Il 28 ottobre scorso, Jair Messias Bolsonaro, candidato del Partito social-liberale (PSL) alle elezioni presidenziali del Brasile, ha vinto il ballottaggio contro il candidato del Partito dei lavoratori (PT), Fernando Haddad. Sebbene al secondo turno Haddad sia andato molto bene, guadagnando ben 16 milioni di voti rispetto al primo turno (quasi il doppio di quelli guadagnati dal rivale), il Partito dei lavoratori non è riuscito a ottenere nuovamente, due anni e mezzo dopo la messa in stato di accusa di Dilma Rousseff, la guida del paese.
Tale campagna presidenziale, come già quella che portò all’elezione di Trump alla Casa Bianca, ha visto il coinvolgimento attivo di numerose comunità protestanti, le quali hanno in larga misura sostenuto il candidato “di destra”, risultando decisive per la sua vittoria. Come rilevato da Ricardo Mariano e Ari Pedro Oro nel loro studio su politica e religione in Brasile,[1] se, da una parte gli evangelici de missão (luterani, presbiteriani, metodisti, battisti, avventisti ecc.) non hanno mai influenzato in modo decisivo la vita politica del paese, gli evangelici de origem pentecostal, come l’Igreja Universal do Reino de Deus (IURD), che può contare su un tasso di crescita esponenziale di fedeli, hanno dimostrato ancora una volta, con l’elezione di Bolsonaro, la loro progressiva influenza.
Dopo il sindaco, la presidenza
Dopo l’elezione di due anni fa di Marcelo Crivella, vescovo della IURD, a sindaco di Rio de Janeiro, il Partito repubblicano (PRB) – punto di riferimento parlamentare dell’Igreja Universal – è riuscito a ottenere quasi il 5% dei consensi al primo turno delle ultime elezioni nazionali, schierandosi poi con Bolsonaro al ballottaggio e garantendogli così il bacino elettorale necessario per vincere.
Bolsonaro è stato capace di catalizzare il voto degli evangelici de origem pentecostal, segnando un’importante cesura con il passato, dal momento che il Partito repubblicano aveva in precedenza sostenuto i governi a guida PT, tanto che José Alencar, membro del PRB, aveva ricoperto la carica di vice-presidente dei governi Lula, rappresentandone l’ala destra a trazione neoliberale.
La distinzione tra evangelici de missão ed evangelici neo-pentecostali (“evangelicali”) è fondamentale per non fermarsi alla superficiale interpretazione, piuttosto diffusa in Italia e non solo, che vede come ultra-conservatore il voto evangelico tout court, e che supporta la tesi dello “spostamento a destra” del Brasile con i dati demografici che vedono la popolazione protestante nel suo complesso aumentare fino ad avere raggiunto, in un censimento del 2010, il 23% della popolazione.[2]
È dunque bene fare una precisazione: è il voto evangelicale, e in particolar modo il voto dei fedeli delle Assembleias de Deus (tra cui troviamo l’Assembleia de Deus Vitória em Cristo, di cui fa parte l’influente pastore Silas Malafaia),[3] che raggruppano da sole più del 6% della popolazione brasiliana, della IURD e anche della Comunidade Evangélica Sara Nossa Terra, ad avere donato un’importante base di consenso a Bolsonaro, non il voto evangelico in quanto tale, che, pure nel suo insieme, a causa della crescente percentuale di fedeli neo-pentecostali negli ultimi decenni, ha comunque preferito Bolsonaro.
Va ricordato, però, che quest’ultimo – nato e cresciuto nell’alveo della Chiesa cattolica brasiliana – ha superato Haddad anche nel voto cattolico, grazie soprattutto a quelle frange integraliste le quali volentieri propugnano una sorta di “ecumenismo fondamentalista”, che le avvicina all’evangelicalismo e, al contempo, le allontana dall’ecumenismo di papa Francesco, il cui pontificato si contraddistingue per l’attenzione a non dare sponde teologiche ai poteri costituiti.[4]
Al contrario, i fedeli neo-pentecostali sono spesso indirizzati al voto da vescovi e pastori, i quali, come dichiarato ad Associated Press dal sociologo e scienziato politico brasiliano Antonio Lavareda,[5] anche quando non si impegnano direttamente in politica come nel già citato caso di Marcelo Crivella, influenzano i propri fedeli molto più dei preti cattolici, invitandoli esplicitamente a votare per i propri candidati.
