Epifania: La ricchezza delle genti

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I capitoli conclusivi del libro di Isaia (Is 56–66), il cosiddetto Trito-Isaia, sono una riflessione che dipende dal Deutero-Isaia (Is 40–55) e si incentra sulla ricostruzione di Gerusalemme e l’accoglienza in essa degli stranieri. È stata scritta dopo il 520 a.C. (inizio ricostruzione del tempio, che si dà per scontata, ma non ancora delle mura) e molto prima della missione di Neemia del 450 a.C.

Abbiamo già proposto l’articolazione di questi capitoli in alcune riflessioni precedenti. In Is 60,1-22 si preannuncia e si descrive il pellegrinaggio a Gerusalemme. Le tre parti del capitolo possono essere così identificate: vv. 1-9 La salita a Gerusalemme; vv. 10-14 La ricostruzione; vv. 15-22 La doppia consolazione.

Risorgi, viene la tua luce!

Una doppietta di imperativi con terminazione femminile martella di dolce musicalità con i suffissi in –î la donna-Gerusalemme addormentata e “morta” dopo l’esilio (598/586-538 a.C.) e l’abbandono in cui è caduta con la deportazione dei suoi figli più intraprendenti.

Il comando di “risorgere/alzarsi/qûmî” e di “risplendere/’ôrî” è motivato da una certezza incrollabile (“poiché/”): sta arrivando “la tua luce/’ôrēk”, la prima delle realtà possedute dalla donna-Gerusalemme, segnalate da una serie di suffissi femminili in -ēk; -āk; ayik. Sta venendo la luce di Gerusalemme, la luce che le appartiene, la luce che la fa risorgere dalle ombre di morte e di tristezza.

Il rientro dell’esilio non era stato per niente rose e fiori per gli esuli: avevano trovato le loro case occupate da chi era rimasto in patria, le terre desolate, la città e le mura di Gerusalemme distrutte. Un terremoto devastante, che aveva fatto cadere le braccia, tremare il cuore di notte e fiaccare gli animi dei meno forti. «Risorgi!», le comanda la voce profetica, perché sta venendo la luce che ti rende così bella ogni mattina spuntando da dietro il monte degli Ulivi e ti ammanta prima di rosa, poi di giallo ocra e, infine, di un biancore abbacinante che riverbera dalla tue pietre.

La tua luce viene per te ma non da te. La tua luce è “la gloria di YHWH/kebôd YHWH”. Quello che sta dentro il cuore di YHWH, che ne forma la natura più intima di luce, forza, potenza di salvezza che si fa presente, si manifesta al di fuori come potenza di vita e di amore che rende dolci le giornate, fecondo il lavoro e dorati i suoi tramonti.

La gloria di YHWH è “spuntata/zāraḥ su di te” come spunta il fiore del mattino, l’erba fresca piena di rugiada, come germoglia il germoglio Giusto atteso per il futuro (cf. Ger 33,15 ṣāmaḥ ṣemaḥ).

Tenebre e luce

Il nemico giurato della luce, “la tenebra/haḥōšek”, sta coprendo/infagottando/nascondendo/kissāh” la terra abitata dagli uomini e dagli animali come agli inizi della creazione era ferma sulla superficie dell’abisso (cf. Gen 1,2). Tenta un’opera impossibile di anticreazione e di decreazione.

“La nube tenebrosa/la caligine/l’oscurità/‘ărāpel” sta coprendo “le nazioni/’ummîm” mettendole in confusione, smarrimento, incapacità di vedere la strada e una via d’uscita dalle loro angosce. Non c’è YHWH in quella nube tenebrosa, come invece c’era al momento di donare le sue “dieci parole” sull’’Horeb/Sinai (cf. Es 20,21). È una tenebra di ignoranza, una nebbia tenebrosa di non conoscenza del senso, dei fini, del Fine.

Le nazioni hanno molti mezzi, ma nessun fine. La tecnica/technē regna sovrana, ma senza la luce della sapienza che la guidi su strade di umanizzazione e di crescita solidale.

Le nazioni arrancano verso il futuro, ma in ordine sparso e sgomitando ferocemente, difendendo le più forti il loro orticello arricchito a spese dell’impoverimento delle altre.

Sulle nazioni regnano le tenebre, ma su Gerusalemme “spunta/germoglia/zāraḥ (cf. v. 1b) YHWH”; la sua gloria “appare/sarà vista/yerā’ēh” su di te.

Sarà Gesù, la gloria del suo popolo, Israele? (cf. Lc 2,32).

Le genti cammineranno alla tua luce

YHWH, la luce del sole, fa splendere della sua luce la luna, la sua sposa Gerusalemme.

