Dopo la Presentazione curata dal teologo Ezio Prato (pp. 5-10), nella prima parte del volume (pp. 11-56) il biblista Bruno Maggioni traccia una rapida carrellata sui brani che strutturano la notissima vicenda raccontata nel libro, nella sua parte in prosa con Giobbe paziente, e quella in poesia con Giobbe ribelle.
Il Giobbe paziente viene compensato dei suoi mali, il Giobbe ribelle alla dottrina tradizionale della retribuzione trova il proprio esito spirituale nella scoperta di un Dio più grande di lui, scoperto ora per esperienza propria e non più solo per sentito dire. È la parte “tranquilla” del volume.
A un certo punto della sua esposizione, Maggioni parla di una “conversione” di Giobbe (pp. 45s), ma non dedica alcun commento al fatto che YHWH lodi Giobbe per le “cose rette/nekônāh” espresse su di lui, a differenza dei suoi quattro “amici” (Gb 42,8).
Le sue sobrie riflessioni non rimandano a bibliografia alcuna, e non si fa cenno alla possibilità di una intrigante traduzione alternativa di Gb 42,6 proposta da Gianantonio Borgonovo ormai molti anni fa e accettata anche da un altro grande specialista di Sapienziali, docente al Pontificio Istituto Biblico di Roma, Luca Mazzinghi: «E per questo detesto polvere e cenere e ne sono consolato». Con ciò, non ci sarebbe alcun “pentimento/nḥm” di Giobbe riguardo a ciò che ha detto, ma una “consolazione/nḥm” che chiamerei “resiliente”.
La diversa scelta a riguardo della doppia connotazione della radice nḥm, adottata per render conto del contesto, chiede un spiegazione globale della conclusione del testo in prosa (Gb 3,1–42,6), diversa da quella che tradizionalmente si offre nei commentari. Si può comprendere d’altronde come, in un testo divulgativo, non ci si voglia inoltrare in discussioni del genere, che tuttavia rimangono decisive per la comprensione globale di un testo così difficile.
Ho trovato affascinanti le riflessioni filosofiche di Lucia Vantini, dottore in scienze umanistiche e in teologia. L’autrice è docente di teologia fondamentale e di filosofia presso la Facoltà teologica del Triveneto, all’Università degli studi di Verona, all’ISSR San Zeno di Verona e al CSSR Bruno Kessler di Trento. “Parole strozzate”, poteva forse essere un sottotitolo del libro…
Nella seconda parte del volume (pp. 57-146), Vantini compie un percorso che parte dall’asimbolia – la mancanza cioè di parole per dire l’esperienza del dolore –, tocca il problema delle consolazioni immaginarie di cui molti sistemi di pensiero abbondano (“parole logore”), per approdare alla parola di Dio che propone a Giobbe e ai lettori un’iniziazione in cui egli non spiega nulla ma muove all’intercessione (cf. Gb 42,8), a un mettersi in mezzo, in vista di riconfigurare la comunità umana come inclusiva di tutti, in modo particolare di coloro che sono colti dalla sventura (cf. su questa le pagine di S. Weil). Essi devono poter trovare a chi dire la propria storia. «Si può morire pur rimanendo vivi; si muore in molti modi: … nella solitudine prodotta… dall’assenza di possibilità di confessarsi, quando a nessuno possiamo raccontare la nostra storia» (M. Zambrano, cit. a p. 87-88).
Giobbe può trovare senso alla sua sofferenza solo integrando in sé il dolore inspiegabile, facendogli spazio per offrirlo in vista di una trasformazione di sé che si faccia intercessione di una comunità nuova. Una decreazione umana che fa spazio agli altri e a Dio, che a sua volta, all’inizio, ha fatto spazio all’esistenza degli umani in cui non vuole e non può intervenire. Giobbe fa bene a esprimere le proprie “parole strozzate” ma, a sua volta, deve uscire dalla conservazione inconscia dello schema retributivo in cui inquadra ancora la propria esperienza sventurata.
Le parole possono essere finestre oppure muri (cf. la bella poesia di R. Bebermeyer riportata alle pp. 80-81), e occorre cercare di mettersi in ascolto profondo del non-detto nelle parole dello sventurato. Altrimenti egli si troverà a morire come Bartleby lo scrivano, rannicchiato davanti al muro delle lettere mai arrivate del romanzo di H. Melville.
È difficile rispondere al linguaggio delle lacrime, ma è possibile arrivare alla serenità dell’accoglienza di ciò che nella propria vita e in quella del mondo rimane non spiegabile riconducendolo all’interno di un patto di alleanza che rimane in ogni caso sempre valido e “consolante”. Nessuno schema retributivo (cf. il finale in prosa di Gb 42-7-17), neppure uno edulcorato, ma la serenità dell’assunzione, dell’intercessione e dell’offerta di sé.
Bruno Maggioni – Lucia Vantini, Giobbe (Orizzonti biblici – Nuova serie s.n.), Cittadella Ed., Assisi 2018, pp. 152, € 12,50. 978883086367.