Un alto «grido di dolore » per invocare «pace, giustizia e amore verso il prossimo» è risuonato sul lungomare di Bari, attraverso la voce di papa Francesco e dei patriarchi e metropoliti delle Chiese orientali, invitati dal papa il 7 luglio scorso, durante la giornata di preghiera e di riflessione sull’immane tragedia che non accenna a diminuire nel Medio Oriente.
«Siamo giunti pellegrini a Bari finestra spalancata sul vicino Oriente – ha detto il papa – portando nel cuore le nostre Chiese, i popoli e le molte persone che vivono situazioni di grande sofferenza. A loro diciamo: “vi siamo vicini” (…). Su questa splendida regione si è addensata, specialmente negli ultimi anni, una fitta coltre di tenebre: guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti. Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente. Questa giornata inizia con la preghiera, perché la luce divina diradi le tenebre del mondo. Abbiamo già acceso, davanti a san Nicola, la “lampada uniflamma”, simbolo della Chiesa una. Insieme desideriamo accendere oggi una fiamma di speranza».
«“Su di te sia pace” – cristiani insieme per il Medio Oriente» era il tema di questo incontro che ha visto convergere a Bari, presso la basilica di San Nicola, i capi di Chiese e comunità cristiane di questo martoriato territorio dove – ha aggiunto il papa – «tanti nostri fratelli e sorelle nella fede continuano a soffrire».
Sono venuti quasi tutti i patriarchi, ad eccezione di quelli impediti che hanno inviato un loro rappresentante: il patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli, il patriarca copto-ortodosso Tawadros II, il patriarca greco-ortodosso di Alessandria Theodoros II, il metropolita Hilarion Alfejew, in rappresentanza del patriarca russo-ortodosso di Mosca, il patriarca siro-ordotosso Ignatius Aphrem II, il patriarca maronita, card. Befchara Boutros Rai, il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, il vescovo evangelico luterano di Gerusalemme Sani Ibrahim Azar e la segretaria generale del Consiglio delle Chiese dell’Oriente Souraya Bechealany.
Un’idea maturata da molto tempo
L’idea di questo incontro – ha spiegato il card. Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani – era maturata da molto tempo, perché la situazione in Medio Oriente sta molto a cuore al santo padre. Il papa ha detto: il tempo è maturo ed è importante dare questo segno della preghiera per la pace per questa regione del mondo e invitare tutte le altre Chiese, soprattutto i patriarchi delle Chiese ortodosse, orientali e cattoliche, a Bari per pregare insieme per la pace. E rendere questo incontro pubblico, per esprimere vicinanza e solidarietà a tutti i cristiani e a tutti gli uomini e le donne che vivono in Medio Oriente. Certamente la guerra, ma soprattutto il fatto che molti cristiani stanno andando via da questa regione. Il fatto che in questa terra sono rimaste solo lapidi e non più uomini e non più cristiani. Abbiamo perso molto. Il papa quindi intende sostenere i cristiani di questa regione perché possano trovare le condizioni per rimanere e questa è anche una domanda incalzante dei patriarchi che dicono: «Noi siamo molto grati che voi accogliete i nostri rifugiati, ma non dite loro di venire. Aiutateli piuttosto, perché possano rimanere nella loro terra».
Le statistiche dicono che la percentuale dei cristiani nel Medio Oriente è diminuita drasticamente nell’arco di un secolo: mentre rappresentavano il 20% della popolazione del Medio Oriente prima della prima guerra mondiale, ora sono solo il 4%.
Perché è stato scelto Bari e non, per esempio, la città di Gerusalemme? Perché è la città dove sono venerate le reliquie del vescovo di Myra, san Nicola, un santo amatissimo non solo in Occidente, ma anche in Oriente. Si calcola che ogni anno passino da qui più di un milione di pellegrini e turisti. Sono i russi i pellegrini più numerosi. Seguono i romeni, i greci e i georgiani. Ma anche fedeli ortodossi provenienti da Eritrea ed Etiopia.
Tre i momenti importanti
La Giornata ha avuto tre momenti importanti anche dal punto di vista ecumenico: la venerazione delle reliquie di san Nicola, il momento della preghiera sul lungomare e l’incontro a porte chiuse nella basilica di San Nicola – quasi un piccolo conclave ecumenico.
