Cosa c’entra la politica nello scisma slavo-ellenico prodotto dal riconoscimento dell’autocefalia alle Chiesa ortodosse “scismatiche” dell’Ucraina da parte del patriarcato di Costantinopoli (7 settembre)? Tutti i protagonisti lo denunciano, ciascuno addebitandola agli altri.
Il nodo centrale riguarda la primazia di Costantinopoli e il conflitto con Mosca, connesso con i riferimenti ai canoni dei concili e ai documenti storici, con riflessi sui temi ecclesiologici e spirituali.
Il patriarca di Mosca Cirillo ha affermato, il 28 ottobre, che non si tratta di scontro Mosca-Costantinopoli, ma della difesa da parte di Mosca delle «norme canoniche intangibili». Anzi, si tratta di custodire «la natura stessa della Chiesa ortodossa» ormai difesa in primis dalla Chiesa russa. Due giorni dopo riconferma: «Non è solo una lotta per il controllo di un territorio canonico, è la lotta contro la distruzione dell’unica forza ortodossa potente del mondo».
In una dichiarazione comune i patriarchi di Serbia e Antiochia, Ireneo e Giovanni X, mettono in guardia dal pericolo di separazioni, divisioni e scismi, evitando che la Chiesa ortodossa «scivoli, coscientemente o incoscientemente nelle pieghe della politica delle alleanze internazionali e degli interessi politici degli stati» (19 ottobre).
Due giorni dopo tocca al patriarca Bartolomeo di Costantinopoli ricordare la sua lotta «perché l’Ortodossia sia preservata dal pericolo del nazionalismo».
Il metropolita del Pireo, Serafino (Grecia), afferma il 17 settembre che la «Chiesa non deve essere strumentalizzata come vorrebbero i piani geo-politici e geo-strategici che esistono nel sistema di vita mondiale».
In particolare, in Ucraina si sta consumando uno scontro strategico fra Nato e Russia rispetto a cui la Chiesa non deve lasciarsi strumentalizzare. Le voci si potrebbero moltiplicare.
Nondimeno il peso della politica è evidente. Nell’impianto teologico delle Chiese ortodosse il rapporto con gli stati si ispira alla “sinfonia” e non conosce, se non nelle ultime indicazioni di dottrina sociale, la possibilità dello scontro e della distanza. Si possono ricostruire alcune tracce nella vicenda dell’Ucraina.
Porochenko e Filarete
Il protagonista politico più evidente nel caso ucraino è il presidente dello stato, Petro Poroshenko. È lui che fa propria la richiesta di autocefalia, che spinge il parlamento (Verchovna Rada) ad approvare la richiesta ufficiale per Costantinopoli (19 aprile). È sempre lui a portarla direttamente da Bartolomeo prima della Pasqua. La sua firma, con quella del patriarca, è in calce all’accordo che il 3 novembre accelera le tappe per la concessione formale del tomo dell’autocefalia.
Sempre dal governo ucraino giunge il dono di una delle più belle chiese di Kiev ai rappresentanti del Fanar (Sant’Andrea), con una votazione parlamentare.
L’autonomia ecclesiale diventa una delle carte maggiori per Poroshenko in vista delle elezioni politiche del prossimo marzo (2019).
Per il metropolita del Montenegro (Serbia), Amfiloco, «è precisamente il potere ucraino il principale attore nella questione del tomo dell’autocefalia alla Chiesa d’Ucraina» (17 ottobre).
E mons. Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato di Mosca, aggiunge: «Abbiamo qui un progetto politico, avviato dalle autorità politiche attuali, cioè dalle autorità ucraine, dirette dal presidente Porochenko, che domandano l’autocefalia» (16 settembre).
Toni enfatici e roboanti nel messaggio alla nazione del presidente all’indomani della decisione di Costantinopoli che «ha dato il suo sì al sogno tanto atteso e per il quale ci siamo battuti da molto tempo». «La decisione del patriarca ecumenico e del santo sinodo ha finalmente dissipato le illusioni imperiali e i fantasmi sciovinisti di Mosca che non erano confermati da alcun documento giuridico ed ecclesiastico che testimoniasse il riconoscimento dell’Ucraina come “territorio canonico della Chiesa russa”». «L’autocefalia fa parte della nostra strategia statuale europeista e nazionale, che abbiamo applicato in maniera coerente negli ultimi quattro anni e, lo sottolineo, che metteremo in opera anche per il futuro. È il fondamento della nostra specifica via allo sviluppo, allo sviluppo dello stato e della nazione ucraina».
