Lo sanno i preti che è reato?

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Di recente, numerose sentenze della Corte di Cassazione sono intervenute per puntualizzare alcuni (non tutti) profili della legislazione penale italiana relativa ai reati di natura sessuale.

Complessivamente considerate, esse hanno il pregio di chiarire parte di quanto l’ordinamento giuridico italiano prevede in tema di profili penali dei delitti di natura sessuale compiuti a danno di soggetti che non abbiano compiuto la maggiore età.

In particolare, risultano di notevole interesse sei sentenze, qui elencate in ordine cronologico di deposito. La prima, del 3 maggio 2018, riguarda il caso di atti sessuali compiuti su una persona infrasedicenne da un istruttore di sci. La seconda, del 7 maggio 2018, concerne la configurabilità del reato di violenza sessuale commessa con l’invio ad un minore di SMS dal chiaro contenuto minaccioso e intimidatorio. La terza, del 23 maggio 2018, si riferisce agli atti sessuali compiuti su infraquattordicenne. Due sentenze del 2 luglio 2018 chiariscono, rispettivamente, il rapporto intercorrente tra il reato di violenza sessuale su un minore di anni dieci e reati culturalmente orientati e le problematiche connesse all’ignoranza dell’età della vittima. La sesta e ultima pronuncia, dell’11 settembre 2018, ha come oggetto la violenza sessuale su minorenne compiuta da un prete con abuso del ruolo di guida spirituale.

Atti sessuali con infrasedicenne: irrilevanza del consenso se compiuti da soggetto affidatario

La legge prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni per chiunque compie “atti sessuali” con persona, ancorché consenziente che, al momento del fatto, non ha compiuto i sedici anni, quando il colpevole sia una persona cui, per ragioni di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato.[1]

Due i chiarimenti apportati dalla Corte di Cassazione.[2]

Il primo riguarda l’irrilevanza del consenso allorquando l’atto sessuale è compiuto su soggetto infrasedicenne da persona cui il medesimo è affidato per ragioni di educazione, di vigilanza o di custodia, ovvero di istruzione sportiva. Il fondamento dell’incriminazione, infatti, consiste nella necessità di garantire la libertà sessuale dei minori in una delicata fascia di età che appare caratterizzata da una fisiologica asimmetria di potere fra i partner: situazioni, cioè, in cui il ruolo rivestito dall’adulto, o la sua particolare vicinanza al minore per ragioni di vigilanza o di istruzione, lo rendono soggetto forte rispetto al minore che diviene soggetto debole, con la conseguenza che il consenso di quest’ultimo all’atto sessuale eventualmente prestato è da ritenere sempre tamquam non esset.

Il secondo chiarimento si riferisce alla condizione di “affidamento” in custodia. Affinché si realizzi quest’ultima – afferma la Corte – non è necessaria la preesistenza di una formale attribuzione di compiti al soggetto affidatario da parte dell’affidante, potendo trattarsi anche di situazioni del tutto temporanee ed occasionali. Per la sussistenza del reato è sufficiente che si instauri un qualsiasi rapporto fiduciario che ponga la vittima in uno stato di soggezione e di dipendenza rispetto all’adulto, il quale, per converso, si trova rispetto ad essa in posizione di preminenza o di autorità, così da inficiarne, secondo la presunzione iuris et de iure del legislatore, il consenso all’atto sessuale.

Il delitto di violenza sessuale realizzato anche nella forma tentata

Il delitto di violenza sessuale[3] può essere realizzato anche nella forma tentata.

Lo conferma la Corte di Cassazione[4] con una sentenza che ha visto la condanna di un adulto che invia ad un minorenne numerosi SMS dal chiaro contenuto minaccioso e intimidatorio, diretti a costringerlo a compiere o a subire un atto sessuale contro la propria volontà, e risultati infruttuosi solo per il rifiuto all’incontro sessuale da parte del minore, che aveva trovato il coraggio di confidarsi con i genitori e di presentare denuncia.

Nell’occasione la Suprema Corte richiama e ribadisce un consolidato principio di diritto, secondo cui è configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima.

Così come costituisce diritto vivente – si legge nella sentenza – l’affermazione che è configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria[5] nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non per volontaria iniziativa del violentatore ma per fattori esterni che impediscano, comunque, la prosecuzione della violenza o la rendano vana.

L’intangibilità sessuale assoluta e relativa del minore infraquattordicenne

La terza sentenza,[6] che esplicita il principio della assoluta intangibilità sessuale del minore infraquattordicenne,[7] offre l’occasione per ricordare che, nel disciplinare la specifica materia dei reati sessuali, il legislatore ha ritenuto di porre una particolare attenzione, tutte le volte che essi coinvolgono soggetti minori di età, distinguendo due distinte fasce di età: minori infraquattordicenni e minori di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni.