Bolsonaro, per conquistare il consenso di pastori e fedeli neo-pentecostali, ha puntato, tra le altre cose, su temi conservatori in materia familiare e sessuale, contro l’omosessualità e a difesa della cosiddetta famiglia tradizionale; argomenti che si adattano perfettamente all’impronta moralistica del protestantesimo evangelicale, ma che spesso stridono con la biografia di chi li utilizza per fini elettorali, e che anche in questo caso fanno da contraltare alle tre “famiglie tradizionali” avute da Bolsonaro: Michelle, di fede evangelica, è la sua attuale e terza moglie.
Dio dei soldi
Non solo il voto evangelicale è stato di aiuto a Bolsonaro per raggiungere la presidenza, ma anche la “macchina” di consenso e di denaro che le comunità neo-pentecostali – organizzate come grandi imprese – sono riuscite a muovere. Tale “macchina” è stata capace anche di oltrepassare i confini della propria comunità di fedeli, e basti pensare al ruolo avuto dalla diffusissima Rede Record, network televisivo fondato dal pastore miliardario della IURD, Edir Macedo, e scelto da Bolsonaro, tra le altre cose, per la sua prima intervista dopo la vittoria ai seggi.
Macedo, che nel suo libro Plano de Poder[6] invitava direttamente i membri della sua chiesa a impegnarsi in politica, predica una “teologia della prosperità” basata su una lettura letterale della Bibbia,[7] che riconosce nel benessere e nelle fortune economiche individuali — oltreché nelle donazioni alla chiesa (sic!) — un segno di fede e di predilezione divina.
Si tratta, dunque, di un’ideologia “meritocratica”, che risulta ostile alle politiche sociali dei precedenti governi del PT e che – come sostiene la filosofa brasiliana Marilena Chaui – «è stata interiorizzata da gran parte della classe media e della nuova classe operaia: io lavoro e guadagno, ma il mio merito non viene riconosciuto perché i miei soldi, attraverso i programmi sociali, vanno a chi non fa nulla; e questo non è giusto, non è democratico»;[8] ed è tanto più ingiusto laddove si consideri la povertà nient’altro che diretta conseguenza della mancanza di fede, come insegna il “vangelo della prosperità”.[9]
Il ceto medio in cui imperversa un forte risentimento verso le politiche del PT rappresenta dunque il principale interlocutore tanto di Bolsonaro quanto delle comunità evangelicali come quella di Macedo, che offrono una visione del mondo individualistica, per la quale il benessere personale viene prima del bene comune.
Una tale visione, con radici profonde nella storia del calvinismo, si adagia oggi perfettamente all’ordine neoliberale, il quale sfrutta la capacità di persuasione della religione — nello specifico i messaggi affatto mediatici dei pastori neo-pentecostali — per trasformare la società.
Ironia della sorte, quasi a segnare un passaggio di consegne: la nuova Catedral Mundial da Fe della IURD sorge a Rio de Janeiro in una via dedicata a Hélder Câmara,[10] la cui “teologia della liberazione”, basata sul concetto di giustizia sociale, forniva risposte diametralmente opposte rispetto a quelle della “teologia della prosperità”.
Il credo neoliberale
L’evangelicalismo rappresenta una forza in netta crescita, capace di influenzare politicamente i propri fedeli e di influenzare elettoralmente Stati enormi come il Brasile e come già gli Stati Uniti.
Certamente, l’elezione di Bolsonaro è stata una risposta a fattori contingenti, come gli scandali di corruzione e la violenza imperante in certe aree del Brasile, e Bolsonaro stesso non può essere affatto considerato come un “Trump brasiliano”, come certe schematiche interpretazioni portano a credere, eppure le due elezioni presidenziali hanno avuto diversi tratti in comune, tra cui la crescente influenza di una spregiudicata forza religiosa, favorevole a politiche “di destra”, non soltanto sul piano etico ma anche su quello economico, tanto da arrivare a fornire una vera e propria spalla teologica al credo neoliberale.
Se, da una parte, tale forza avrà, conformemente ai trend demografici, sempre più peso nella vita politica al di là dell’Atlantico, d’altra parte, è bene non sovrapporla al protestantesimo non-pentecostale e pentecostale “classico”, assai più eterogeneo, non così indirizzato e organizzato dal punto di vista politico né così in crescita come il protestantesimo neo-pentecostale.
[1] R. Mariano – A.P. Oro, Religion and Politics in Brazil, in S. Engler and B.E. Schmidt (a cura), Handbook of Contemporary Brazilian Religions, L’Aia, Brill, 2016.