Un profilo politico caratterizza anche Filarete, il primate della Chiesa ortodossa di Kiev, una delle Chiese “scismatiche” che godranno del riconoscimento patriarcale. La sua biografia è molto ambigua e discussa. Essa va letta non con gli occhi occidentali, ma in parallelo a quella di moltissimi gerarchi che hanno attraversato il periodo sovietico, come Cirillo o il patriarca romeno Daniel.
Mykhailo Antonovitch Denysenko (il suo nome da laico) nasce nel 1929, è già vescovo nel 1962 e metropolita nel 1968. Nel 1990 è uno dei candidati alla successione del patriarca di Mosca, Pimen. Vincerà invece Alessio II. Nel 1992 fonda e presiede il patriarcato di Kiev, senza essere riconosciuto da nessuna Chiesa ortodossa.
Come in precedenza si era alleato con il potere comunista (collaboratore coi servizi segreti col nome di Antonov), si avvicina alle forze nazionaliste ucraine e, nel 1995, viene proclamato patriarca dalla sua Chiesa.
Considerato il più abile fra i gerarchi, è accusato non solo di strumentalizzare il potere politico ma anche di una condotta personale censurabile (sposato con figli). Scomunicato nel 1997, è fra i protagonisti della «rivoluzione arancione» in senso antisovietico del 2004 e della «rivoluzione della dignità» del 2014.
Compie un pasticciato tentativo di avvicinamento alla Chiesa russa nel dicembre del 2017 per poi ridiventare la “bestia nera” della Chiesa ortodossa ucraina di obbedienza russa.
La sua Chiesa controlla 3.784 chiese (quella “russa” 11.392) e 5.114 comunità (quella “russa” 12.328), ma la crescente spinta nazionalista e anti-russa, alimentata dell’autocefalia, potrebbe cambiare i numeri.
Putin
Molto più defilato, ma non meno presente, Valdimir Putin, il presidente della Russia. Il già citato Hilarion in un’intervista del 10 ottobre è netto. Nella faccenda ucraina «lo stato russo non c’entra niente». Ma, all’indomani della decisione del Fanar il Consiglio di sicurezza dello stato dedica l’intera seduta alle questioni ucraine.
E il 3 novembre, in una riunione dei rappresentanti della diaspora russa, Putin mette in guardia dalle «conseguenze più gravi» delle divisioni ecclesiali. «Vorrei sottolineare una cosa: politicizzare un ambito così sensibile produce sempre le conseguenze più gravi, anzitutto per coloro che lo avviano». «Il nostro dovere comune, anzitutto davanti alla gente, è di preservare l’unità spirituale e storica degli ortodossi».
È noto il sostegno reciproco fra Cremlino e sede patriarcale che, nel caso della guerra del Dombass, la regione russofila dell’Ucraina, non ha mai criticato o preso le distanze dall’intervento russo.
Il metropolita Emmanuel (Francia) denuncia: «Il patriarcato di Mosca, purtroppo, sembra essere ostaggio degli interessi dello stato russo nella regione, anche se afferma il contrario».
Dopo l’intervento critico verso Costantinopoli del ministro degli esteri russo, S. Lavrov, Hilarion specifica il doppio livello. Lo scontro fra i patriarchi è canonico-ecclesiale, ma «a livello politico è un conflitto fra Ucraina e Russia. Il presidente dell’Ucraina, Porochensko, ritiene di avere il dovere non solo di esprimersi sulle situazioni ecclesiali, ma anche di prendere decisioni relative alla vita della Chiesa in Ucraina. Dalla sua parte, il presidente russo e le strutture che dipendono da lui ritengono di avere il diritto di esprimersi in merito».
L’occupazione russa della Crimea e la guerra, mai dichiarata e mai sospesa, del Dombass, costituiscono, assieme ai partiti e alle personalità filo-russe della politica ucraina, il modo con cui la Russia condiziona pesantemente la vita interna dell’Ucraina. Come per i conflitti “a bassa intensità” dell’Ossezia e dell’Abcazia (rispetto alla Georgia) e della Transnistria (rispetto alla Moldovia), il conflitto del Dombass (che ha già fatto 10.000 morti) costituisce il mezzo per impedire all’Ucraina di avvicinarsi alla Nato e di consolidarsi come stato indipendente. Il conflitto si spegne e riaccende a seconda dei momenti.
Il combinato disposto fra possibili violenze attorno ai luoghi di culto, la acute tensioni sociali e la guerra ai confini non incoraggia le speranze di una pace durevole.
