Come si esprime e come è vissuta la fede nei cresimandi di oggi? Con quale consapevolezza chiedono il sacramento della cresima? Che cosa esso significa nella cultura contemporanea? Queste e altre simili domande hanno guidato una singolare ricerca in Francia. La consuetudine di chiedere ai cresimandi di scrivere una lettera al proprio vescovo prima del rito ha visto crescere questo straordinario patrimonio di testimonianze.
Sono circa 40.000 le lettere che arrivano ai vari vescovi transalpini ogni anno. Fra quelle inviate negli anni 2013-2014 ne sono state prese in esame 1.300: quelle delle diocesi di Chambéry (199, di cui 71 adulti), Clermont-Ferrand (202, di cui 50 adulti), Lille (208, di cui 70 adulti), Parigi (253, di cui 51 adulti) e Rouen (436, di cui 147 adulti).
Le 1.500 pagine sono state messe in mano a un vescovo emerito, Gerard Defois, perché ne offrisse una lettura sintetica. L’esito è il n. 5 (2018) di Documents Episcopat, che porta il titolo: La cresima oggi. 1.300 lettere di cresimandi al loro vescovo.
Francia: le lettere ai vescovi
«È la prima volta che, richiesto di ripercorrere il tempo e di spiegare a qualcuno il mio percorso di fede, mi rendo conto che Dio è stato sempre vicino a me»: un primo straordinario guadagno delle lettere è quello di permettere una narrazione della propria fede, di intravedere tappe e ragioni del proprio cammino.
La grande incertezza con quale titolo rivolgersi al proprio vescovo si scioglie in racconti che partono spesso da un ateismo pratico, scosso ad un certo punto fino a scoprire la vicinanza discreta di Dio. Nonostante l’adolescenza, si parla spesso di conversione radicale: «Ritrovo la gioia di vivere che avevo perduto, la serenità, la voglia di continuare a camminare».
La confermazione o cresima è spesso la prima occasione di una personale affermazione della fede ed esprime il desiderio di riprendere la memoria del proprio battesimo. Soprattutto quando, ed è un caso piuttosto diffuso, c’è alle spalle l’esperienza della famiglia ferita o divisa.
La cresima apre lo spazio a responsabilità più forti nella comunità e nei movimenti di riferimento. I giovani adulti i cui genitori “sessantottini” li hanno privati di ogni educazione alle fede, riscoprono la vocazione cristiana grazie ai nonni e alla loro memoria feconda. Mentre si spegne l’universo culturale cristiano di una società che si definiva tale, l’incontro con qualcuno che vive sinceramente la fede diventa una nuova luce per l’esistenza.
Sono di particolare importanza alcuni luoghi di incontro come Roma, Lourdes, Taizé, Paray-le-Monial. In essi è stato possibile riconoscersi in una comunità vasta.
La conversione è personale e l’elemento iniziale è un’emozione sensibile, ma l’esperienza di Dio è comunque comunitaria. Un luogo di profondità umana che la cultura della tecnica e l’idea del progresso materiale non raggiunge. «Nel contesto della nostra società che ha rimesso in questione i valori tradizionali della sessualità, della famiglia e della stessa parentalità, incontriamo situazioni particolarmente complesse e riferimenti caotici in rapporto al modello acquisito di famiglia cristiana»; dai Pacs (convivenze legalmente riconosciute) alle famiglie ricostruite in seconde o terze nozze. Una fragilità di riferimenti che si riversa in un permanente dubbio sulla propria fede.
In una società post-cristiana
La scelta della confermazione rappresenta spesso una triplice rottura: con i genitori non praticanti, con i disinteressati compagni di classe, con la cultura trasmessa dalle istituzioni scolastiche e dai media di riferimento. «Mi è sempre stato detto che la confermazione era una tappa essenziale nella vita di un cristiano, e ora posso confermarlo perché essa mi ha permesso di fare un grande lavoro su me stesso e di meglio comprendermi. Il sacramento non è un compimento, ma una ripartenza nella vita, una vita cristiana pienamente vissuta e consapevole». Nonostante la predominanza del sé, Dio prende forma e diventa persona, Parola, presenza. In un contesto di relazioni.
Per gli adulti, il percorso di avvicinamento alla fede cristiana conosce spesso interesse per l’islam e il buddismo, fino a comprendere che Dio si raggiunge nell’incontro personale.
La generazione dei nuovi credenti non conosce né la nostalgia di una cristianità potente, maggioritaria e pervasiva, ma neppure la pretesa di una ri-evangelizzazione della società. Siamo su sponde completamente altre, dove l’affermazione della differenza cristiana e la presenza nel mondo nascono da una spiritualità del cuore, dall’opportunità dell’adorazione e dell’incontro con Lui: «Non mi sono mai sentito così libero, di una reale libertà. Essere liberato dai desideri del passato che non erano che luoghi di servitù, idee, piaceri insaziabili, ripetitivi e pervasivi. Al contrario, qui c’è gioia piena. Divenuta uno stato, una presenza». Una ricerca di prossimità affettiva a Dio che richiede ulteriore maturazione proprio rivolgendosi al vescovo.
Gli adolescenti conoscono dagli incontri preparatori i doni dello Spirito. Essi enfatizzano soprattutto la forza, rispetto alla saggezza, al consiglio e alla pietà. Eco non consapevole di un’incertezza sull’avvenire della propria fede in un contesto sociale oppositivo o indifferente. Il riferimento allo Spirito è piuttosto contenuto. Essi non si definiscono attraverso un’appartenenza istituzionale o giuridica, quanto piuttosto per un sentimento condiviso della presenza di Dio.
Poca istituzione, poco dogma
«Attraverso la coscienza della dimensione fraterna e relazionale della Chiesa è logico che essa non sia percepita come un’istituzione violenta o autoritaria, ma come uno spazio di alleanza fraterna ove ci si può confrontare e scambiare in tutta tranquillità, nella pace, appoggiandosi all’amore di Dio come pietra angolare della vita comunitaria».
Le molte ferite della vita, nonostante la giovane età degli interessati, non concludono in un disprezzo del proprio tempo o in un pessimismo radicale. I cresimandi dicono di nuovo il ben-essere di sentirsi cristiani, una Chiesa come luogo di pace e una comunità di libertà. Esperienza assai rara nella vita consueta. Poca istituzione e poco dogma. La stessa eucaristia, pur riscoperta con entusiasmo, non diventa spesso pratica consueta.
È la relazione con il Cristo al primo posto. Da qui nasce la disponibilità alla testimonianza sia nella Chiesa che nelle attività mondane. «Io vorrei soprattutto che il mio impegno sia anzitutto radicato nel suo amore, perché l’augurio di impegnarmi nella Chiesa, accanto ai fratelli e sorelle di fede, testimoni che Dio è la cosa più bella che mi sia arrivata nella vita, testimoni che Gesù è il cammino, la verità e la vita e che questa verità ci rende liberi».
Emerge una nuova generazione di credenti che lascia alle spalle sia il conflitto col moderno sia la pretesa di interpretarlo entro i confini confessionali. Vive un contesto di minoranza, consapevole della fatica della “differenza” cristiana, ma anche sicura che la fede sia anzitutto incontro con il Signore, luogo di pace tra fratelli, esperienza di umanità.
La dimensione interiore è privilegiata rispetto all’impegno storico-civile. Più che militanti, i nuovi credenti sono convinti dell’insufficienza del post-moderno. Non avvertono una particolare appartenenza istituzionale. Eppure a loro si è aperto il cuore. La ferita del costato (la devozione al sacro Cuore torna in forme nuove) li ha raggiunti.