[2] Dato tratto da Pew-Templeton. Global Religious Futures Project (http://www.globalreligiousfutures.org/countries/brazil/religious_demography#/?affiliations_religion_id=37&affiliations_year=2010), oggi stimato in un 29% (G. Veiga, Jair Bolsonaro benedetto dalle chiese evangeliche brasiliane, in «Internazionale», 11 ottobre 2018, https://www.internazionale.it/notizie/gustavo-veiga/2018/10/11/jairo-bolsonero-chiese-evangeliche). Se tale tendenza non dovesse invertirsi, nei prossimi anni il cattolicesimo in Brasile potrebbe diventare minoritario.
[3] Tale pastore, giusto per dare un’idea della sua enorme influenza nel contesto brasiliano, può contare su 1,38 milioni di “seguaci” della sua pagina personale nel social network Twitter, e su 2,31 milioni di “seguaci” della sua pagina Facebook (più del doppio, sempre per dare un’idea di massima, di quelli che seguono l’account dell’ex premier italiano Matteo Renzi). Su entrambe le pagine, Malafaia diffonde quotidianamente messaggi a contenuto politico.
[4] A. Spadaro, Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo, in “La Civiltà Cattolica”, Quaderno 4010, vol. III, 2017 (https://www.laciviltacattolica.it/articolo/fondamentalismo-evangelicale-e-integralismo-cattolico/).
[5] M. Silva De Sousa, Evangelicals, growing force in Brazil, to impact elections, in «AP news», 14 settembre 2018 (https://apnews.com/bef042d5f5c94bd484987b3494564a5d).
[6] E. Macedo – C. Oliveira, Plano de Poder – Deus, os cristãos e a Política, Nashville, Thomas Nelson, 2008.
[7] V. Garrard-Burnett, Neo-Pentecostalism and Prosperity Theology in Latin America: A Religion for Late Capitalist Society, in «Iberoamericana. Nordic Journal of Latin American and Caribbean Studies», vol. XLII: 1-2, 2012, pp. 21-34; A. Spadaro – M. Figueroa, Teologia della prosperità. Il pericolo di un “vangelo diverso”, in «La civiltà cattolica», Quaderno 4034, vol. III, 2018 (https://www.laciviltacattolica.it/articolo/teologia-della-prosperita-il-pericolo-di-un-vangelo-diverso/).
[8] S. Visentin – M. Grazia, Intervista a M. Chaui. Aspettando Bolsonaro. La dittatura della classe media nel Brasile del dopo Lula, in “Sconnessioni precarie”, 19 ottobre 2018 (http://www.connessioniprecarie.org/2018/10/19/aspettando-bolsonaro-la-dittatura-della-classe-media-nel-brasile-del-dopo-lula/).
[9] A. Spadaro – M. Figueroa, Teologia della prosperità, cit.
[10] V. Garrard-Burnett, Neo-Pentecostalism and Prosperity Theology in Latin America, cit.
Il motivo che ha respinto la scelta del voto della maggioranza , siano loro evangelici, cattolici o di altri religione, è il fatto che lui non sia coinvolto nei processi di corruzione come tanti altri .
Il Brasile ha tutto il necessario per essere una grande nazione eppure tanti brasiliani vivono in condizioni miserabile.
Non c’è sicurezza, ci sono ladri ovunque.
Nell’ultimo ano 2017 sono morti 62 milla persone per assassinato, tra loro lavoratori, donne e bambini.
Quindi non è per una questione religiosa , ma per una questione di patriottismo.
Patriottismo che non ha il senso della misura… come quello che portò al potere Hitler, Mussolini e i regimi liberticidi dell’America Latina nel secolo passato. Ha letto le statistiche della corruzione? Quali sono i partiti maggiormente coinvolti? Lula ha fatto del Brasile una grande nazione, rispettata e portata a modello nel mondo. Ma ha toccato gli interessi di una elite bianca becera e ignorante, che non voleva estese le briciole dei suoi privilegi ad altri strati della popolazione. Il monopolio di mezzi di comunicazione,, le fake news diffuse come non mai hanno ottenuto il resto. Il Brasile già vede nelle dichiarazioni di questo delirante presidente (che asssomiglia in peggio più che a Trump al dittatore delle Filippine) tutto ciò che si appresta a perdere in termini di diritti acquisiti e di libertà. Saranno amare lacrime.
“QUO VADIS,” O CHIESA CATTOLICA?
