Dopo la decisione di Costantinopoli di riconoscere l’autocefalia (autonomia) delle Chiese ucraine l’11 ottobre, si sono messe in moto le fratture e le derive ipotizzate. Al di là dello scontro diretto fra i patriarchi di Mosca e di Costantinopoli, la faglia di rottura sembra seguire il confine fra radice ellenica e slava delle Chiese. Come ha sottolineato Dimitrios Keramidas: «Si profila un’inevitabile spaccatura tra l’Ortodossia ellofona e quella slava». Che essa sia caratterizzata soprattutto da ragioni di potere, di politica ecclesiastica e di interessi internazionali è quello cha ha sostenuto il grande teologo Christos Yannaras. Ecco una prima recensione dei moti franosi già registrabili.
Ucraina. La prima, entusiastica, risposta all’autocefalia delle Chiese ortodosse locali (le due Chiese scismatiche avverse alla Chiesa di obbedienza russa) è del presidente della Repubblica ucraina, P. Porošenko che, in un lungo saluto a tutti gli ucraini, parla di fine «dell’illusione imperialista e delle fantasie scioviniste di Mosca». Un «grande evento storico» che illumina «la vittoria del bene sul male».
Il tomo dell’autocefalia è legato all’indipendenza del Paese e alla sua sicurezza nazionale. È una scelta filo-europea e filo-ucraina. Garanzia della pace sociale interna. Nessuno metterà in forse le garanzie per la libertà religiosa di tutte le denominazioni. Alla comprensibile soddisfazione delle Chiese «scismatiche» che si vedono riconosciuti i propri diritti si aggiunge la coerente decisione di Costantinopoli di rimozione delle scomuniche a Filarete Denišenko, responsabile del Patriarcato di Kiev, e a Macario, arcivescovo della Chiesa ortodossa autocefala.
Fortemente critica la posizione della Chiesa filo-russa. Il portavoce, metropolita Antonio, scandisce: «Noi eravamo, siamo e restiamo la sola Chiesa canonica in Ucraina», «gli scismatici restano scismatici», «erano fuori della grazia di Dio e sono rimasti tali». La Chiesa filo-russa non accetterà mai di unirsi con le Chiese «scismatiche». L’anatema verso Filarete e Macario va allargato a Bartolomeo di Costantinopoli.
Cosa succederà nelle 11.392 chiese e cattedrali e nelle 12.328 comunità filo-russe, nelle 3.784 chiese e 5.114 comunità di Filarete, nelle 868 chiese e 1195 comunità di Macario? Si temono scontri e violenze. Non è detto che le Chiese «scismatiche» trovino un facile accordo fra loro, che Filarete sia riconosciuto come patriarca. Non si sa quanto le comunità manterranno la propria identità o difenderanno le proprie Chiese. Un’ampia corrente filo-autocefala è presente anche nelle comunità e nel clero legato a Mosca.
Come si comporterà sotto la spinta ecclesiale e politica? Assai prudenti e silenziosi i greco-cattolici, ma il loro tradizionale sostegno ad un unico patriarca a Kiev non li colloca come mediatori. La ferita della Crimea, occupata manu militari dalla Russia, e la permanente guerra nel Donbas aggraverà lo scontro fra ucraini nazionalisti e ucraini russi.
Russia. Una violazione plateale dei codici conciliari, una pretesa ingiustificata di potere sulle Chiese, una scelta lucidamente scismatica, una rottura completa con la tradizione e un danno catastrofico per l’intera Ortodossia: sono alcune delle espressioni dei massimi responsabili della Chiesa ortodossa russa in merito alla decisione di Costantinopoli.
Il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni internazionali della Chiesa russa, ha detto: «I canoni della Chiesa sono stati violati, l’unità ortodossa è in frantumi, l’ingerenza del patriarca di Costantinopoli nei territori canonici della Chiesa russa è formalmente documentata».
Il patriarca Cirillo, parlando in occasione della memoria di san Sergio di Radonez (Mosca, 8 ottobre), ha avvicinato la scelta di Bartolomeo allo «scisma degli innovatori» del 1922, quando un gruppo di sacerdoti, sostenuti dal potere rivoluzionario, costrinsero il patriarca Tichon ad abdicare, raccogliendo nelle proprie file 73 vescovi. Solo 36 rimasero fedeli a Tichon. L’anno successivo convocarono un concilio le cui conclusioni vennero rifiutate dal patriarca Tichon che si oppose ad un nuovo concilio a Gerusalemme, sostenuto dal patriarca di Costantinopoli, Gregorio VII.
La rapida consunzione dei «novatori» nonostante le gravissime persecuzioni è oggi ricordata e aggiornata come un’infamia per la sede del Fanar.
Cirillo, come il patriarca Tichon, invoca l’unità di tutti i vescovi che fanno riferimento a Mosca, sia in Ucraina come in Bielorussia e negli altri paesi. E sollecita il popolo credente a difendere le loro Chiese. Per lui la vera sfida è ben maggiore. Si tratta «di non perdere la purezza dell’Ortodossia», di non rendere duratura nei secoli la divisione.
Il 15 ottobre il Santo sinodo della Chiesa russa pubblica un documento organico e ampio a conferma della rottura della comunione con Costantinopoli e, probabilmente, delle Chiese che ne seguissero le indicazioni. È il parallelo del testo di Costantinopoli del 29 settembre scorso.