Essa vive di luce riflessa, e questo costituisce la sua serenità, la speranza certa che non vedrà mai le tenebre definitive. Il Signore, infatti, è fedele alla vita, alla luce. «Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio come l’abisso profondo: uomini e bestie tu salvi, Signore […]. È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35,6-7.10).

I “popoli/gôyim” si metteranno in cammino verso la tua luce, Gerusalemme. Accorreranno verso la luce che spunta da dietro i monti che ti circondano in un forte abbraccio (cf. Sal 125,2).

Non hanno un frontalino sulla fronte per camminare autonomamente nelle tenebre. La luce viene loro da fuori, da davanti, esplosiva. Irraggiante come un’alba sui ghiacciai perenni.

I re (tutti?), i capi dei popoli più avveduti e responsabili si mettono in cammino alla testa della loro gente verso lo splendore del “tuo germogliare/zarḥēk”. Il tuo germogliare è lo stesso di YHWH su di te (vv. 1b; 2b). Tu spunti sul suo spuntare, germogli sul suo germogliare. La sua luce ti porta in alto, ti fa splendere come un gioiello che riverbera fino ai confini della terra.

Le genti e i tuoi figli da lontano

Il profeta incalza Gerusalemme con i suoi imperativi: alza gli occhi, non abbassarli nella tristezza, guardati attorno. La tua luce/la luce di YHWH su di te è una calamita potente, attira a te chi cerca la vita, un senso al suo andare, uno scopo per i suoi giorni sotto il sole.

Si sono ammassati, si sono radunati insieme/niqbeṣû per venire in sfilata verso di te. Una forza li ha radunati e raccolti per tornare dai loro esili (cf. Is 66,18: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue»; Mi 4,12: «Il Signore ha radunato le nazioni come covoni sull’aia»; Ger 3,17: «A Gerusalemme tutte le genti si raduneranno»; Ab 2,15; Gl 4,11; Zc 12,13: «Con Gerusalemme si raduneranno tutte le nazioni»). Alza gli occhi, guardati intorno, come madre dei popoli: tutte le genti si sono radunate/sono stati radunate per venire a te.

Fra le genti ci sono anche i tuoi figli, partiti in esilio. Stanno ritornando da lontano, e tengono per mano con affetto saldo le tue figlie. Tornano solidali, vogliono costruire un futuro insieme, fecondo di figli e di vita. Li ha radunati YHWH (cf. Ger 29,14 «vi radunerò da tutte le nazioni»; 31,10 «chi ha disperso li raduna»; 32,37 «li radunerò da tutti i paesi»).

Quando li vedrai ancora lontani venire a te, diventerai raggiante al massimo. Il tuo cuore palpiterà dalla gioia e si dilaterà per abbracciarli tutti con forza. Venendo da ovest, l’abbondanza del pesce e delle merci trasportabili per mare, che tu hai visto così raramente, inonderanno i tuoi suq come le reti tirate a riva e rovesciate sulla battigia (cf. per contrasto la disperazione dei mercanti e dei navigatori al veder sfumare in un’ora soltanto i loro traffici con la prostituta Babilonia: Ap 18,11-19).

Il Vangelo delle lodi di YHWH

“La ricchezza/forza dei popoli/ḥēl gôyim” verrà a te. Le genti sono ricchezza, varietà, pluriformità, sinfonia di suoni e di culture diverse. Forze fresche, vitali, che rimpinguano la linfa esausta della madre. Nuovi ingegni, progetti, abilità, visioni del mondo, sapienze di vita ti inonderanno come acque fresche.

Una frotta di cammelli provenienti da nord, da est e da sud ti “coprirà/tekassēk” con la tempesta di polvere sollevata dai loro zoccoli senza numero. Dromedari verranno dal deserto. Sono popoli provenienti dalla regione di Madian (figlio di Abramo e della seconda moglie Chetura, inviati da lui verso oriente, verso il deserto siro-arabo, a est del golfo di Aqaba Gen 25,6); vengono da Efa (figlio di Madian, una tribù di Madian), da Saba (paese dei sabei, nell’Arabia sudoccidentale).

Porteranno oro per il re di Gerusalemme, incenso per YHWH, il Dio che regna sovrano su di essa.

Accompagnano la loro marcia proclamando come buona notizia (“yebaśśērû”) le lodi di YHWH che li sta attirando alla vita sensata, buona (cf. la traduzione greca dei LXX: to sōtērion – la salvezza concreta/lo strumento salvifico – kyriou euaggeliountai”!).