Il metropolita del Montenegro, Amfiloco, non si tira indietro: «La guerra in Ucraina continua e ora Costantinopoli conferma (con la decisione sull’autocefalia, ndr) che questa guerra è diretta contro la Chiesa e l’unità del popolo di Dio e contro la Russia in quanto è il più grande paese ortodosso».
USA e Dipartimento di stato
Il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, non è accusato direttamente di interessi politici, ma è indicato come il “re travicello” attraverso cui l’amministrazione americana vuol mettere in difficoltà la Russia.
Sempre Anfiloco del Montenegro sottolinea: «Ci sono forze, forze demoniache che vogliono dividere la Chiesa ortodossa. Per farlo, sono riuscite ad utilizzare l’antica Chiesa di Costantinopoli, affinché essa applicasse il diritto che gli era proprio nel tempo dell’impero bizantino. Nella battaglia per l’Ucraina che vuole erodere i fondamenti della Russia, la mano dell’America è del tutto visibile. Si parla dell’intromissione della Russia, ma cosa significa se essa è nata lì? La Russia di Kiev è nata lì e si è sviluppata senza soluzioni di continuità per 1030 anni. Il fatto che gli stati occidentali, Unione Europea e soprattutto America, attizzino e sostengano le guerre fratricide, come hanno fatto da noi in Kosovo, mostra che quello che si svolge in Ucraina è il secondo atto della tragedia dell’ex Jugoslavia».
Alla domanda se Bartolomeo è una marionetta in mano americana, Hilarion risponde: «Penso che gli Stati Uniti giochino un qualche ruolo, dal momento che i consiglieri del presidente americano sono venuti in Ucraina e hanno apertamente sostenuto l’autocefalia».
L’amministrazione americana non ha, infatti, lasciato dubbi. Kurt Volker, rappresentante speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina ha espresso pieno sostegno ad un’unica Chiesa ortodossa in Ucraina. L’ex vicepresidente americano, Joe Biden, ha manifestato a Filarete il sostegno dell’autocefalia per affermare la sovranità ucraina.
Il Dipartimento di stato, in una nota del 25 settembre, scrive: «Gli Stati Uniti rispettano la capacità dei dirigenti religiosi ortodossi di Ucraina e i loro fedeli a perseguire l’autocefalia secondo le loro convinzioni. Onoriamo il patriarca ecumenico come la voce della tolleranza religiosa e del dialogo interreligioso. Gli Stati Uniti mantengono il loro sostegno indiscusso all’Ucraina e alla sua integrità territoriale».
L’ex primate della Chiesa ortodossa d’America, il metropolita Jonas, ha vivamente protestato per l’ingerenza politica americana. Non sono in questione i diritti dell’uomo, né la libertà religiosa. I neo-conservatori americani sono guidati da una paranoia antirussa. Si sono infiltrati nel patriarcato di Costantinopoli assicurando la sua stabilità finanziaria e sostenendo Bartolomeo in un’interpretazione della propria giurisdizione, che è negata dalle altre Chiese ortodosse. «Prima o tardi Porochenko sarà cacciato e Denysenko (Filarete) che ha più di 90 anni, morirà. Lo scisma si sgonfierà. L’Ucraina continuerà ad affondare nel caos politico, sociale ed ecclesiale, con o senza una Chiesa autocefala. Nessuno, né gli Stati Uniti né la Russia, sarà capace di intervenire per salvare questo paese. Dovrà risorgere dalla ceneri, in parallelo all’Irak, alla Libia, alla Siria e agli altri paesi distrutti dagli interventi statunitensi». «Mosca emergerà come il riferimento morale del mondo ortodosso. Ma voi, del Dipartimento di stato, voi avrete sulle mani e sulla testa il sangue delle nonne e dei vegliardi ucraini. E dovrete rispondere delle vostre decisioni davanti a Dio».
Dalla terza alla prima Roma
Il convitato di pietra della vicenda è il papa di Roma.
Da un lato, in tutti i dibattiti anti-Bartolomeo il papato latino emerge come l’esempio negativo da non seguire, come ciò che mette in questione l’identità propria dell’Ortodossia.
Dall’altro lato, non c’è una sola voce ortodossa che neghi a papa Francesco e al papato attuale un atteggiamento assolutamente corretto e condivisibile.
Se è vero che il primato petrino ha bisogno di una più pronunciata consapevolezza e prassi sinodale (vedi le nuove norme sinodali e lo studio della Commissione teologica internazionale), l’insistenza ortodossa nel negare un ruolo di riferimento a Roma nasconde a fatica la domanda di un suo intervento. Così come la complessità degli intrecci politici e degli interessi nazionali richiederebbe la lunga e provata esperienza della diplomazia vaticana.