È passato già un mese dalla presentazione di AL, l’8 aprile scorso. Una grande recezione è appena iniziata, con grandi attenzioni, con discernimento accurato e con ammirazione grande, in tutta la Chiesa. Piccoli gruppi marginali sono rimasti perplessi, si sentono confusi o reagiscono con stizza e addirittura con intemperanza. Bisogna comprendere bene i loro argomenti, per affrontarli con lucidità e con carità, spiegando loro per bene tutte le buone ragioni di una svolta da tempo necessaria alla luce del Vangelo e della esperienza degli uomini.
Ciò che sorprende, in queste reazioni scomposte, è soprattutto la pochezza e la rozzezza degli argomenti. Provo a passarli in rassegna, ordinandoli per “tipologie”. Essi appartengono a tre “cerchi concentrici”, di cui il primo è il più ampio, il secondo quello medio, mentre il terzo è il più piccolo e centrale:
a) «Non è cambiato nulla perché nulla può cambiare»
Il primo approccio distorto presenta una sorta di “lettura in modo minore” del testo di AL: lo riduce a un testo “curioso”, “originale”, “atipico”, “fuori serie”, di modo che non ne debba riconoscere il valore magisteriale, né la forza di modificare lo status quo. Prende facilmente un duplice percorso: da un lato propone una ricostruzione falsata del testo, omettendone volutamente le proposizioni nuove, e insieme avvalora l’idea che la vera autorità sia tutta e solo nei testi precedenti. Il “luogo comune” di questa posizione è che Familiaris consortio rappresenta il punto definitivo di possibile avanzamento della teologia magisteriale sul matrimonio. La fedeltà al Vangelo è identificata con la ripetizione “ad litteram” di FC. Una lettura ferma a 35 anni prima di AL. Tuttavia, è importante notarlo, questa strategia di lettura in apparenza si schiera apertamente a favore del testo di AL, proponendone tuttavia una interpretazione fittizia, che lo svuota di ogni contenuto nuovo.
b) «Non si può negare il dogma e il diritto divino»
Vi è chi va oltre questo primo atteggiamento. Senza entrare apertamente in conflitto con le parole del testo di AL, un secondo atteggiamento interpretativo alza il tiro e il tono. Leggiamo e commentiamo alcune frasi che sono state pronunciate negli ultimi giorni.
«Non è possibile vivere in grazia di Dio in situazione di peccato. La Chiesa non ha la potestà di cambiare il diritto divino, non può cambiare l’indissolubilità del matrimonio. Non si può dire sì a Gesù Cristo nell’eucaristia e no nel matrimonio. È una contraddizione oggettiva».
Queste parole meritano un breve commento in forma di sillogismo. La contraddizione tra grazia di Dio e peccato è un a priori. Nessuno la discute. Ma il diritto divino non è mai senza sfumature. Ci sono circostanze attenuanti e scriminanti in ogni tradizione umana, Chiesa compresa. Per questo l’analogia tra matrimonio e rapporto Cristo Chiesa è una analogia imperfetta. La contraddizione può essere considerata perciò meramente oggettiva solo se si applicano categorie troppo rozze. Ergo queste parole sono il frutto di una teologia troppo rozza per essere prese sul serio.
Sentiamo un’altra insinuazione pesante:
«A coloro che sanno di essere in una situazione “irregolare”, la Chiesa dona due possibilità, o separarsi dal coniuge illegittimo, oppure convivere come fratello e sorella. Si tratta di un lungo cammino di integrazione, ma non può giustificare una situazione contro la legge divina».
Anche queste parole avrebbero valore se fossero state pronunciate quando era vigente ancora FC. Da quanto è entrata in vigore AL, non ha alcun senso identificare FC come legge divina, poiché significherebbe escludere ogni possibile evoluzione rispetto ad essa. Si confermerebbe l’impressione di una lettura superficiale e sgangherata della tradizione recente, che confonderebbe disciplina e dottrina e perderebbe la necessaria distinzione tra dogma, legge divina e legge della Chiesa.
Posizioni di questo genere procedono “apoditticamente”, identificando un “dogma” e un “diritto divino” con le posizioni di FC e sentenziando che ogni posizione diversa apparirebbe illegittima, chiunque la sostenga: cristiano, presbitero, vescovo o papa che egli sia!
c) «Occorre opporsi apertamente alla avvenuta negazione della tradizione»
Vi è infine un terzo gruppo di “resistenti”, i quali apertamente contestano papa Francesco, senza giri di parole. Essi trovano che il testo di AL abbia le caratteristiche che il secondo gruppo semplicemente “paventa”. Così costoro – tra cui brillano non solo pastori o presunti teologi, ma anche alcuni politici ed economisti – alzano la voce e chiamano alle armi. Il loro allarme è nutrito, tuttavia, dai medesimi errori dei precedenti, aggravati dalla pretesa di descrivere una realtà ecclesiale mistificata e totalmente distorta.
Leggiamo una delle “perle” di questi resistenti da barricata:
«Ma la morale cattolica sul matrimonio si può fondare su una condotta di fatto, sociologicamente adottata, se questa contraddice il piano di Dio sul matrimonio e sul suo disegno di salvezza? Ma in più, poiché l’esortazione invita i ministri di Dio (vescovi e sacerdoti) ad amministrare sacramenti, considerabili da alcuni “contro coscienza”, si lascerà loro almeno il diritto alla obiezione di coscienza, come per i medici verso l’aborto?».
