altra parte, la lotta comune contro il nazismo ha rivelato l’eroismo cristiano non solo del vescovo cattolico von Galen, ma anche del pastore luterano Dietrich Bonhoeffer. La Shoah, da parte sua, ha lentamente mutato la visione tradizionale cattolica circa il popolo ebraico… Una sorta di nuova coscienza ecclesiale (che lo stesso Pio XII presentiva nell’enciclica Mystici Corporis del 1943) si è così diffusa.
La profezia di Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II hanno fatto il resto, di modo che, senza rinnegare le convinzioni passate nella loro essenza, le si sono ripensate e addolcite, introducendole in un contesto più ampio, e, infine, più tradizionale. È una tale evoluzione che ha permesso a papa Francesco di fare il suo pellegrinaggio.
Se quello che ho appena scritto è accettabile, penso che sia necessario trarre la seguente conclusione riguardo al presente: anche se è difficile ammetterlo, anche se è difficile gestirlo concretamente, si deve adottare un atteggiamento prudenziale nei confronti delle disposizioni pratiche emesse in un dato momento da un’autorità suprema come quella del papa o dei suoi uffici, persino per quanto riguarda le basi dottrinali addotte per giustificarle.
Dobbiamo quindi, credo, quando si tratta di questioni attuali, tenere presente l’esempio del «pellegrinaggio a Ginevra». Ho indicato in un precedente post, intitolato Unanimità, come la Regola di San Benedetto promuova un atteggiamento al contempo obbediente e aperto. Ne ho offerto un esempio concreto altrove: con mio grande stupore, nel 1964, il Concilio Vaticano II ha profondamente modificato la visione generale del ministero cattolico che Papa Pio XII aveva tracciato poco prima di morire, affermando che si trattava della «volontà di Cristo».[3]
Non voglio qui nascondere che sto pensando alla spinosa questione del sacerdozio delle donne (che non ho studiato personalmente a fondo): certamente papa Giovanni Paolo II lo ha escluso solennemente nel 1994, papa Francesco ha preso atto di questa esclusione nel 2016 in una conferenza stampa in aereo, e la Congregazione per la dottrina della fede lo ha ribadito proprio di recente.
Fin qui, tutto bene, eppure… non possiamo dire con certezza che questi documenti solenni, per quanto giustificati nella congiuntura attuale, dureranno per sempre. Infatti se, grazie a evoluzioni teologiche e concrete oggi imprevedibili, un giorno si introducesse un cambiamento, ci sarà un papa che dirà, come Francesco a Ginevra: «Quanti ci hanno preceduto nel cammino… hanno trovato l’audacia di guardare oltre e di credere nell’unità, superando gli steccati dei sospetti e della paura… Con l’inerme forza del Vangelo, hanno avuto il coraggio di invertire la direzione della storia».
Ad ogni modo, le cose rimangono al momento così e si può certamente pensare a riforme più urgenti. Punto a uno stato d’animo da conservare a proposito di questo stato di cose che accettiamo e rispettiamo.
[1] Le Robert de poche, édition 2006, p. 548.
[2] Ivi, pp. 538 e 578.
[3] Cf. La Chiesa : il travaglio delle riforme, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 5-13.
Pubblicato sul blog Des moines et des hommes il 9 luglio 2018.