Anche le celebrazioni del giubileo dei 1.030 anni del “Battesimo della Rus”, il 27-28 luglio scorso, sono state turbate da scontri verbali tra Kiev e Mosca. C’era tuttavia una foto ripresa ai margini della cerimonia liturgica di preghiera e di ringraziamento (Moleben) del “Patriarcato scismatico di Kiev” sulla collina di San Wladimir in cui gli avvenimenti apparivano in una nuova luce: raffigurava l’autoproclamatosi “Patriarca” di Kiev, Filarete (Denisenko, un tempo parroco russo ortodosso e poi vescovo di Vienna) in amichevole dialogo con il capo della Chiesa autonoma ortodossa ucraina del patriarcato moscovita, il metropolita Onufrij, e il suo “braccio destro”, il metropolita Antonij (Pakanych) di Boryspol, e il rappresentante inviato a Kiev del Patriarcato ecumenico, il metropolita Emmanuel (Adamakis) di Parigi.
Un commento molto asciutto dei monaci diceva: ci sono due possibilità, o le autorità religiose sono sulla via della riconciliazione – come dice il Vangelo – oppure sono delle marionette in mano a “burattinai” del campo politico.
Un anniversario all’insegna della divisione
Dalle foto e dal numero dei partecipanti a Kiev si vedeva che a predominare era la Chiesa ucraina moscovita.
Alla processione con la croce vi erano 250 mila partecipanti della Chiesa ortodossa ucraina, mentre nella cerimonia parallela del “Patriarcato di Kiev” (i dati sono dell’accondiscendente ministero degli interni) circa 65 mila.
Visivamente si notava che il clero e i fedeli della Chiesa canonica portavano icone e reliquiari, mentre i simpatizzanti del “Patriarcato di Kiev” recavano soprattutto bandiere nazionali giallo-blu. Tra quelli di Kiev, in cui figurava anche il presidente Petro Poroshenko con la sua moglie Maryna in abito a figura intera, si potevano vedere diversi chierici che, sotto i paramenti liturgici, indossavano l’uniforme dei cappellani militari.
La divina liturgia della Chiesa canonica del sabato nel Monastero delle Grotte sulla piazza davanti alla cattedrale della dormitio di Maria si è svolta all’insegna della preghiera per la pace in Ucraina. Al termine della celebrazione il metropolita Antonij di Boryspol ha letto una solenne dichiarazione dell’episcopato ucraino in cui si diceva che la Chiesa ortodossa ucraina è l’erede «legittima e a pieno diritto» dell’originaria metropolia di Kiev.
Riguardo alla discussione sull’autocefalia, presente nell’opinione pubblica ucraina, si ritiene che l’attuale status canonico (autonomo) della Chiesa ortodossa ucraina è sufficiente perché essa svolga fruttuosamente i suoi compiti tra il popolo. I tentativi di cambiarlo porterebbero solo a restrizioni dei diritti e delle libertà della Chiesa ucraina ortodossa. Questi tentativi approfondirebbero la divisione nell’ortodossia e nella società ucraina.
Bisogna fare attenzione – è detto nella dichiarazione – ai tentativi di “forze esterne” di trasformare la Chiesa in una componente di considerazioni di sicurezza geopolitica, ideologica e di Stato. Ciò è in palese contrasto con la vocazione della Chiesa.
La Chiesa ortodossa ucraina difenderà i fondamenti canonici della sua esistenza, compresi i suoi fedeli, che spesso vengono cacciati dalle loro chiese. Si tratta di difendere la libertà interna della Chiesa dall’ingerenza delle forze politiche. Ciò non vuol dire che essa sia estranea agli attuali problemi della gente, della società o dello Stato. La Chiesa ortodossa ucraina educa i suoi fedeli al «vero patriottismo», ossia «all’amore di Dio, del prossimo e della patria».
In questa dichiarazione solenne è chiaramente affermato: «Quando un’ideologia secolare si infiltra nella Chiesa e distrugge la sua unità, è nostro compito resistere con le parole e le opere e di non predicare a questo popolo nessun’altra ideologia terrena, al di fuori di Cristo. La Chiesa esiste per unificare la gente, non per dividere».
L’episcopato ucraino ha assicurato i fedeli che soffrono nel Donbass (il bacino del Donez) che «non sono soli». Tutta la Chiesa prega per loro, soffre con loro e li aiuta. Un grazie particolare viene rivolto ai vescovi, sacerdoti, monaci e monache e ai laici che, malgrado tutto, resistono nel Donbass. L’episcopato è convinto che i conflitti bellici nel Donbass termineranno presto «e Dio asciugherà ogni lacrima».