L’individuazione delle due distinte fasce di età è stata operata alla luce della letteratura scientifica, ed in particolare delle riflessioni proprie della psicologia infantile, della sociologia e della politica criminale. La questione dell’età ha conosciuto l’attenzione anche della giurisprudenza costituzionale. In una pronuncia del 1973, la Corte Costituzionale, con riguardo alla normativa previgente, ma con argomentazioni da ritenersi ancora attuali, aveva affermato che «non è arbitrario ritenere che un minore infraquattordicenne, anche se fornito di precoce ingegno, difetti di quella capacità di giudizio che gli consenta di valutare le implicazioni, specialmente di carattere etico, connaturate ai rapporti sessuali».[8]

Il bene protetto dalla disciplina dei reati sessuali a danno di minori è strettamente legato alla fascia di età a cui il minore appartiene ed è duplice: l’intangibilità assoluta di chi non ha ancora compiuto gli anni quattordici e l’intangibilità relativa di chi ha un’età compresa tra i quattordici e i diciotto anni.

Per chi non ha ancora compiuto i quattordici anni di età, l’oggetto della tutela è l’armonioso sviluppo della sua sessualità. In questo caso il legislatore, presumendo che il grado di sviluppo psico-fisico della persona proprio dell’età non la renda capace di autodeterminarsi liberamente in campo sessuale, ha negato qualunque efficacia giuridica al consenso eventualmente prestato, da ritenere quindi tamquam non esset.

Per i minori di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, invece, il bene giuridico oggetto della tutela non è propriamente l’intangibilità sessuale, ma piuttosto il loro diritto alla libera esplicazione della sessualità che non può essere oggetto di alcuna aggressione o strumentalizzazione.

Mentre, per gli infraquattordicenni, il disvalore consiste nell’atto sessuale in sé e per sé considerato, in quanto idoneo, per la sua precocità, a turbare l’equilibrato sviluppo affettivo e psicosessuale del minore, per gli ultraquattordicenni, dotati di capacità sessuale, il disvalore penale risiede nelle modalità della condotta incriminata (violente, minacciose, abusive, fraudolenti, abusanti).

La ratio della norma – afferma la sentenza in esame – deve indurre il reo ad adoperarsi al fine di evitare contatti sessuali del tutto impropri, ancorché essi siano in qualche modo sollecitati dalla stessa persona minorenne infraquattordicenne dalla personalità disinibita ed emancipata.

Violenza sessuale su un minore culturalmente connotata

La quarta decisione della Corte di Cassazione[9] riguarda una vicenda svoltasi a Reggio Emilia in cui un bambino albanese di 5 anni aveva confessato alle maestre di essere oggetto di atti sessuali – che non è il caso in questa sede di esplicitare – da parte del papà, raccontando e mimando le azioni paterne nei minimi dettagli.

Mentre il tribunale ordinario e la Corte d’appello di Bologna, sollevando giustificazioni di natura culturale, avevano assolto l’autore di reato, la Cassazione ha affermato, confermando una giurisprudenza di legittimità consolidata, che il reato di violenza sessuale non può trovare alcuna forma di giustificazione di carattere culturale.

La Cassazione, quindi, ricorda tre punti fermi.

In primo luogo, la Suprema Corte riconosce che la categoria dei reati culturalmente orientati o culturalmente motivati si è via via imposta all’attenzione della giurisprudenza e della dottrina in ragione dell’imponente fenomeno dei flussi migratori e alla c.d. globalizzazione che caratterizzano, in questo momento storico, l’Europa e l’Italia.[10]

Pur ammettendo che gli elementi integrativi dei reati penali risentono fortemente del periodo storico e dell’evoluzione della cultura e della sensibilità diffuse, con la conseguenza che occorra sempre promuovere un approccio esegetico che abbia in considerazione tale mutamento del costume e del sentire sociale in continuo divenire, in secondo luogo la sentenza in esame afferma che nessun sistema penale, però, può mai abdicare, in ragione del rispetto delle tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione di diritto o di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino.

La categoria dei reati culturalmente orientati potrà essere valuta dall’interprete – ed è il terzo chiarimento offerto dalla Cassazione – solo nelle premesse dell’attento bilanciamento tra il diritto a non rinnegare le proprie tradizioni culturali, religiose e sociali, e i valori offesi o posti in pericolo dalla sua condotta.

Potrebbe, al riguardo, essere utile la valutazione della natura della norma culturale in adesione alla quale è stato commesso il reato e del carattere vincolante della norma culturale (se rispettata in modo omogeneo da tutti i membri del gruppo culturale o, piuttosto, desueta e poco diffusa anche in quel contesto).

L’ignoranza dell’età della persona offesa

L’articolo 609 sexies del codice penale recante la rubrica “ignoranza dell’età della persona offesa”, dispone che, quando determinati delitti di natura sessuale sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto (violenza sessuale anche aggravata e di gruppo, atti sessuali con minorenne, adescamento di minorenni, corruzione di minorenne), il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile.