Il numero dei cattolici in Brasile è sceso enormemente negli ultimi 80 anni. Secondo il Censimento Demografico Brasiliano (Brazilian Demographic Census), la percentuale dei cattolici è scesa dal 95% nel 1940 al 65% nel 2010. Durante questi anni imperversavano la cosiddetta Teologia della Liberazione, le Comunità di Base, la Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, eccetera, che dovevano ridare alla Chiesa Cattolica nell’America del Sud la pura versione del cattolicesimo, il vero Vangelo di Gesù Cristo. Ad quid? Il Brasile, per esempio, sta diventando protestante. Lo stesso si può dire del Guatemala, dell’Honduras e di altre nazioni sud americane. Purtroppo i vescovi cattolici del Sud America non hanno voluto ascoltare Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedettto XVI. E allora finalmente sono arrivati i Protestanti a predicare il Vangelo. Sunt lacrimae rerum.
Se è per seguire l’eresia della teologia della prosperità hanno fatto bene ad andarsene. Cattolici tradizionalisti e carismatici della Canção Nova hanno deciso, assieme alle chiese neopentecostali di appoggiare il pluridivorziato difensore della famiglia Bolsonaro (che aveva definito pubblicamente la CNBB -Conferenza nazioonale dei vescovi -, il Consiglio indigenista missionario e gli organi che si occupano di diritti umani la “parte marcia” del cattolicesimo), su indicazione dei loro guru, padre Paulo Ricardo, e Olavo de Carvalho (un filosofo da strapazzzo che abita negli Usa), il quale ultimo aveva di recente tuittato in relazione a papa Francesco “basta non ascoltarlo, prima o poi morirà e avremo un papa migliore”). Pare che Lei, padre, non abbia proprio le idee chiare su ciò che comporti essere cristiani (cattolici) in Brasile. O forse sì, a modo suo.
… e poi: da quando in qua contano i numeri per dire la verità di una Chiesa? In questo senso il primo grande fallito fu proprio il Rabbi di Nazareth, non le pare? A missione compiuta, ai piedi della croce c’era solo sua madre, alcune altre donne e un discepolo. Eppure, proprio di lui, il Padre ha detto: Tu sei il mio Figlio amato. Il suo Quo vadis, Chiesa cattolica?, andava detto prima, al tempo dei tempi.
” e poi: da quando in qua contano i numeri per dire la verità di una Chiesa?”
Ma che discorso è? Se la Chiesa si dichiara a favore dei poveri e poi i poveri scelgono in massa la teologia della prosperità un piccolo problema di comunicazione tra i poveri e la Chiesa c’è.
Poi volendo è vero che sia la teologia della liberazione che la teologia della prosperità vedono con favore la sconfitta della povertà. Forse i poveri pensano solo che la soluzione delle chiese evangeliche sia più veloce e scintillante, in fondo quando stai male vuoi star bene in breve tempo, è un fenomeno noto da molto tempo, in ogni caso, non serve stupirsene oggi.
Evidentemente anche Gesù ebbe problemi di comunicazione, se si vedeva costretto a mandare indietro le folle, non crede? (“In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” Gv 6,26). Dipende molto da cosa si cerca. Teologia della prosperita e teologia della liberazione sono antitetiche nelle loro proposte, la prima cercando il successo e la prosperità personale, la seconda mirando a fare della lotta contro ogni forma di oppressione e di esclusione il difficile cammino, la “via stretta” della testimonianza di un Regno che vuole “vita piena e vita piena per tutti”. La prima, dispondendo di gigantesche risorse economiche e mediatiche, la seconda della nuda testimonianza dele comunità, a lungo incomprese dalla gran parte delle gerarchie. Certo, se invece vogliamo fare della chiesa uno spazio da riempire, basta inventarsi qualche prete showman e il gioco è fatto. Chi c’è c’è, gli altri vadano all’inferno.
Condivido completamente l’analisi fatta. Sono in Brasile da sette mesi, a Salvador di Bahia, e ho potuto osservare attentamente la realtà dei quartieri poveri (non si chiamano più favelas ma comunità) e ho visto quanto le persone senza speranza sono attratti (e miserabilmente ingannati senza che se ne accorgano) da questi lider delle chiese evangelicali della prosperità, Purtroppo, la chiesa cattolica, anche a causa della drastica diminuzione dei preti stranieri, è poco presente nelle perferie e troppo condizionata dalla classe media. Tommaso
Forse nel cattolicesimo c’è un’ambiguità non risolta tra la lotta contro la povertà e l’esaltazione della povertà (sul modello francescano).
Le Chiese evangeliche sono molto più semplici, offrono un benessere (spirituale, fisico ed economico) più immediato e tangibile.