Dimitrios Salachas è un vescovo cattolico greco, dal 2 febbraio 2016 esarca apostolico emerito di Grecia. Nato ad Atene il 7 giugno 1939 e ordinato presbitero il 9 febbraio 1964, è autore di numerosi testi sul diritto canonico orientale ed è tuttora docente della medesima materia. Ha lavorato intensamente per il dialogo ecumenico.
È noto che, secondo la tradizione delle Chiese orientali, è tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli dalla prassi della Chiesa primitiva e dai “sacri canones” dei concili antichi, come anche l’impedimento dirimente di celebrare nuovo matrimonio dopo l’ordinazione.
Non sfugge, però, il caso frequente di sacerdoti rimasti vedovi o abbandonati dalla propria moglie, specialmente in età ancora giovane con dei figli. Il sacerdote vedovo, se vuole, può rimanere celibe per il resto della sua vita, seguendo il consiglio di san Paolo, ma per vocazione non è chiamato al celibato. Si tratta, perciò, di un problema umano, personale e pastorale che tutte le Chiese orientali affrontano e non possono trascurare l’urgenza per una soluzione…
Il Sinodo del vescovi del Patriarcato Ecumenico, nella sua riunione plenaria di settembre 2018, ha preso una storica decisione, con la quale si autorizza, in casi particolari, il secondo matrimonio dei sacerdoti coniugati rimasti vedovi oppure abbandonati ingiustamente da propria moglie.
Si precisa che questa decisione non si applicherà nel caso in cui un sacerdote abbandoni ingiustamente la propria moglie e intenda sposare un’altra donna. Ovviamente, ogni caso sarà esaminato in particolare e sarà sottoposto al proprio vescovo e al Santo Sinodo del Patriarcato.
Sotto l’aspetto liturgico, il rito di questo secondo matrimonio sarà diverso da quello ora stabilito nei libri liturgici, e sarà ridotto ad una semplice preghiera, e celebrato in modo molto riservato e privato tra i propri familiari. Si precisa, inoltre, che presto il Patriarcato pubblicherà un apposito documento per stabilire ulteriori particolari direttive in merito.
Cosa dicono i “sacri canones”
Si tratta di un’importante revisione della tradizionale legislazione canonica orientale circa l’ordine sacro come impedimento dirimente matrimoniale di coloro che sono stati costituiti nell’ordine sacro. Infatti, tale impedimento matrimoniale è stato già stabilito sin dai primi secoli dai “sacri canones” (cf. Canoni degli Apostoli, cann. 17 e 26; Concilio di Calcedonia [a. 451], can.14; Sinodo di Ancira [a. 314], can. 10; Sinodo di Neocesarea [a. 314-319], can. 1; San Basilio (+ 379), cann. 12 e 27; Concilio Trullano (691), cann. 3, 6 e 12.
Anche nelle Chiese Cattoliche Orientali, il can. 804 del Codex canonum Ecclesiarum orientalium stabilisce che «attenta invalidamente il matrimonio colui che è costituito nell’ordine sacro». Tuttavia, si ammette la possibilità della dispensa riservata alla Sede Apostolica (can. 795 §1, 1° e §2). Si tratta, perciò, di un impedimento di diritto ecclesiastico riservato alla suprema autorità della Chiesa.
Questa problematica di indole essenzialmente di esigenza pastorale non è nuova nelle Chiese Ortodosse. Infatti, già nel 1923 si è convocato a Costantinopoli un Convegno interortodosso, presieduto dal Patriarca Melezio IV, il quale aveva esaminato la possibilità di un nuovo matrimonio di sacerdoti rimasti vedovi.
I pronunciamenti di alcune Chiese ortodosse
I punti discussi e approvati unanimemente dai partecipanti a quel Convegno furono i seguenti:
– È permesso il secondo matrimonio ai sacerdoti e diaconi in seguito alla morte della moglie. Questa innovazione non è ritenuta contraria alla dottrina evangelica, anzi evita e preserva lo stato clericale da ogni biasimo, critica e accusa di scandalo.
– I Sinodi delle varie Chiese Ortodosse hanno il diritto di permettere ai sacerdoti e ai diaconi, loro sudditi, di contrarre un secondo matrimonio, dopo aver avuto il parere del proprio vescovo. Questa misura è ritenuta canonica e valida fino alla convocazione di un Sinodo Panortodosso, il quale è competente di dare a questa norma un vigore panortodosso (cf. Atti del Convegno 10/5 – 8/6/1923).