Per costante indirizzo della Corte di Cassazione – confermato dalla quinta sentenza oggetto di esame[11] – l’ignoranza dell’età della persona offesa è scusabile solo qualora chi si accinga al compimento di atti sessuali con soggetto che appare di giovane età sia in grado di dimostrare di aver diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti e di essere stato indotto, sulla base di elementi rigorosamente univoci, a ritenere che il minorenne sia maggiorenne, fermo restando che non possono considerarsi sufficienti né le sole rassicurazioni verbali circa l’età fornite dal minore né la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni.

L’ignoranza inevitabile dell’età della persona offesa è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, possa essere rivolto a chi ha compiuto atti sessuali su minorenne, per avere egli fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori.

Violenza sessuale e atti sessuali con minorenne: differenza

L’ultima e più recente sentenza[12] pone termine al procedimento penale avviato nei confronti di un parroco della diocesi di Vercelli condannato, senza attenuanti,[13] alla pena ritenuta di giustizia in quanto colpevole di tre fattispecie criminose: violenza sessuale ai danni di alcuni minori, prostituzione minorile, adescamento di minori (tutti frequentanti le scuole e l’oratorio di un istituto gestito da una congregazione religiosa).

Si tratta di una sentenza pregevole che si sofferma in particolare sulla differenza tra il reato di violenza sessuale[14] e quello di atti sessuali con minorenne[15] e sui concetti di “abuso di autorità” e “abuso di potere” con i quali i due distinti reati possono essere perpetrati.

Nel reato di violenza sessuale manca il consenso della vittima per effetto della costrizione operata dal soggetto attivo attraverso la violenza, la minaccia o l’abuso di autorità, oppure il consenso è viziato per effetto dell’induzione operata dallo stesso soggetto con abuso delle condizioni di inferiorità della vittima o con inganno.

Nel delitto di atti sessuali con minorenne, invece, il legislatore presume invalido e dunque giuridicamente inesistente il consenso al compimento degli atti sessuali da parte dei minori infraquattordicennni in generale e, in particolare, dei minori di età compresa tra i sedici e i diciotto anni rispetto agli atti sessuali con soggetti qualificati da una posizione di sovraordinazione, cioè quando a compiere il reato sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza oppure quando l’atto sessuale sia compiuto da persona che abusi dei poteri connessi alla sua posizione.

Nel reato di violenza sessuale la nozione di abuso di autorità va estesa non solo alle posizioni autoritative di tipo formale e pubblicistico, coincidenti sostanzialmente con la qualifica di pubblico ufficiale, ma ad ogni potere di supremazia di natura privata, di cui il reo abusi per costringere la vittima a compiere o a subire atti sessuali. Nel reato di atti sessuali su minorenne, la nozione di abusi di potere è strettamente legata all’esercizio dei poteri che, per la sua qualifica (ascendente, genitore, convivente, tutore, affidatario per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia), il reo può vantare verso il minore.


[1] Articolo 609 quater, comma 1, n. 2, del codice penale.

[2] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 18881 del 3 maggio 2018.

[3] Cioè, quando gli atti sessuali vengono commessi con violenza, minaccia, abuso di autorità e costrizione, ovvero abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa o traendo quest’ultima in inganno per essersi il colpevole sostituito ad alta persona (articolo 609 bis del codice penale).

[4] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 19672 del 7 maggio 2018.

[5] Articolo 56, comma 3, del codice penale.

[6] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 23205 del 23 maggio 2018: vicenda riguardante atti sessuali compiuti da un ragazzo ventiduenne su ragazza infraquattordicenne.

[7] Articolo 609 quater, comma 1, n. 1, del codice penale.

[8] Corte Costituzionale, sent. n. 151 del 18 luglio 1973.

[9] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 29613 del 2 luglio 2018: vicenda che vedeva alcuni imputati tratti in giudizio poiché in violazione degli articoli 609 bis e 609 ter del codice penale, in più occasioni, abusando delle qualità di genitori, costringevano il figlio minore, con violenza, a subire atti sessuali di vario genere.

[10] Cf. SettimanaNews.it, n. 5/2017 (dal 30 gennaio al 5 febbraio), “Reati culturalmente motivati”, di Andrea Lebra.

[11] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 29640 del 2 luglio 2018.

[12] Cassazione penale, sez. III, sent. n. 40301 dell’11 settembre 2018.

[13] Per aver commesso i reati con abuso non solo del ruolo di parroco e di guida spirituale di giovani frequentanti l’oratorio ma anche della asserita competenza come preparatore atletico che lo autorizzava a presentarsi come esperto di massaggi (espediente utilizzato per praticare molestie sessuali in danno delle vittime).

[14] Articolo 609 bis del codice penale.

[15] Articolo 609 quater del codice penale.

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