Carlo Altini è professore associato di Storia della filosofia all’Università di Modena e Reggio Emilia e direttore scientifico della Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Tra le sue pubblicazioni: Introduzione a Leo Strauss (Laterza 2009), Potenza come potere. La fondazione della cultura moderna nella filosofia di Hobbes (ETS 2012), Potenza/atto (il Mulino 2014), Progresso (Edizioni della Normale 2015). Per Marietti ha curato Leo Strauss, La città e l’uomo. Saggi su Aristotele, Platone, Tucidide (2010).
Con questa presentazione, introduciamo alle pubblicazioni di Marietti 1820, il marchio da poco acquisito dal Centro Editoriale Dehoniano.
1) Professor Altini, come si è espressa nel corso del Novecento la fede nel cambiamento?
Il Novecento è il secolo che con più vigore ha dato spessore al desiderio umano di mutamento. Nel passato i valori individuali e sociali erano quasi sempre dipendenti dall’idea di “tradizione”, considerata veneranda e degna di totale rispetto. A partire dalla fine dell’Ottocento, invece, tutto ciò che era “antico” è stato considerato vetusto e superato, non degno di alcuna fiducia: superiore alla tradizione era tutto ciò che l’homo faber poteva realizzare da sé, con il pensiero e con l’azione. Nel Novecento questo desiderio di mutamento si è espresso soprattutto sul piano culturale e politico, conducendo a una profonda trasformazione sociale: pensiamo all’emancipazione femminile, ai diritti umani, alle democrazie, ai diritti sociali. In alcuni casi questo desiderio di mutamento ha dato esiti nefasti – pensiamo al totalitarismo sovietico, per esempio – ma nella maggior parte dei casi esso riposava sull’idea che il progresso fosse la mèta dell’umanità, lontana e difficile da raggiungere e tuttavia sempre possibile, avendo di mira il perfezionamento del genere umano. Da alcuni decenni a questa parte, invece, il desiderio di cambiamento si è cristallizzato nell’idea di crescita economica o di sviluppo tecnologico; due prospettive che non hanno alcuna parentela con l’ideale morale e politico che ha fondato il desiderio di emancipazione dell’umanità in età moderna.
2) Che differenza c’è tra progresso, sviluppo e innovazione?
Lo sviluppo fa riferimento a un incremento di carattere soprattutto economico e quantitativo, mentre l’innovazione riguarda in particolare i mutamenti tecnologici che caratterizzano le nostre società contemporanee. In entrambi i casi, però, stiamo parlando di cambiamenti che non parlano della dimensione civile e politica della nostra esistenza, che è invece la caratteristica del progresso. Di un’innovazione tecnologica è infatti impossibile dire se essa sarà al servizio di un miglioramento della condizione umana o se sarà utilizzata per un più intensivo sfruttamento della natura e dell’individuo. E mirare allo sviluppo del PIL non ci garantisce che quello stesso sviluppo sia equamente ripartito tra tutti i cittadini. Per i filosofi dell’età moderna, invece, era impossibile pensare a un progresso scientifico e tecnologico senza un progresso morale e politico, e viceversa. Per i sostenitori del progresso la libertà di conoscenza faceva tutt’uno con la libertà politica: l’emancipazione dell’uomo riguardava sia la liberazione dai bisogni materiali (fame, malattie ecc.) sia l’affrancamento dai poteri autoritari, sia la costruzione di una società del benessere sia la realizzazione dei diritti politici e sociali. Per Kant e Mill, per Voltaire e Comte, per Bacon e Adam Smith, scienza e democrazia camminano insieme. Nelle società contemporanee l’innovazione non ha però questa caratteristica libertaria ed emancipatrice, visto che conduce al rafforzamento del dominio economico (e politico) delle grandi multinazionali, che non sono enti filantropici.
3) Spesso riteniamo che le nuove tecniche siano, per loro natura, neutrali. In realtà finiscono per delineare un mutamento condizionato sul piano ideologico e gerarchico. Cosa ne pensa?
Nulla è neutrale nella vita sociale, né ora né in passato. L’avvento delle nuove tecnologie ha spostato i centri del potere dal capitalismo fordista e industriale al capitalismo finanziario e digitale, ma non ha eliminato il problema del potere: ha cambiato la natura delle élites, rendendole invisibili, senza incidere sulle diseguaglianze socio-economiche. Le nuove tecnologie sono infatti prodotte grazie a ingenti investimenti di capitali, che mirano al profitto e al controllo sociale. Ovviamente queste nuove forme di dominio non si presentano con la faccia feroce delle tirannidi del passato, ma con la faccia suadente della moda e della pubblicità, esteticamente piacevole: per questo motivo nessuno le considera negative, anzi suscitano nuovi desideri verso prodotti che condizionano le forme di vita e di pensiero di miliardi di persone.
4) La parola “cambiamento” viene oggi molto enfatizzata, soprattutto sul terreno politico. Nella vita pubblica il cambiamento può bastare a se stesso?
Il cambiamento in sé non vuol dire nulla: al massimo è un fatto, non un valore. Si può cambiare in peggio o in meglio. L’attuale concezione del cambiamento ha invece perso ogni riferimento morale e politico per appiattirsi su una concezione tecnocratica dell’innovazione, che considera il mutamento un valore in sé, indipendentemente dallo scopo per il quale il mutamento viene realizzato. Naturalmente l’idea di progresso non ha comportato sempre cambiamenti positivi: essa è stata spesso utilizzata come “arma” per le missioni coloniali o per giustificare uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali. Nonostante ciò, l’idea di progresso aveva in sé un contenuto morale e politico che rendeva possibile una valutazione del cambiamento, se orientato al meglio o al peggio.
5) L’idea di progresso può avere un futuro?
Non sono un profeta e dunque non so se tra venti o trent’anni le cose cambieranno, ma non credo che l’idea di progresso – con il suo contenuto morale e politico, oltre scientifico – possa riattivarsi in Occidente nei prossimi cinque o dieci anni. Di una cosa però sono piuttosto sicuro. Del fatto che la natura umana non possa accontentarsi dell’appiattimento delle più nobili aspirazioni umane al dominio dell’immagine e del consumo che è stato realizzato dal capitalismo contemporaneo. C’è qualcosa dentro di noi che, prima o poi, si riattiverà e metterà di nuovo in moto la storia: il desiderio di una vera libertà, l’aspirazione alla magnanimità, il sentimento della nobile grandezza dell’umano. Non si tratta di una mera speranza: si tratta della consapevolezza che non può accontentarsi della volgarità e della mediocrità di Twitter, Facebook e Instagram un essere umano che ha prodotto opere come “La repubblica” e “De rerum natura”, “La divina commedia” e “Macbeth”, “Faust” e “Moby Dick”.
Carlo Altini, Le Maschere del progresso. Ascesa e caduta di un’idea moderna, Collana «I melograni», Marietti 1820, Bologna 2018, pp. 120, € 10,00.
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