Ma, allora, il Patriarcato Ecumenico non ritenne di cambiare la normativa tradizionale del can. 6 del Concilio Trullano.
In diverse Chiese Ortodosse è stato spesso discusso questo problema, canonico e pastorale, come ad esempio di recente nelle Chiese di Serbia e di Grecia. Nella Chiesa di Grecia il problema del secondo matrimonio dei sacerdoti vedovi era stato già discusso dal Santo Sinodo nel lontano 1920 nella riunione del 22 aprile. Il tema era sottoposto in questi termini:
* Se era permesso ai sacerdoti rimasti vedovi di contrarre nuovo matrimonio;
* Se si tratta di una questione di disciplina ecclesiastica oppure di un articolo fondamentale di fede;
* Se è opportuno permettere in genere a tutti i sacerdoti rimasti vedovi il secondo matrimonio oppure solo in casi particolari eccezionali con la licenza del proprio vescovo e con l’approvazione del Santo Sinodo. Diverse opinioni furono avanzate, ma non si è giunti ad una decisione.
Nel 2006, la Commissione sinodale per le questioni dogmatiche della Chiesa Ortodossa di Grecia aveva pubblicato un documento circa il secondo matrimonio dei sacerdoti rimasti vedovi e di quelli divorziati. La Commissione, in considerazione dei canoni antichi ma anche dello spirito di “oikonomia” (condiscenda, filantropia, misericordia), aveva sostenuto che è possibile affrontare questo problema essenzialmente pastorale in casi particolari in spirito di “oikonomia”, e nelle condizioni ben precise.
Per quanto poi riguarda i sacerdoti divorziati, il problema è più complesso, poiché non è solo canonico ma anche civile. Il vescovo dovrebbe esaminare i motivi e le cause della sentenza di divorzio per verificare se questi motivi si inseriscono tra le cause che impediscono l’esercizio del sacerdozio e impongono piuttosto la pena canonica di deposizione, ciò che richiede l’applicazione anche delle norme sul processo giudiziario penale nel tribunale ecclesiastico.
Cosa ha detto il Santo e Grande Sinodo di Creta (2016)
Il Santo e Grande Sinodo dell’Ortodossia, convocato a Creta nel giugno 2016, stabilisce in merito che: «L’ordine sacro non costituisce in se stesso impedimento matrimoniale ma, secondo la tradizione canonica in vigore (can. 3 del Concilio Trullano), dopo l’ordinazione è impedito di contrarre matrimonio». Ciò vuol dire che il sacerdozio non impedisce il matrimonio come anche il matrimonio non impedisce il sacerdozio. Quindi non si tratta di un “dogma”, ma di una legge ecclesiastica da cui si può dispensare in virtù del principio di “oikonomia”
In conclusione, la decisione del Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli, in considerazione del fatto di sacerdoti nel territorio della sua giurisdizione, entro e fuori Costantinopoli, rimasti vedovi oppure abbandonati dalla propria moglie, applicando con la massima sollecitudine pastorale il principio di “oikonomia”, decise di autorizzare il nuovo matrimonio di questi sacerdoti, esaminando caso per caso in particolare, e con l’approvazione del proprio vescovi e l’approvazione del Sinodo del Patriarcato.
Ovviamente, la decisione del Patriarcato di Costantinopoli non ha una valenza universale e non obbliga le altre Chiese Ortodosse. Pertanto, alcuni teologi ortodossi ritengono che, trattandosi di una norma stabilita dai sacri canoni degli antichi concili, si richiederebbe una decisione pan-ortodossa. Infatti – come già detto – il Santo e Grande Sinodo dell’Ortodossia convocato a Creta nel giugno 2016, stabilisce che «l’ordine sacro non costituisce in se stesso impedimento matrimoniale, ma secondo la tradizione canonica in vigore (can. 3 del Concilio Trullano) dopo l’ordinazione è impedito di contrarre matrimonio».
Trattandosi di una norma puramente disciplinare, la decisione del Patriarcato di Costantinopoli è uno stimolo alle altre Chiese Ortodosse di provvedere in merito.