Riprendiamo un’intervista a Paolo Lojudice (TPInews, qui). Il vescovo ausiliare del Vicariato di Roma mostra come una replica puntuale alla retorica anti-migranti dell’attuale ministro degli interni finisca col produrre le condizioni della sua efficacia mediatica.
– Giovedì scorso le famiglie rom del camping River sono state sgomberate. Molte sono rimaste per strada. Cosa pensa di questa situazione?
Lo sgombero è sempre una dimostrazione di forza da parte delle istituzioni che nasconde una debolezza di dialogo. È paradossale poi come una parte di stampa abbia distorto la realtà raccontandolo come un’operazione di «ripristino della legalità».
Il Camping River non era stato occupato ma assegnato dal Comune. Quando si interviene in questo modo non hai a cuore la sorte delle persone ma punti solo a seguire il vento che in questo momento spira dalla parte del più forte, della sicurezza e della legalità a tutti i costi.
In questa situazione a rimetterci sono i più deboli. Il decreto Minniti aveva stabilito che non si dovessero più effettuare sgomberi in assenza di alternative valide. Nel caso del camping River, però, non sono state prospettate. Abbiamo chiesto all’amministrazione di conoscere queste alternative ma di fatto non c’è stato nessuno con cui parlare.
Inoltre, dietro al timore di una separazione dei nuclei familiari, in molti hanno rifiutato qualsiasi assistenza del Comune che oggi sostiene di aver fatto tutto quello che poteva fare. Per loro il problema è stato risolto.
– Lei ha cercato un contatto con l’amministrazione di Virginia Raggi nell’ottica di trovare soluzioni?
Qualche settimana fa, quando ancora non si era profilata l’ipotesi dello sgombero, ho incontrato l’assessore competente. Non dico che sia stato tempo perso ma quasi. Questa amministrazione si è rifugiata dietro a motivazioni che mi sono sembrate accuse. Come a dire «prendeteli voi se siete capaci».
Non ho capito se era una provocazione o una richiesta di aiuto. Una cosa però è certa, se si va allo scontro con le istituzioni è la fine di un sistema. Se l’amministrazione declina le sue responsabilità lanciando il sasso e nascondendo la mano non c’è più nulla da dirsi.
– Non solo il camping River. I rifugiati sudanesi di via Scorticabove vivono ancora per strada. Inoltre, Matteo Salvini ha annunciato la linea dura sulle occupazioni abitative. La stessa operazione al camping River è scattata a poche ore di distanza dall’incontro tra la sindaca Virginia Raggi e il ministro dell’Interno. A un anno di distanza dagli sgomberi senza alternative di via Quintavalle e piazza Indipendenza a che punto è la situazione?
Esattamente un anno fa, forse qualche giorno più tardi, ero nella sede di via Chiovenda a Don Bosco e sotto le finestre passò il corteo di protesta contro il primo sgombero dell’agosto scorso, quello a Cinecittà. Quelle famiglie poi si accamparono sotto i portici di piazza Santi Apostoli dove sono rimase per mesi. Qualche giorno dopo la «guerra» di piazza Indipendenza. In quel momento si capì che in quel modo non si sarebbe andati da nessuna parte.
Oggi siamo rimasti allo stesso punto. Il camping River ne è un esempio. Quando le istituzioni usano la forza è perché non hanno altre risorse. Lo sgombero è un segnale di debolezza sul piano del dialogo.
– Condivide la copertina di Famiglia Cristiana su Matteo Salvini?
A me è sembrata esagerata. Il leader leghista ha spesso delle esternazioni da uomo al bar con gli amici mentre da un ministro mi aspetterei una migliore trattazione di certi argomenti. In questo momento, però, contrapporsi a Salvini irrobustisce la sua posizione nei confronti dell’opinione pubblica. Per me il principio a monte è non andare mai contro nessuno, tantomeno contro chi in questo momento è chiamato a governarci.
Al contrario, ho il compito di avviare un dialogo, sollecitare, spiegare, per dare il mio contributo. Per questo non avrei pubblicato quella copertina. Non perché il problema non ci sia ma perché demonizzarsi a vicenda non aiuta a migliorare le cose. Qui non si tratta di scendere in piazza ma di coscientizzare le persone. Anche nella Chiesa, sia tra preti e vescovi sia tra i laici, non c’è univocità di pensiero.
In questo momento c’è una forte spaccatura e tanti cristiani approvano le politiche di Salvini e continueranno a votarlo. Creare una frattura ancora più profonda all’interno del mondo cattolico non serve.
– La Chiesa, secondo lei, quale strada dovrebbe intraprendere?
Non conosciamo le problematiche che stanno dietro a questi fenomeni. Non conosciamo l’Africa, le rotte di questi migranti. Come Diocesi di Roma proporrò un lavoro su questi temi con momenti di formazione, convegni, tavole rotonde che aiutino le persone a capire cosa si nasconde dietro questo flusso ma anche cosa ci aspetta nel futuro perché non possiamo non pensare a cosa accadrà nei prossimi anni.
Solo su un aspetto do ragione a Salvini: è necessario che l’Europa si mobiliti in forma diversa.
– Perché le politiche di Salvini creano allarme in una parte della Chiesa?
L’accoglienza posticcia che è stata messa in campo negli anni scorsi ha fatto aumentare la percezione di insicurezza. Il cittadino lo vive come un disagio e, come accaduto altre volte nella storia, a un certo punto l’uomo forte riscuote successo da parte di quelle persone che non riescono ad analizzare in maniera profonda i problemi. Una sorta di richiesta di pseudo-sicurezza generica che però genera consenso in termini politici. Salvini lo ha capito e sta cavalcando quest’onda.
Saranno i tempi lunghi a dirci i risultati della sua politica. Di certo dissotterrare l’ascia di guerra serve solo a creare ulteriori spaccature. Se incontrerò i responsabili di Famiglia Cristiana farò presente che quella copertina non ci aiuterà a risolvere i problemi.
– Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, ha anche affermato che Salvini «strumentalizza» il crocifisso. È d’accordo?
Questo è vero, anche se nella storia il crocifisso è stato usato per ogni cosa. Nemmeno la Chiesa ne è proprietaria. La Croce appartiene a ogni credente.
– Lei sostiene il dialogo ma ammette una certa preoccupazione. Metterete in campo più forze per arginare questa situazione?
Chiederò alla Chiesa, in tutte le sue articolazioni, e a tutte le realtà sensibili a certe problematiche di agire compatti e, se serve, anche di rilasciare dichiarazioni congiunte. In questa situazione le posizioni del singolo prete o del singolo vescovo fanno poco. D’altra parte, come detto, lavorerò l’apertura di una sorta di tavolo di confronto tra studiosi ed esperti sul tema delle migrazioni.
Come già avvenuto in passato, chiederò un’interlocuzione alla compagine governativa per poter dire: «voi siete al Governo e decidete, però abbiate almeno contezza dell’esperienza che possiamo mettere a disposizione».