Il primo momento si è svolto nella cripta della basilica di San Nicola, dove si trovano le reliquie del santo. Il papa sulla soglia della basilica ha accolto e abbracciato uno ad uno i suoi ospiti, poi insieme sono scesi nella cripta per venerare le reliquie. Qui, papa Francesco ha acceso la lampada uniflamma. La lampada è a forma di barca e rappresenta la Chiesa. E sulla barca eccelle la testimonianza di Nicola. Sulle spalle del santo, infatti, ci sono due coppe che rappresentano l’una la Chiesa d’Oriente e l’altra la Chiesa d’Occidente con scritta, in greco e in latino, la preghiera di Gesù al Padre, prima di morire, «che siano uno». Queste coppe sono alimentate da oli differenti, e ciò sta a dimostrare la diversità di riti di cui si compone la Chiesa.
La preghiera sul lungomare
Il secondo momento è stato quello della preghiera che si è svolto sul lungomare.
Dopo la preghiera a san Nicola, il papa e i patriarchi si sono trasferiti in pullman alla Rotonda, dove erano già riunite migliaia di persone. A introdurre la preghiera è stato lo stesso papa Francesco il quale ha detto: «Siamo giunti pellegrini a Bari, finestra spalancata sul Vicino Oriente, portando nel cuore le nostre Chiese, i popoli e le molte persone che vivono situazioni di grande sofferenza. A loro diciamo: “vi siamo vicini”… Qui contempliamo l’orizzonte e il mare e ci sentiamo spinti a vivere questa giornata con la mente e il cuore rivolti al Medio Oriente, crocevia di civiltà e culla delle grandi religioni monoteistiche. Lì è venuto a visitarci il Signore… Da lì si è propagata nel mondo intero la luce della fede. Lì sono sgorgate le fresche sorgenti della spiritualità e del monachesimo. Lì si conservano riti antichi unici e ricchezze inestimabili dell’arte sacra e della teologia, lì dimora l’eredità di grandi Padri nella fede. Questa tradizione è un tesoro da custodire con tutte le nostre forze, perché in Medio Oriente ci sono le radici delle nostre stesse anime».
«Il grido di pace è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. L’indifferenza uccide e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze. Per i piccoli, i semplici, i feriti, per loro dalla cui parte sta Dio, noi imploriamo: sia pace!».
L’incontro è poi continuato con le letture e le preghiere. Particolarmente significativa quella letta in greco dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo: «Signore Gesù Cristo… ispira cose buone nei cuori di coloro che vogliono la guerra e pacifica anche i nostri cuori, libera noi e tutti gli uomini dai desideri malvagi e avidi e semina nei nostri e nei loro cuori uno spirito di giustizia, di riconciliazione e di amore verso tutti i nostri fratelli».
E quella letta in arabo da Tawadros II, papa di Alessandria dei copti: «Signore, ti ringraziamo per ogni condizione, circa ogni condizione e in ogni condizione. Perché tu ci hai protetti, ci hai aiutati, ci hai preservati, ci hai accolti, ci hai risparmiati, ci hai sostenuti». Tawadros, la cui cattedrale dedicata a san Marco al Cairo ha le colonne macchiate col sangue dei martiri dei recenti attentati fondamentalisti, ha pregato per «tutti i martiri che sono morti per il tuo santo nome».
Attorno a una tavola rotonda “inter pares”
Dopo l’incontro di preghiera sul lungomare, il gruppo è ritornato alla basilica di San Nicola dove ha avuto luogo un incontro a porte chiuse durato due ore e mezzo. È stato un momento di intensa partecipazione e condivisione di grande intensità ecumenica e sinodale.
Al centro della basilica, liberato dai banchi, era stata predisposta una grande tavola rotonda con le sedie tutte uguali, segno – voluto – che tutti hanno lo stesso diritto di parola e a sottolineare la “parità” fra tutti. Seduti al tavolo c’erano “solo” i capi o i loro delegati delle Chiese ortodosse, ortodosse orientali e cattoliche orientali; il rappresentante della Chiesa luterana e la rappresentante, una donna, del Consiglio ecumenico delle Chiese cristiane del Medio Oriente.
