C’è qualche relazione tra la rinuncia di Marco Minniti alla candidatura a segretario del Pd e l’annuncio di Matteo Renzi di voler dar vita a non meglio identificati Comitati Civici come strumenti per andare “oltre il Pd”?
La materia è di quelle che stimolano la fantasia dei retroscenisti e dunque va trattata con la prudenza che è richiesta da ciò che, in politica, si situa ai confini della realtà e dunque scivola verso la fantasia.
Né la cronaca né le ricostruzioni giornalistiche offrono elementi significativi per dare fondamento alla domanda che apre queste note. E tuttavia, se si guardasse alla storia della Repubblica, si scoprirebbero motivi che suggeriscono, quando si evocano i Comitati Civici, di badare dove si mettono i piedi.
Pro aris et focis
Nei Comitati Civici ci si imbatte solo una volta negli annali della vicenda politica italiana. Con il motto pro aris et focis essi nacquero alla vigilia delle elezioni del 1948. Li fondò Luigi Gedda, allora vicepresidente dell’Azione cattolica, su impulso di papa Pio XII, con il compito di mobilitare le aree meno attive del mondo cattolico in modo che si orientassero al voto per la Dc in funzione dichiaratamente anticomunista; e, più in generale, si rendessero disponibili ad interventi politici funzionali alle… intenzioni del sommo pontefice.
La storiografia è concorde nel riconoscere che la conquista della maggioranza assoluta da parte della Dc nelle elezioni del 18 aprile 1948 (con la corrispondente sconfitta del “fronte popolare” del PCI-PSI) è da connettersi con la presenza e l’attività dei Comitati. Ma è altrettanto noto che ai loro dirigenti non bastava l’aver raggiunto questo risultato.
Luigi Gedda, congratulandosi con De Gasperi per il trionfo elettorale, parlò – se non ricordo male – di “seconda Lepanto”, evocando la battaglia con cui i cristiani impedirono ai musulmani di conquistare l’Europa. E non mancarono, dopo quella prova delle urne, occasioni importanti in cui la linea dei Comitati Civici si differenziò da quella della Democrazia Cristiana.
Il “partito romano”
È noto l’episodio della così detta “operazione Sturzo” (1952) mirante a favorire la nascita di una lista civica per le elezioni comunali di Roma in modo da coinvolgere tutti i cattolici, compresi i monarchici e i fascisti, nella erezione di un argine che impedisse ai socialcomunisti di conquistare il Campidoglio.
Meno nota, ma capillarmente più incisiva, fu l’azione del così detto “partito romano”, un coagulo di forze a guida ecclesiastica che contrastava la propensione di De Gasperi per l’alleanza della Dc con i partiti laici minori; e propugnava l’integralità cattolica come asse di una politica tale da garantire la salvaguardia degli altari e dei focolari come era scritto nell’insegna dei Civici.
La lotta politica intracattolica degli anni Cinquanta visse momenti di aspro attrito sulla frontiera dell’autonomia dei laici nelle cose di questo mondo, presidiata dalle forze che poi avrebbero innervato le scelte del concilio Vaticano II e continuamente insidiata da quelle altre forze che tutto facevano dipendere, anche in politica, dalla superiore autorità del papa.
Le ostilità si accentuarono quando, esaurita la fase del centrismo degasperiano e patita la sconfitta elettorale del 1953, nella Dc e nell’area cattolica prese corpo l’idea dell’apertura a sinistra che aveva in sé molte gradazioni ma che veniva osteggiata in blocco dall’ala clericale di cui i Civici erano alfieri, avendo occupato, nel frattempo, i massimi livelli dell’Azione cattolica, previa epurazione di dirigenti qualificati e fedeli.
È per questi motivi che l’immagine dei Comitati Civici è diventata sinonimo di esercizio di un potere clericale e anche di una tendenza a dividere le masse cattoliche su un discrimine in cui l’autonomia della politica era assorbita in un involucro clericale; con il conseguente criterio divisivo tra buoni e cattivi; dove il canone di identificazione dei buoni era soltanto quello dell’obbedienza.
La memoria del conte Della Torre
Per chi – come colui che scrive – frequentava allora il mondo associativo cattolico, questi conflitti erano sempre percepiti con toni sfumati anche se non mancavano momenti di evidenza nelle tensioni, specie quando ad essere coinvolti erano i giovani dell’Azione cattolica.
A me accadde (1958) di dover rintuzzare un durissimo attacco che il quotidiano dell’Azione cattolica – Il Quotidiano – emanazione di Luigi Gedda, portò al presidente delle Acli Dino Penazzato reo di essersi impegnato in una corrente democristiana che, allora, sosteneva Fanfani come fautore del centro-sinistra.
Ebbi però solo più tardi la completa cognizione della portata del conflitto. Dopo la morte di Pio XII, alla vigilia del conclave che avrebbe eletto papa Giovanni XXIII, ebbi tra le mani la bozza di una memoria che il direttore dell’Osservatore Romano, il mitico conte Della Torre, indirizzava ai cardinali del conclave.
C’era la descrizione dei termini della questione, ma soprattutto c’era un atto di accusa nei confronti di Luigi Gedda. Il quale – questo l’assunto –, avendo come presidente dell’Azione cattolica la responsabilità di condurre unitariamente l’intero movimento, aveva propugnato posizioni di parte che lo portavano a dividersi.
Nell’analisi del conte Della Torre, i Comitati Civici erano lo strumento della divisione con un connotato di doppiezza che non poteva essere smentito: nati per garantire l’unità attorno alla Dc, si erano comportati come promotori di iniziative che ne fiaccavano le potenzialità.
Ritorno al presente
Che c’entra tutto questo con le odierne cronache della vigilia congressuale del Pd? Qualcuno è in grado i certificare che il protagonista massimo dell’episodio – in quanto promotore dei nuovi Comitati – abbia avuto una piena cognizione di ciò che i vecchi Comitati hanno rappresentato nella storia del paese?
Non lo si può escludere, visto che dal curriculum risulta che Renzi ha svolto la sua tesi di laurea sulla figura di Giorgio La Pira, un personaggio che sicuramente ha avuto a che fare con le vicende dei primi anni del secondo dopoguerra. Ma non si può neanche provare.
Allo stesso modo, non è dato di sapere se avesse presenti le res gestae dei Civici degli anni Cinquanta, sui quali peraltro era diffuso a sinistra un giudizio negativo come di alfieri dell’integralismo cattolico.
L’ipotesi più probabile è che la rottura sia avvenuta sull’evidenza del dato di fatto per cui, di norma, resta difficile stringere un patto con un soggetto che notoriamente sta coltivando un’altra prospettiva. In volgare: predisporsi a fare il segretario del Pd insieme con uno che si muove per andare oltre il Pd.
In ogni caso – e rimanendo impregiudicata la valutazione di merito – una pur sommaria rievocazione di ciò che furono i Comitati Civici di Gedda può fornire anche agli attori di oggi qualche argomento per consolidare o variare le proprie scelte.