L’associazione Noi siamo chiesa commenta la divisione che si sta consumando in seno alla Chiesa ortodossa chiedendo ai cattolici di rinnovare l’impegno ecumenico.
L’universo cristiano in questi giorni è stato profondamente colpito dalla rottura, che sembra definitiva, in seno alla Chiesa ortodossa. Questo fatto, praticamente ignorato dai media d’opinione, avrà effetti di lunga durata. Le pesanti conseguenze saranno sopportate soprattutto dai cristiani che appartengono a Chiese che sono uscite solo negli ultimi tempi da lunghi decenni di persecuzione e di emarginazione e che avrebbero avuto bisogno di una fase di completa libertà e tranquillità per organizzare nel modo migliore l’evangelizzazione e la vita comunitaria.
Si sono ormai definiti due poli nell’ortodossia, quello del Patriarcato di Mosca e quello del Patriarcato di Costantinopoli. Questa divisione compromette l’autorevolezza dell’Ortodossia nella auspicata capacità di ispirare un cammino comune di fronte alle sfide poste dalla secolarizzazione e dall’urgenza di superare ottiche localiste e nazionali per riflettere invece sulle grandi questioni che l’umanità ha di fronte (iniqua distribuzione della ricchezza, corsa al riarmo anche nucleare, distruzione della natura, rapporto tra le religioni…).
Poco Vangelo
Tutto l’ecumenismo dell’universo cristiano, già in una fase di stasi dopo il positivo superamento dei reciproci vecchi ostracismi, si troverà ora in gravi difficoltà perché la rottura coinvolgerà direttamente il Consiglio Ecumenico delle Chiese e indirettamente la Chiesa Cattolica. Ci troveremo di fronte a due schieramenti senza vere diversità di tipo teologico o pastorale, separati solo da questioni di giurisdizione di tipo ecclesiastico e da riferimenti nazionalistici. Nella disputa non vediamo nessun vero riferimento al Vangelo e alla fraternità cristiana, nessuna attenzione a come i discepoli di Gesù affrontarono le controversie nella Chiesa dei primi anni, come si legge negli Atti degli Apostoli.
Ora tutte le Chiese dell’Ortodossia dovranno decidere con chi mantenere la comunione eucaristica. Intuiamo i dubbi, le sofferenze, le pressioni di ogni tipo all’interno degli apparati ecclesiastici e il disorientamento della massa dei fedeli. Saranno scelte difficili per chi cercherà di farle cercando suggerimenti nella Parola di Dio.
Per quanto ci riguarda, non riusciamo a capire del tutto le sottigliezze canoniche e le intricate vicende storiche che vengono addotte da una parte e dall’altra a sostegno delle proprie ragioni. Ci sembra, però, che l’inizio della rottura sia già visibile nel Concilio di Creta del giugno 2016 che, immaginato e sperato “pan-ortodosso”, è diventato poi, di fatto, solo “ortodosso”, perché ad esso, all’ultimo momento, quattro Chiese, tra le quali proprio quella russa, decisero di non partecipare. Non possiamo e non vogliamo giudicare questa loro decisione di essere assenti, ma in questo modo il Concilio, tanto atteso e accuratamente preparato, non realizzò, se non in parte, il compito a cui doveva servire.
Troppa politica
Alla base di tutto ci sembra che ci sia stata e ci sia una carenza di reale indipendenza dalle vicende politiche e istituzionali che indebolisce le Chiese e la loro testimonianza, le intreccia col potere politico, rende loro difficile una visione universale dei compiti dell’evangelizzazione che le sottragga alle appartenenze geopolitiche, che in questo inizio del terzo millennio stanno rafforzandosi invece di ridursi e di scomparire. Nello specifico, la condizione dell’Ucraina, divisa tra le mire di Mosca e la forte pressione dell’Occidente, spiega e non giustifica il coinvolgimento delle Chiese nella situazione del Paese.
Questi problemi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle delle Chiese dell’Ortodossia toccano anche la nostra Chiesa: se viene meno il dialogo e la comunione nelle singole Chiese diventa più arduo anche tutto il cammino ecumenico. Dovremmo almeno cercare di capire la situazione, farla conoscere e trovare un approccio corretto e fraterno per gestirla, anche nei confronti dei tanti cristiani di confessione ortodossa che vivono nel nostro Paese, ai quali spesso abbiamo giustamente messo a disposizione nostri edifici sacri e con cui abbiamo costruito esperienze concrete di dialogo, di preghiera e di impegno per la giustizia, la pace e la custodia del creato.
Roma, 20 dicembre 2018