Il dialogo è stato aperto da una relazione di Pierbattista Pizzaballa, amministratore del patriarcato latino di Gerusalemme, in cui ha affrontato il tema dei cambiamenti epocali – sia politici che religiosi – in corso nell’area. La devastazione delle recenti guerre, in particolare nella martoriata Siria, e il ruolo delle Chiese cristiane, che devono abbandonare qualsiasi «alleanza» con i poteri politici ed evitare di affidarsi a strategie umane e politiche di fronte all’emorragia che ha fatto fuggire oltre la metà dei loro fedeli.
La discussione era protetta dalla massima riservatezza. Erano ammessi solo gli assistenti dei patriarchi (seduti dietro di loro), i traduttori (cinque le lingue usate: italiano, arabo, greco, inglese e francese), gli addetti alle telecamere a circuito chiuso (per permettere ai traduttori di seguire anche il labiale) e, infine, discoste, quattro sedie riservate ai cardinali Pietro Parolin, Angelo Becciu, Leonardo Sandri e Kurt Koch.
I tanti “basta!” del papa
I patriarchi di tutte le Chiese del Medio Oriente hanno discusso sulla situazione della regione. Al termine, Francesco e i suoi ospiti hanno liberato delle colombe in segno di pace. Ma prima di concludere con il pranzo in comune questo incontro senza precedenti per le sue modalità, il papa ha preso nuovamente la parola, dicendosi grato per il momento di condivisione vissuto con i patriarchi. Ha quindi ricordato un aspetto fondamentale dello stile evangelico: la presenza dei cristiani in Medio Oriente sarà tanto più profetica quanto più sarà pacifica ed estranea alle logiche del mondo. «Anche il nostro essere Chiesa – ha affermato – è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga o la spada ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore».
È un richiamo significativo a non andarsene come pure a non invocare potenti «protettori» armati, che si fonda su un’evidenza storica: la fede cristiana che ha avuto origine in Medio Oriente «ha conquistato il cuore dell’uomo lungo i secoli perché legata non ai poteri del mondo, ma alla forza inerme della croce».
Il papa ha quindi precisato che il dialogo odierno «è stato un segno che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre, senza paura delle diversità. Così pure la pace: va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, «perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Non le tregue garantite da muri e prove di forza porteranno la pace, ma la volontà reale di ascolto e dialogo». I cristiani si impegnano a favorire l’arte dell’incontro perché «all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere dei segni» di speranza. Solo avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace».
Per far sì che questo accada, «è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente!».
Francesco, interrotto dagli applausi, ha quindi denunciato «la piaga» della guerra che «tragicamente assale quest’amata regione. Ne è vittima soprattutto la povera gente. Pensiamo alla martoriata Siria, in particolare alla provincia Daraa. Lì sono ripresi aspri combattimenti che hanno provocato un ingente numero di sfollati, esposti a sofferenze terribili. La guerra è figlia del potere e della povertà. Si sconfigge rinunciando alle logiche di supremazia e sradicando la miseria. Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto». Ma la violenza «è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace, mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti».
«Non si dimentichi il secolo scorso – è il grido del pontefice –, non si scordino le lezioni di Hiroshima e Nagasaki, non si trasformino le terre d’Oriente, dove è sorto il Verbo della pace, in buie distese di silenzio. Basta contrapposizioni ostinate, basta alla sete di guadagno, che non guarda in faccia a nessuno pur di accaparrare giacimenti di gas e combustibili, senza ritegno per la casa comune e senza scrupoli sul fatto che il mercato dell’energia detti la legge della convivenza tra i popoli!».