Nel documento si contesta la pretesa anticanonica di Costantinopoli nella rimozione delle scomuniche ai vescovi e ai preti delle Chiese scismatiche, le contraddizioni del Fanar rispetto al precedente riconoscimento della Chiesa filo-russa come l’unica comunità ortodossa legale, l’ingerenza anticanonica nei confronti di Mosca in nome di una giurisdizione universale inventata, la cancellazione gratuita dell’atto sinodale del 1686 con cui Costantinopoli riconosceva a Mosca la responsabilità su Kiev, una decisione sconsiderata per un interesse politico.
La conclusione: «L’accoglienza nella comunione di scismatici e di persone colpite dall’anatema da parte di un’altra Chiesa locale con tutti i vescovi e il clero ordinati, l’ingerenza su territori canonici stranieri, il tentativo di negare le proprie decisioni e obbligazioni storiche, tutto questo colloca il Patriarcato di Costantinopoli fuori dello spazio canonico e, con nostro grande dolore, ci rende impossibile mantenere la comunione eucaristica con i suoi gerarchi, il suo clero e i suoi laici. Da oggi e fino a quando il Patriarcato di Costantinopoli non rinunci alle sue decisioni anticanoniche, è impossibile a tutti i ministri della Chiesa ortodossa russa di concelebrare con i preti della Chiesa costantinopolitana, e ai laici di partecipare ai sacramenti celebrati nelle loro chiese».
L’unanimità e la compattezza delle posizioni non garantisce l’effettivo consenso del clero e delle comunità ucraine e non assicura che la dirigenza russa non venga investita, a sua volta, da critiche per come ha gestito l’intera questione ucraina. Hilarion, in particolare, potrebbe farne le spese.
Patriarcati. Un esplicito consenso alle posizioni di Mosca è già arrivato dalla Serbia, che teme analoghe intrusioni di Costantinopoli nella Macedonia e nel Montenegro, dalla Chiesa ortodossa polacca e dalla Chiesa ortodossa bielorussa.
Il patriarca di Bulgaria e quello di Antiochia hanno chiesto un concilio pan-ortodosso per dirimere la questione. Appello caduto nel vuoto, anche per le contraddizioni di chi non ha voluto partecipare al grande Concilio di Creta (2016) preparato lungo 60 anni e che ora invoca un’immediata convocazione. Ma voci che invocano prudenza sono registrabili anche in Grecia e nel contesto ellenico. In tutti si esprime il timore di violenze fisiche dentro le comunità interessate.
Europa – Usa. Al totale silenzio dell’Unione Europea si contrappone l’evidente interesse degli Stati Uniti. L’incontro dell’ex vicepresidente americano Joe Biden con Filarete, l’intervento del Dipartimento di Stato a favore dell’autocefalia come l’appartenenza al Nord-America dei due esarchi inviati in Ucraina: sono tutti elementi che indicano un’esposizione molto netta sul tema.
Ultima in ordine di tempo (12 ottobre) la presa di posizione di K. Volker, rappresentante speciale degli USA per l’Ucraina. Si è pronunciato a favore dell’autocefalia e ha aggiunto: «Dal punto di vista americano la sola cosa che possiamo dire è che noi crediamo nel principio della libertà religiosa», «Putin ha perso l’Ucraina nei cuori e nello spirito».
Difficile pensare che il Cremlino assista agli eventi senza inquietarsi del possibile spostamento ucraino verso la Nato. Ma, per il rappresentante speciale come per tutti i vari protagonisti degli eventi, il pericolo alle viste è quello della violenza: «Spero che non ci saranno proteste e azioni violente organizzate in seguito a questa decisione. In caso contrario, sarebbe una tragedia. È grave che ci siano leader religiosi che alludono al ricorso alla violenza. Sarebbe un orrore e noi non lo vogliamo in modo assoluto».
Roma. La Santa Sede ha mantenuto una rigorosa neutralità sull’intera questione, rassicurando i vari interlocutori. Ha imposto ai greco-cattolici di non esporsi più di quanto abbiano già fatto. Guarda con molta preoccupazione alle ferite inferte al cammino ecumenico. Eredita un peso rilevante: Roma e l’intera Chiesa cattolica diventano il perno di ogni possibile cammino dialogico fra le confessioni cristiane e il servizio petrino di unità assume un’evidenza come non mai prima.
Un amico mi raccontava dell’incontro di alcuni pope russi con il papa nell’udienza generale, dell’affettuosità di Francesco e del loro commento finale: «Ci resta solo il papa».
Sull’argomento, vedi su SettimanaNews:
3 dicembre 2017 Mosca-Kiev: riconciliazione annunciata e smentita
30 dicembre 2017 La geopolitica dell’Ortodossia
11 maggio 2018 Ucraina: il tomo e le Chiese
5 luglio 2018 Ucraina: Prima l’unità, poi l’autocefalia
6 luglio 2018 Ucraina incompiuta
21 luglio 2018 Ucraina: L’autocefalia per l’unità
3 agosto 2018 Francesco mediatore fra Mosca e Costantinopoli?
11 agosto 2018 A 1.030 anni dal “Battesimo della Rus”, più che mai divisi
7 settembre 2018 Kyrill e Bartolomeo: incontro al Fanar
11 settembre 2018 Ortodossia: tamburi di guerra
18 settembre 2018 La tunica lacerata dell’ecumenismo
19 settembre 2018 Il nodo ucraino e il futuro dell’Ortodossia
25 settembre 2018 Ortodossia: lo scisma slavo-ellenico?
6 ottobre Autocefalia ucraina: le ragioni di Costantinopoli
12 ottobre Bartolomeo: sì all’Ucraina, no alla Russia
16 ottobre Il vicolo cieco dell’autocefalia etnico-nazionale