Ecco qui riassunta la scomposta e sgangherata argomentazione di questi uomini, spesso privi di una cultura semplicemente catechistica all’altezza della situazione. E mi chiedo: se non conosci la teologia o se sei diventato presuntuoso solo per aver ricoperto qualche incarico in Vaticano, perché mai ti avventuri in discorsi più grandi di te, di cui non riesci a comprendere il significato nemmeno delle parole più semplici?
Una diagnosi onesta
Come è evidente, queste tre posizioni, con le loro differenze obiettive, sono accomunate da alcune caratteristiche, che vale la pena di individuare, per saper come interpretarle, come rispondere alla loro protesta e come impostare una comunicazione corretta delle intenzioni e dei contenuti di AL.
a) Le pretese di una teologia statica
Tutte queste critiche condividono, anzitutto, la cattiva coscienza di una teologia che si pensa immobile e immutabile. Questa è una pretesa senza alcun fondamento. Né la teologia, né la parola di Dio è immobile e immutabile. Dio stesso è continua novità e miracolo di sempre nuove sorprese. A questa teologia statica corrisponde un Dio grigio, un motore immobile lontano, indifferente, noioso. Se poi la pretesa di tutte queste posizioni – dalla più moderata alla più viscerale – consiste nell’identificazione della “dottrina di sempre” con il testo di Giovanni Paolo II, allora è chiara la contraddizione interna: FC ha stabilito nuove discipline per la dottrina matrimoniale rispetto a prima del 1981. Se FC ha introdotto novità, perché AL non potrebbe o dovrebbe farlo? Perché nel 1981 poteva esserci una novità, mentre nel 2016 improvvisamente non sarebbe più possibile?
b) Un uso distorto dei termini
Una seconda caratteristica, altrettanto sorprendente, consiste nell’uso disinvolto di alcuni termini “ad effetto”. Voci che dovrebbero avere a cuore la dottrina cattolica parlano di “dogma” e di “diritto divino” in modo talmente scorretto e applicando i termini ad oggetti tanto impropri, che davvero ci si chiede quale ne sia il motivo. In tutto ciò che AL scrive non è in gioco alcun dogma, e se di diritto divino si vuole parlare, occorre farlo con tutta la finezza giuridica delle distinzioni, e senza usare una semplicistica identificazione tra “diritto divino” e “Vangelo”. Tra l’uno e l’altro ci sono ancora molte mediazioni, che di volta in volta cambiano il rapporto. È meschino pretendere che la definizione “di diritto divino” sia un ostacolo alla definizione di ciò che, all’interno della istituzione da parte di Dio, è lasciato sempre alla determinazione storica, sia pure ispirata, della Chiesa. Che una tale generalizzazione venga proprio da soggetti ecclesiali che avrebbero il compito di “custodirla” appare quanto meno sorprendente.
c) Due esempi per comprendere
Per capire meglio, possiamo fare due esempi molto comprensibili. Più ancora del comandamento “non commettere adulterio”, il precedente, il quinto, “non uccidere”, potrebbe apparire ancor più un “dogma” e “di diritto divino”. Dunque se Dio dice non uccidere, ogni uccisione è peccato grave. Tutto questo è vero. Ma ci sono “cause attenuanti” o addirittura di “non imputabilità”: ad es. la legittima difesa. Se questo discernimento è avvenuto per il “non uccidere”, perché mai non dovremmo riconoscere che sia già avvenuto e che ancora possa avvenire qualcosa di simile anche per il “non commettere adulterio”? Che cosa è l’istituto della “nullità del vincolo” se non, appunto, un primo tipo di “scriminante”? E su quale idea nell’iperuranio – o in quale rivelazione privata – sta scritto che non possa esserci anche una via “caritatis” e “di discernimento” per rileggere l’adulterio, almeno in alcuni casi, come reato istantaneo e non come reato permanente? Nessuno pensa che sia diminuita la forza del “non uccidere” se si prevede che possa accadere “in stato di necessità”. Perché mai questo non dovrebbe valere anche per il matrimonio?
Insomma, al primo mese di vita di AL, troviamo un panorama di reazioni assai differenziato. Una stragrande maggioranza di cattolici saluta con grande letizia la nuova esortazione. Prova letizia per “amoris lætitia”. Si lascia esortare, si dispone ad usare il discernimento e a rimboccarsi le maniche di buon grado. Una piccola parte del popolo di Dio appare invece sconcertata, scostante e spiazzata. Se i perplessi e i resistenti sembrano oscillare tra una falsa indifferenza e una sofferta sottovalutazione, gli irriducibili usano argomenti tanto più fragili e vuoti quanto più alta è la posta che ritengono di dover mettere in gioco. E di tutte le frasi latine che questi ultimi vorrebbero citare, per dimostrare di avere ragione, solo una mi pare adattarsi perfettamente alla loro difficile condizione attuale: “Quos Deus vult perdere, dementat prius”. Raramente mi era capitato di leggere così tante autorevolissime stupidaggini, nel vano tentativo di difendere non il Vangelo, ma lo status quo.
Pubblicato il 8 maggio 2016 nel blog: Come se non