Verranno i greggi di Qedar (tribù nomade del deserto siro-arabo, citati in Gen 25,13 fra gli ismaeliti), si raduneranno gli arieti di Nebaiòt (primogenito di Ismaele, cf. Gen 25,13, e nome di una tribù araba).

Fotosintesi clorofilliana

Tutte le genti, provenendo da ogni punto cardinale, giungono a Gerusalemme ad annunciare come buona notizia le lodi di YHWH. Gli esuli tornano a casa, i popoli sono attratti dal “magnetismo” della luce benefica e ricca di senso e di vita proveniente da YHWH e che irradia la sua sposa, Gerusalemme.

Attirati dalla luce, i popoli rinverdiscono per una straordinaria “fotosintesi clorofilliana”. Apportando la varietà delle loro ricchezze esotiche, concorrono a creare il popolo di YHWH che raccoglie tutte le famiglie dei popoli, contenuto della prima promessa fatta da YHWH ad Abramo (cf. Gen 12,1-3). Alla luce potente e benefica di YHWH, i popoli rinnovano la loro vitalità e portano alla loro madre, Gerusalemme, la gioia della famiglia riunita, che le fa palpitare il cuore, già allargato dalla gioia di accoglierli tutti.

Mt 1–2: interpretazione e testimonianza

La Chiesa postpasquale, accogliendo la predicazione degli apostoli e approfondendo alla luce delle Scritture la persona e l’operato di Gesù, giunge a elaborare dei racconti che, a partire da un nucleo storico, intendono interpretare il più profondamente possibile la sua figura. Per questo motivo non cerca di scrivere dei racconti connotati da completa “storicità fattuale”, documentati dalla “storicità” di tutti i dettagli. Accontentandosi di inquadrarli in un contesto connotato in linea di massima dalla verisimiglianza storica, essa intende fornire al lettore credente le linee essenziali per approfondire le molteplici sfaccettature della personalità di Gesù a livello mano e divino.  Del resto, anche tutt’oggi la verità storica è sempre una verità commentata e interpretata.

Andando a ritroso nel suo processo interpretativo, dalla risurrezione di Gesù la Chiesa primitiva risale alla sua passione e morte, al recupero della sua vita con i miracoli e gli insegnamenti, per approdare alla sua “infanzia” e, con l’evangelista Giovanni, alla sua preesistenza. Un nastro dorato infila le perle, fino a costituire la collana preziosa che testimonia la fede della Chiesa in Gesù morto e risorto, vero uomo e vero Figlio di Dio, vedendo già, proletticamente, negli inizi della sua vita terrena, la passione e la gloria che lo connoterà specialmente alla fine, e che lo accompagnerà anche nella sua vita gloriosa di Figlio tornato al Padre.

«Si compiva ciò che era stato detto…»

Il racconto di Mt 1–2 segue una propria linea interpretativa teologica dei primi anni della vita di Gesù, molto diversa da quella dell’evangelista Luca. Per Matteo, Gesù condivide pienamente la sorte per lo più dolorosa del suo popolo, fin dai tempi del suo esilio in Egitto. Per questo, Matteo sottolineerà più volte il compimento in Gesù delle Scritture di Israele, con ben cinque citazioni di compimento in soli due capitoli (Mt 1,23; 2,6.15b.18; cf. anche 2,23, che non rimanda a un testo specifico dell’AT).

Storie coeve di nascite prodigiose di un bambino, accompagnate da comparse di una stella (simbolo regale), di magi e indovini (spesso contrari al neonato), di pellegrinaggi tesi a omaggiare con la proskynesis/prostrazione e il conferimento di doni preziosi una figura regale di rango superiore circolavano nell’ambiente conosciuto alle comunità dei discepoli di Gesù. Si pensi solo all’episodio del re armeno Tiridate e del suo viaggio del 66 d.C., accompagnato da diverse migliaia di persone, per omaggiare Nerone che ne aveva sponsorizzato il trasferimento dall’Armenia a Napoli.

Questo e altri racconti, unitamente ad allusioni veterotestamentarie di una stella che non era il messia, ma era vista sorgere da Giuda nella profezia pronunciata al contrario dall’indovino pagano Balaam (cf. Nm 24,17), potevano fornire degli elementi preziosi per arricchire la presentazione interpretata di Gesù, visto come re, figlio di Dio, onorato da tutti i popoli, indicato da una stella nel momento della sua nascita prodigiosa.

Le profezie dell’AT, in specie Is 60,6 («uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore») e il salmo regale dedicato al re messianico Sal 72,15 («Viva e gli sia dato oro di Arabia, si preghi sempre per lui, sia benedetto ogni giorno») potevano fornire lo spunto per un’ottima allusione, per descrivere l’adorazione di tutte le genti pagane nei confronti del re di Israele, al contrario del suo rifiuto oppostogli dal popolo di Israele (e, naturalmente, del suo re bastardo, giudeo-edomita, Erode il Grande).