Indietro non si torna
Vari sono stati i commenti a questo incontro. Fra questi, quello di padre Giovanni Distante, rettore della basilica di San Nicola il quale ha dichiarato: «È l’immagine di una sinodalità “aperta al mondo” che, per la prima volta nella storia della Chiesa moderna, si realizza qui, a Bari, nella città di san Nicola, in solidarietà con i cristiani perseguitati e con tutti i popoli vittime nelle terre martoriate dell’Oriente. È un evento ecumenico storico: i capi delle Chiese hanno acconsentito di mettere da una parte le dispute teologiche – e non solo – che le dividono, di sedere gli uni a fianco agli altri, uniti nella stessa preoccupazione per le vittime delle guerre e per la sorte dei cristiani in Medio Oriente e soprattutto di chiedere la pace con una voce sola al mondo».
Ed ecco il commento di padre Patton, Custode di Terra Santa: «Bari – ha detto – potrà essere un segno e un richiamo per le Chiese del Medio Oriente ad essere maggiormente unite per poter dare il proprio fattivo contributo. Nella preghiera si può sperimentare una forma di unione e di azione determinata per la pace, per il dialogo e l’incontro. Nonostante ci sia chi afferma che siamo davanti utopie e sogni. Da francescano sono convinto che Francesco era un grande sognatore ma in questa capacità era dotato di grande realismo e senso pratico. L’incontro fatto di cortesia, rispetto e dialogo tra san Francesco e il sultano Malek al-Kamel, a Damietta, nel settembre del 1219 lo testimonia. Il santo di Assisi riuscì a stabilire un punto di contatto aprendo le porte ad una presenza francescana pacifica e ultrasecolare».
Da parte sua, il card. Louis Raphael Sako si è detto convinto che «non si può più tornare indietro, la preghiera di Gesù per l’unità ci porterà lontano. Forse l’unità c’è già, ciò che manca è il coraggio per esprimerla. Serve fare qualche rinuncia, qualche sacrificio». E ha aggiunto: «È stato un tempo dello Spirito durante il quale ognuno di noi ha parlato, si è confrontato, ha ascoltato e soprattutto ha pregato, tutto con estrema familiarità. La nostra gente adesso si aspetta qualcosa da noi per cui è importante che questo incontro non resti isolato». E ha proseguito: «Un Medio Oriente senza cristiani pare essere la paura più grande dei patriarchi. Le guerre, gli integralismi, l’instabilità ne sono le principali cause. C’è preoccupazione ma anche tanta speranza. Abbiamo visto che c’è intesa tra di noi, i problemi sono politici. La politica sporca crea le guerre per procura che minano la sopravvivenza dei nostri Paesi. Serve una voce profetica per dire basta, chiedere il rispetto dei diritti dell’uomo, la libertà, il diritto di cittadinanza. Perché abbattere regimi per crearne di peggiori?». Nonostante tutto, «il Medio Oriente resta terra fertile perché bagnata, da duemila anni, dal sangue di migliaia di martiri di tutte le Chiese. Questo sangue innocente porterà alla pace». L’incontro di Bari – ha concluso il card. Sako – ha lanciato «un grande messaggio di unità non solo all’Oriente ma anche all’Occidente i cui cristiani sono chiamati ad annunciare il Vangelo senza vergogna, senza adagiarsi nell’indifferenza».
Infine, un commento di Enzo Bianchi, della Comunità di Bose: «Quelle parole e quei gesti che il papa, i patriarchi e i vescovi si sono scambiati attorno a quella tavola rotonda approntata nella navata centrale della basilica: un incontro fisicamente “a porte chiuse”, ma spiritualmente a porte spalancate per accogliere il dolore e per diffondere la speranza. Solo il tempo potrà dirci quali tra i numerosi semi gettati da papa Francesco e dai patriarchi, metropoliti e vescovi delle Chiese presenti in Medio Oriente riuniti a Bari per pregare e riflettere sulla pace in quelle terre martoriate produrranno fiori e frutti, non solo per le Chiese e i cristiani presenti nella regione dove affondano «le radici delle anime» dei cristiani tutti, ma anche per la testimonianza dei discepoli di Cristo nella compagnia degli uomini e per il mondo intero… Forse a produrre frutto saranno le parole forti rivolte a più riprese a quanti hanno responsabilità di governo e di formazione dell’opinione pubblica, affinché cessi «il silenzio di tanti e la complicità di molti», affinché sia sconfitta «l’indifferenza che uccide» e risuoni con forza «la voce dei senza voce, la voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza».