Il discrimine tra società chiusa (onore) e società aperta (dignità)
La modifica del testo del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, sul tema della “pena di morte” rappresenta un passaggio assai prezioso nel cammino complesso e articolato con cui la Chiesa cattolica dismette gli abiti della società chiusa ed impara ad indossare quelli della società aperta. Non è un caso che le reazioni degli ambienti più intransigenti e tradizionalisti siano preoccupate per questo nuovo testo. Aver preso congedo dalla “pena di morte” sembra il segno di un “cedimento” alla modernità, addirittura al liberalismo. In realtà si tratta della continuazione del cammino che, inaugurato dal Concilio Vaticano II fin dal suo esordio, fa della “traduzione della tradizione” la verità della “indole pastorale” non solo di quel Concilio, ma del rapporto che la Chiesa intesse con il proprio passato in vista del futuro. In questo lavoro di traduzione, la tradizione viene aggiornata, riformata, fatta oggetto di discernimento. Per non confondere il Vangelo con i pregiudizi della società chiusa occorre riformulare sapientemente molte cose, che altrimenti diventano ambigue, paradossali, quando non contraddittorie.
Per questo vorrei sottoporre a un breve esame il nuovo testo, mettendolo a paragone con il vecchio. Una sinossi tra i testi è utilissima per notare il cambiamento di argomentazione, di riferimenti e di orizzonte.
a) Sinossi tra i due testi
Il vecchio testo di CCC 2267
L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.
Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.
Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti».
Il nuovo testo di CCC 2267
Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.
b) Un nuovo modo di argomentare
Già ad una prima considerazione appare chiaro come i due testi provengano non soltanto da due mani diverse, ma da due mondi diversi, che esprimono la medesima tradizione cattolica attraverso priorità, nozioni e categorie assai diverse. Il testo più antico ragiona all’interno di una “possibilità di principio” di ricorso alla pena di morte. In tale orizzonte non rinuncia a porre, anche con una certa forza, l’esigenza del superamento, ma lo fa quasi “per transennam” e non “in recto”. Oltretutto sembra sposare una teoria della “legittima difesa” dello Stato nei confronti del reo di gravi crimini, senza tener conto della mancanza di proporzione tra Stato e singolo individuo. Il “bene comune” può azzerare fino alla morte il valore della vita del soggetto colpevole. Se il soggetto perde l’onore, perde ogni dignità. All’auspicio, che già il testo introduce esplicitamente, verso un graduale superamento della pena di morte, si sostituisce, nel nuovo testo, non soltanto un più chiaro e rotondo riferimento alla dignità della persona come ostacolo all’ammissibilità della pena di morte, ma un impegno esplicito della Chiesa al superamento di questa sanzione.
D’altra parte bisogna riconoscere che già il CCC del 1992 aveva operato un grande cambiamento di prospettiva rispetto al famoso catechismo di inizio secolo, steso da Pio X, che alla domanda sulla legittimità eventuale della uccisione del prossimo rispondeva:
È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto, e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore.
c) Il ripensamento della tradizione: dall’onore alla dignità
Credo di poter dire che si tratta di un passaggio la cui rilevanza va molto al di là del pur importante tema specifico della “pena di morte”. La novità attiene all’utilizzo argomentativo del concetto di “dignità” del soggetto, che nessun ordinamento, né umano né divino, può mai negare. Anche la Chiesa accetta di ragionare non anzitutto in termini di “onore”, ma in termini di “dignità”. Esplicitamente esce dall’argomentazione tipica dell’ancien régime, mediante la quale appariva scandaloso negare alla legittima autorità il “potere di vita o di morte”. In certo modo agli ordinamenti temporali era affidata una sorta di “anticipazione del giudizio finale”. Ciò, evidentemente, aveva ottenuto lungo i secoli una serie di correttivi preziosi. Il mondo medievale sapeva bene che un “condannato a morte” poteva essere un “santo”. Ma questo era compatibile con quella che Paolo Prodi chiamava “pluralità dei fori” del mondo medievale, la cui forza inizierà a declinare forse proprio a partire dalla Riforma e dal Concilio di Trento. Ecco che la Chiesa, che con Trento ha inaugurato la modernità cattolica, dopo 500 anni ne ha tratto una conseguenza importante. Né l’autorità civile né quella ecclesiale possono prevedere, tra le loro sanzioni ordinarie, la pena di morte. Così la differenza del giudizio di Dio dal giudizio degli uomini risulta sorprendentemente custodita. È questa una delle conseguenze della “meravigliosa complicatezza” del mondo scaturito dalle rivoluzioni di fine 700, che la Chiesa cattolica può oggi non solo giudicare in modo più equanime, ma anche valorizzare per tutto il bene che sa produrre, nonostante tutte le sue reali o apparenti contraddizioni. E molte altre cose dovranno essere tradotte, per passare da una Chiesa che ragiona in termini di “onore” a una Chiesa che ragiona in termini di “dignità”.
Pubblicato il 3 agosto 2018 nel blog: Come se non.