Fra i giri vorticosi a contattare tutti i partiti e i governi populisti dell’«Europa a 27», e negli Usa a sostenere i candidati di Trump alle prossime elezioni, Steve Bannon ha trovato il tempo per una intervista a Il Tempo (29 settembre 2018) candidando «Il movimento» da lui fondato a motore per il suicidio dell’Europa.
L’idea luminosa è quella di sostituire il sogno di De Gasperi, Schuman e Adenauer con quello di Orban, Zeman e Salvini: tornare all’Europa delle nazioni. La Brexit e l’uscita dall’euro sono piccole e coerenti conseguenze. Del resto, Stati Uniti, Cina e Russia bastano e avanzano per gestire il nuovo disordine mondiale e il tramonto definitivo dell’Occidente. Un piccolo tassello del progetto è in esecuzione grazie al nuovo governo italiano con i pentastellati e i leghisti che stanno applicando «il discorso di Trump all’ONU».
Ma, da buon cattolico, Bannon non si sottrae alla necessità di impartire una «dura lezione» alla Chiesa e a papa Francesco, colpevoli di non essere entusiasti dei populismi e dei nazionalismi. Con la compiaciuta superiorità del maestro elenca le gravi insufficienze del pontefice:
– assoggetta la conferenza episcopale italiana (lui dice «sponsorizza») per definire come «male» il risorgente nazionalismo;
– firma un accordo con il governo cinese per la nomina dei vescovi, «con il quale sei milioni di cattolici devoti in Cina vengono venduti» al regime;
– impone ai migranti di fare figli invece di favorire la fecondità delle coppie e delle famiglie italiane;
– come tutti i gesuiti è sotto l’influenza della «scuola marxista di Francoforte» e contagiato dalla «teologia della liberazione»;
– gestisce «l’istituzione temporale della Chiesa… in modo spericolato»;
– non prepara i soldi per pagare le vittime della pedofilia dei preti;
– «la Chiesa non sarà più un potere temporale perché dovrà cedere le sue proprietà».
Il fulcro dell’argomentazione è di una luminosa evidenza: il papa «è infallibile in materia religiosa e dottrinale, ma è molto fallace quando parla di politica». Come a dire: va bene il dogma ma non la dottrina sociale. Non poteva mancare il sostegno all’intemerata testimonianza di mons. Carlo Maria Viganò e alla sua indicazione: «il papa non deve dimettersi». Peraltro, Viganò ha detto il contrario. Soltanto non l’ha ripetuto in seguito.
I rapidi e imprevisti volteggi delle farfalle aiutano a comprendere i nuovi campioni della fede.
Bravo!