Gipuzkoa, 18 novembre 2018
Noi firmatari di questo scritto siamo uomini e donne laici, cristiani impegnati da anni nella Chiesa di Gipuzkoa. Abbiamo letto con stupore che il vescovado di San Sebastián creerà 26 appartamenti turistici in una delle sue residenze e che l’“edificio” di Zabaleta 5, a Gros, sarà trasformato in un hotel con tanti appartamenti.
Questo edificio è, né più né meno, che l’episcopio di San Sebastián. In altre parole, la sede del governo della Chiesa diocesana di San Sebastián, luogo dove è stata pensata e guidata una Chiesa in chiave evangelica in diversi ambiti quali la pastorale penitenziaria, gli immigrati, la catechesi, la liturgia, le comunità religiose… a servizio della comunità cristiana di Gipuzkoa e della società.
Questo luogo diocesano di riferimento, per decisione episcopale, sarà trasformato in hotel e fonte di denaro. Ciò suscita in noi scandalo e indignazione.
Non si tratta di un fatto isolato Al contrario, crediamo che faccia parte di un disegno globale per disfare quella che è stata – ed è ancora, nonostante questa curia – una Chiesa a servizio del Vangelo, costruita durante decenni con la partecipazione nostra e di migliaia di laiche e laici guipuscoani. Alla disarticolazione pastorale che stanno attuando (il vescovo) Munilla e i suoi, si aggiunge ora una distruzione patrimoniale.
Non sono padroni di ciò che vogliono affittare e vendere, tuttavia agiscono come se la diocesi fosse un loro feudo, ed è qualcosa di intollerabile per una coscienza evangelica e inammissibile di fronte ad una società democratica matura.
Vediamo ancora una volta che il vescovo Munilla, con la copertura della sua équipe di governo, disdegna la richiesta di un migliaio di sacerdoti e di operatori pastorali delle parrocchie di Gipuzkoa, i quali, allarmati per i progetti dell’équipe episcopale, chiedevano di non agire all’insaputa della diocesi (aprile 2018). Per quello che si vede, lungi dal prendere in considerazione la richiesta di spiegare la situazione economica diocesana con dati reali e una revisione dei conti fatta da un’agenzia esterna, continuano ad andare avanti. È il loro stile: non ascoltare, nascondere l’informazione, manipolare, imporre.
Il vescovo Munilla e i suoi collaboratori stanno distruggendo una Chiesa che ha plasmato l’identità diocesana. Grazie ad essa, generazioni di uomini e donne seguono Gesù Cristo, in una Chiesa che ha collaborato con la società per una Gipuzkoa più umana e giusta.
Notiamo che, agendo così, vogliono distruggere un modo di fare Chiesa, e lo vediamo come un’aggressione a questa Chiesa conciliare, sottoposta a un autentico sopruso e ad una demolizione. Riteniamo questo fatto come radicalmente antievangelico, un’autentica contro-testimonianza.
È, inoltre, un dispetto a questo papa. Egli, con parole e gesti di grande solidarietà con i più sofferenti e bisognosi e anche con denunce coraggiose dell’ingiustizia e dell’indifferenza, invita incessantemente la Chiesa a convertirsi al Vangelo e ad aprirsi agli ultimi, agli immigrati, ai rifugiati, agli anziani, ai disoccupati, ai carcerati, alle prostitute… Nonostante ciò, la sua voce trova qui una specie di muro di gomma e sbatte contro il “muro Munilla”. L’eco del papa non risuonerebbe nelle nostre parrocchie se non fosse per sacerdoti e cristiani consapevoli e attenti, e se non fosse per i mezzi di comunicazione e l’internet.
Ecco qui il contrasto: papa Francesco, con lo spirito di Gesù, mette i poveri al primo posto e orienta noi cristiani in questa direzione, come nella Giornata mondiale dei poveri in cui ha condiviso la mensa con 3.000 poveri nell’enorme sala che ha fatto allestire in Vaticano. Al contrario, il vescovo Manilla, con lo spirito dei mercanti e degli affaristi del tempio, guida la diocesi in cerca di denaro, correndo dietro ad esso. È una perdita di prestigio della Chiesa e una beffa per questa diocesi, con gravi conseguenze per la sua credibilità e per l’annuncio della fede e del Vangelo.
Lo diciamo come cristiani delle parrocchie di Gipuzkoa: siamo scandalizzati e indignati di fronte a un simile abuso di potere, e anche di fronte a coloro che rimangono indifferenti all’interno della Chiesa, i quali sembrano preferire i loro comodi invece che affrontare la croce di questa ingiustizia e denunciarla.
Non siamo disposti a rimanere a braccia conserte. Non ci resta che alzare la voce e protestare. Non più abusi episcopali. Non nel nostro nome.