Nella diocesi di Udine hanno preso avvio ufficialmente il 1° settembre scorso le Collaborazioni Pastorali, che prevedono una maggiore e più decisa collaborazione tra parrocchie. A “battezzare” questo nuovo cammino è stato chiamato don Giovanni Villata, responsabile della formazione degli operatori pastorali della diocesi di Torino. Riprendiamo il suo intervento apparso sul “Supplemento” al n. 34 de “la Vita Cattolica”, settimanale diocesano della Chiesa udinese, del 30 agosto 2018.
La parrocchia – lo conferma la sua storia bimillenaria – «ha fatto e fa casa con l’uomo». Così scriveva un grande parroco, don Primo Mazzolari. Per essere tale, la parrocchia, proprio in quanto Chiesa fra le case dei suoi figli e delle sue figlie, ha dovuto continuamente adeguarsi ai tempi, cambiare le modalità della sua presenza.
Oggi è chiamata ancora a fare altrettanto: “fare casa” tra e con le donne e gli uomini della post-modernità, disincantati, individualizzati, bisognosi di una bussola, capaci comunque di apprezzare il Vangelo, soprattutto se incontrano chi ne dà testimonianza.
Per questi motivi la parrocchia che vive nella fede la missione affidatagli dal suo Signore, non può che esistere come entità aperta, “in uscita”, un ponte fra la Chiesa e il territorio (vita quotidiana, incontri, affetti, consuetudini, ferite, gioie, condivisione ecc.) che la ospita.
Non si tratta dunque di discutere se cambiare o conservare l’istituzione parrocchia, ma di discernere sul “come” modificarla perché corrisponda alla propria identità: l’evangelizzare, in fedeltà a Dio e all’uomo concreto (RdC 160).
Questo ha fatto l’arcidiocesi di Udine, proponendo il documento «“Siamo una cosa sola perché il mondo creda” (Gv 17,21). Le Collaborazioni Pastorali».
Nuove opportunità, dunque, per l’azione missionaria della Chiesa sul territorio friulano, «al fine – dichiara l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato, nel decreto di promulgazione – di offrire una stabile e organica collaborazione tra le parrocchie strutturate in Collaborazioni Pastorali (CP) e nuove Foranie» (p. 3).
La Chiesa friulana si proietta verso il futuro, rispondendo precisamente alla domanda sul “come” le sue parrocchie debbano cambiare per annunciare il Vangelo oggi, nel segno della duplice e contemporanea fedeltà a Dio e all’uomo. Con coraggio e con la consapevolezza che, proprio in forza della sua identità di Chiesa che la pone “dentro la vita” dell’uomo d’oggi, è necessario — non solo auspicabile o desiderabile — un cambiamento di prassi; ossia una «nuova opportunità di crescita spirituale sempre necessaria per una veritiera evangelizzazione».
Un vero e proprio ritorno alla fonte – Gesù Cristo, il Vangelo – intesi come Francesco li descrive nell’Evangelii gaudium (EG). «Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo – annota il papa – spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (EG 11).
Questo ritorno alla fonte, quali cambiamenti comporta per le parrocchie friulane?
Il documento dell’arcivescovo Mazzocato è la sintesi riuscita di un lungo percorso; che parte dagli orientamenti dell’ultimo Sinodo e si sviluppa coinvolgendo – senza farsi prendere dalla fretta – tutte le componenti della diocesi (persone, soprattutto, e organismi vari) in un clima di dialogo sincero, costruttivo, rispettoso delle diverse sensibilità umane e pastorali.
L’itinerario intrapreso per la sua realizzazione è un primo segno della necessità di passare dall’autosufficienza di una pastorale individualistica, efficiente ma implosiva e ripetitiva, ad una nuova prassi fatta di condivisione, o meglio di comunione d’intenti e di azioni, e di apertura che si intendeva indicare alla diocesi, dando vita alle Collaborazioni Pastorali.
Nel documento esse sono definite proprio come il frutto di «una collaborazione fraterna e progettuale fra le parrocchie e le comunità di un territorio» (p. 26) nel segno di una rinnovata presenza missionaria sul territorio.
È ormai acclarato, anche nell’esperienza delle varie forme di collaborazione fra parrocchie in atto dal 1990 nella Chiesa italiana, che la strada della collaborazione per attuare la missione sul territorio, è un percorso irreversibile, pena la marginalità e l’insignificanza. Per chi (persone e istituzioni) intenda oggi agire in solitaria, il futuro risulta infatti assai problematico.
Queste considerazioni illuminano l’intero scenario del progetto di collaborazione fra parrocchie, e concretizzano, nei fatti, l’immagine di Chiesa come «comunione missionaria». Non solo, dunque, una Chiesa comunione, che rischia l’intimismo, cioè il diventare luogo per pochi eletti, ma missionaria, ossia una comunione che si proietta verso tutti, nel segno della prossimità eucaristica. Il documento, infatti, insiste molto sull’eucaristia, come fonte di prossimità e di collaborazione pastorali, riportando così la sua celebrazione e la stessa festa domenicale al loro significato originante.
Da queste idee generatrici dell’intero progetto mi sembra derivino poi tutte le opzioni operative. Tra queste: la rinnovata e prioritaria fedeltà alla parola di Dio; una carità autentica, che si esprima in concreta solidarietà; i vari organismi di collaborazione: a livello di Foranie, di Collaborazioni Pastorali e di comunità parrocchiali, di Consiglio pastorale di Collaborazione; le scelte per la pastorale e attenzione ai soggetti più fragili, quali giovani e famiglia; i fondamentali della pastorale vissuti in modo più organico e sinergico; la soggettività della comunità intera che attraversa tutte le componenti ecclesiali (ministri ordinati, religiose e religiosi, ministerialità laicali, associazionismo ecclesiale ecc.). Infine, l’amministrazione dei beni economici affidata ad un gruppo di CP chiamato «coordinamento per la gestione economica» al quale sono assegnati compiti ben precisi.
Credo che il progetto della Chiesa friulana si collochi bene all’interno delle scelte di collaborazione fra parrocchie indicate dai vescovi italiani nei documenti di questi ultimi cinquant’anni: da Evangelizzazione e sacramenti (1973) al convegno della Chiesa italiana a Firenze (2015). L’esperienza di collaborazione fra parrocchie – ormai oltre un centinaio di diocesi italiane sono su questa strada, con diverse denominazioni e risultati – dimostra che si tratta di un cammino mai concluso, da rinnovare attraverso continue e puntuali verifiche e una conversione profonda, nel segno della comunione proiettata verso la missione.
Alcuni esiti ormai sono chiari: tra questi un maggior senso di appartenenza ecclesiale, l’offerta di opportunità per superare l’individualismo pastorale e la solitudine dei ministri ordinati; un maggior dialogo tra di loro e con il mondo laico; un risparmio di energie e di risorse; infine, una migliorata qualità delle proposte pastorali, soprattutto relativamente a giovani, famiglie e marginalità.
È anche chiaro che non sempre le proposte funzionano subito: in più di una diocesi, in questi anni, ci si è dovuti fermare, lasciare l’esperienza progettata e mettersi a riflettere sulle cause dell’inefficacia. In genere, dopo un anno o due, è nato un nuovo progetto, più percorribile e sono cresciute le motivazioni per ripartire con grande soddisfazione per tutti.