Anche la diocesi di Ravenna ha presentato il Rapporto Caritas riguardante il 2015. Se si confrontano tra loro i dati più recenti, si scopre che a bussare ai Centri d’ascolto sono state, nel 2015, 5.737 persone, contro le 6.217 dell’anno precedente. Un calo evidente, ma una cifra comunque rilevante se si pensa che solo sette anni fa, nel 2008, gli utenti erano stati 2.700.
Il calo – spiega il delegato diocesano Caritas, don Alain Gonzales Valdès – è da mettere in relazione al fatto che un certo numero di immigrati o è tornato al paese d’origine o ha tentato la fortuna altrove.
Gli interventi attuati dalla Caritas hanno riguardato per il 58,8% gli stranieri (ben il 35,9% di essi erano minori) e per il 40,2% gli italiani.
Sono quattro gli operatori stabili del Centro d’ascolto della Caritas, coadiuvati da una quarantina di volontari. Il servizio maggiormente richiesto dagli utenti è il pacco viveri, ma arriva anche la richiesta di pagamento delle bollette, l’aiuto ai genitori con famiglie numerose, il sostegno alla maternità, il lavoro, gli sfratti, il mancato pagamento delle utenze, la mancanza di una casa…
La Caritas non fa distinzione di religione nel distribuire gli aiuti. A Ravenna gli assistiti nel 2015 erano per il 53,1% cattolici, l’8,5% di altre confessioni cristiane, il 24,5% musulmano e 14,9% non credente.
La povertà spessissimo non è un male solitario, ma porta con sé tante altre difficoltà: solitudine, disagio, famiglie disgregate, dipendenze, problemi relazionali. Queste persone, lasciate a se stesse, sono preda della povertà e dell’incapacità di autogestirsi.
Un fenomeno rilevato dalla Caritas ravennate è il working poor, persone che, pur lavorando, non riescono ad uscire dalla situazione di povertà. Come può accadere? Si tratta in qualche caso – spiega il delegato Caritas – di persone che hanno famiglie numerose, ma nella maggior parte dei casi si tratta di persone che «non ricevono il giusto stipendio o non lo ricevono affatto», perché l’azienda in cui lavorano è in crisi o è in ritardo con i pagamenti. In queste situazioni molti dipendenti non se la sentono di licenziarsi perché non hanno alternative. Non parliamo poi del lavoro nero.
Don Alain vede in un maggiore coinvolgimento e in una maggiore collaborazione una risposta valida alle emergenze.
Per questo è stato creato un gruppo di lavoro stabile tra il Centro d’ascolto diocesano e le Caritas parrocchiali, allo scopo di moltiplicare i Centri d’ascolto sul territorio, perché – dice ancora il delegato Caritas – «le parrocchie e il territorio sono in grado di aiutare le persone a vivere le povertà in maniera più dignitosa e magari anche ad uscirne».
Ma questo è un ambito in cui non ci si improvvisa: «Come possiamo mettere una persona non formata cristianamente in un luogo così sensibile?». A questa esigenza si risponde formando i volontari e quanti si occupano dei poveri. Per questo è stato proposto un corso specifico a chi intende operare negli otto centri caritativi attivi in diocesi.
Parola d’ordine: moltiplicare la solidarietà.