I vescovi ortodossi entrano nei dettagli anche riguardo al futuro: si tratta di annunciare il Vangelo ai “lontani”, ai giovani, e del dialogo con l’intellighenzia, con i dubbiosi e i non credenti. Nello stesso tempo, l’attività sociale – a favore dei poveri, dei senzatetto, di tutti coloro che soffrono per la guerra nel Donbass – rappresenterà l’attuazione di quella carità cristiana verso il prossimo che Cristo si aspetta da tutti i fedeli.
“Il Phanar non abbandona Kiev al suo destino”
Durante la cerimonia liturgica di preghiera e di ringraziamento del “patriarcato di Kiev”, sulla collina di San Wladimir, ha preso la parola, secondo informazioni ufficiali ucraine, anche il metropolita Emmanuel, di Parigi, il quale ha affermato che il Patriarca ecumenico non lascerà «indifesi i suoi figli ucraini», abbandonandoli alla loro sorte. «Il Patriarca non può rimanere cieco e sordo davanti a oltre 25 anni di forti appelli». I figli della Chiesa ucraina e i loro gerarchi hanno diritto a un posto tra le Chiese autocefale. Dopo l’appello del presidente ucraino, che è un seguace della struttura politica della Rus di Kiev, la «Madre Chiesa» con la decisione del suo Santo Sinodo del 20 aprile ha avviato il processo per la realizzazione di questo obiettivo finale di «riconoscere l’autocefalia della Chiesa ortodossa dell’Ucraina».
Il patriarcato, stando alle informazioni ucraine circa le affermazioni del metropolita Emmanuel, «sta a fianco dell’Ucraina». Gli ucraini non saranno abbandonati poiché la Madre Chiesa troverà le vie per coinvolgersi nel «vostro progresso, successo e nella crescita della fede in Cristo».
Poroshenko e Putin
Sia il presidente Petro Poroshenko (Ucraina) sia il presidente Wladimir Putin (Russia) hanno approfittato dei 1.030 anni del “Battesimo della Rus” per esprimere le loro convinzioni.
Poroshenko ha detto testualmente: «Garantisco che le autorità dello Stato non si intrometteranno negli affari puramente ecclesiastici. Ma sottolineo che non lo permetteremo a nessun altro Stato. Per questo ritengo assolutamente necessario tagliare tutti i tentacoli con cui uno Stato aggressore (sottinteso la federazione russa) opera nel nostro organismo statale».
La Chiesa in Russia è separata dallo Stato «solo sulla carta», ha affermato Poroshenko. In effetti sostiene in maniera «piena e incondizionata» la «politica imperialista del Cremlino». La dottrina del “mondo russo” (l’idea ampiamente sostenuta dell’unità dei popoli slavi) è nata nelle «lussuose celle monastiche della Chiesa ortodossa russa». Questa situazione costituisce una minaccia alla «sicurezza nazionale dell’Ucraina», perciò bisogna intraprendere dei passi. Il “Tomos” richiesto a Costantinopoli per la concessione dell’autocefalia (indipendenza e pieno riconoscimento) alla Chiesa ortodossa ucraina rafforza «la libertà religiosa e la pace interreligiosa». Il diritto e la libertà del popolo sarebbero in tal modo consolidati.
Poroshenko ha affermato che milioni di ucraini aspettano che «al più presto sia riconosciuta l’autocefalia della Chiesa ortodossa in Ucraina».
A Mosca il presidente Putin ha partecipato – tra il patriarca moscovita Kirill e il patriarca alessandrino Theodoros II – alla processione dalla piazza Sobornaya (della cattedrale) nel Cremlino a piazza Borovitskaya, dove si erge il monumento di San Wladimir. In un breve discorso Putin ha definito il “Battesimo della Rus” come l’inizio dello sviluppo dello stato russo, «la nascita spirituale dei nostri antenati, la determinazione della loro identità e della loro autocoscienza, l’impulso per lo sviluppo della cultura nazionale e l’educazione e per la costruzione di molteplici relazioni con le altre nazioni». Il “Battesimo della Rus” è la chiave della storia russa, un «evento fondamentale significativo e di trasformante forza spirituale». Questo evento ha segnato lungo i secoli il percorso della Russia e ha avuto ripercussioni sullo sviluppo mondiale.
Putin ha reso omaggio in maniera tutta speciale alla figura del santo gran principe Wladimir. Questi aveva preso una decisione determinante diventando una «guida della fede». Aveva visto la «forza morale, la bellezza, la base per il rinnovamento della vita e il rafforzamento dell’unità e dell’identità dei popoli dell’antica Rus». Il gran principe Wladimir era in origine un guerriero che diventò poi un «faro di luce e un fondatore» sotto la cui guida furono costruite «chiese, monasteri, città, scuole e biblioteche» (Kiev-Moskau, 29 luglio 2018).