Sottolineiamo solo alcuni elementi del ricchissimo brano di Mt 2,1-12.

Dov’è colui che è nato, il re dei giudei?

Dopo aver menzionato velocemente la nascita di Gesù a Betlemme di Giudea, la “casa del pane” patria del grande re Davide (Mt 2,1a), Matteo mette in scena i magi. Così erano chiamati al tempo di Gesù i saggi, gli studiosi delle stelle, gli astronomi, associati sempre alla loro origine persiana e alla loro religione zoroastriana. Da oriente essi giungono a Gerusalemme.

Nella tana del re Erode il Grande (37-4 a.C.), i magi domandano dove sia colui che è nato, il re dei giudei. Questa era una titolatura politica tipica dei pagani, mentre quella religiosa propria degli ebrei era “Re di Israele” (cf. Mt 27,11: Pilato chiede a Gesù: «Sei tu il re dei giudei?»). I magi sono dei pagani che non conoscono le Scritture degli ebrei. Collegano la loro ricerca del nuovo re e la loro volontà di omaggiarlo alla comparsa nel cielo di una stella.

Le interpretazioni “realistiche” variano: supernova, ma purtroppo non documentabile per quel tempo; cometa come quella di Halley, comparsa però troppo presto, nel 12/11 a.C.; congiunzione astrale di Giove (l’astro del Re) con Saturno (astro del sabato, ritenuto talora astro dei giudei) la cui congiunzione avvenne per tre volte nel 7/6 a.C., ben visibile e predetta da astronomi babilonesi. I «due astri però non furono mai così vicini da apparire come un’unica stella» (U. Luz).

La stella poteva alludere, senza esserne una citazione diretta, a quella intravista dal profeta pagano Balaam. Al contrario di ciò che era stato pagato per fare – maledire cioè le schiere di Israele –, egli le benedice e intravede per esse un grande re per il futuro. Quella però non era una stella che precedeva i sapienti e guidava a Betlemme, ma una stella che sorgeva da Giacobbe: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele. Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17a-b).

Da Giacobbe, da Israele, sorge uno scettro. «L’interpretazione messianica ha permeato le versione antiche: al posto di “scettro” si legge “un uomo” nella Settanta, “un principe” nella versione siriaca, “Messia” nei Targum, che esplicitano ancora di più questo aspetto messianico con la lettura “il re” anziché “una stella”» (D.A.N. Nguyen).

Con tragica ironia drammatica, Matteo presenta il re Erode e tutta la città come un corpo unico che “fu sconvolta/etarachthē (< tarassō)”. Quando Gesù entrerà a Gerusalemme alla fine della sua vita, “tutta la città fu presa da agitazione/fu preda di un terremoto/eseisthē” (< seiō > seismos; Mt 21,10). Alla sua risurrezione “la terra fu scossa da terremoto/hē gē eseistē (Mt 27,31). Anche le guardie del sepolcro “furono terremotate/eseisthēsan” alla risurrezione di Gesù. Lo sconvolgimento “tellurico” colpisce animi, corpi e pietre all’entrata di Gesù sulla terra e al suo uscirne glorioso da risorto.

 Il re Erode è sconvolto, terremotato, dalla comparsa di un potenziale avversario; la città lo è per il fatto che ogni cambiamento di re porta con sé la possibilità prevedibile di disordini anche gravi.

Scienza, Scritture, violenza

Erode convoca tutti i sommi sacerdoti (quello in carica e gli appartenenti alle famiglie sommosacerdotali dalle quali venivano scelti) e (tutti) gli esperti delle Scritture e del Diritto – di orientamento per lo più farisaico –, che dovevano risolvere i problemi di tipo etico-religioso-giuridico che il popolo avesse loro da proporre. La citazione di Mi 5,1-3 indica con precisione il luogo della nascita del re messianico atteso: la piccola città di Betlemme di Giuda, che avrebbe dato i natali a un capo (hegoumenos, non re/basileus!), a uno che “pascerà /poimanei” Israele, il popolo appartenente a YHWH.

Il re Erode si accorda con i magi perché lo informino “accuratamente” del bambino e pretende di “inviarli” lui stesso a Betlemme, mentre in realtà essi stanno seguendo la loro scienza, la loro coscienza e la luce che proviene loro dagli insegnamenti delle Scritture giudaiche. Il popolo di Israele e i potenti che lo “dominano” – ma non lo “pascolano” – non fanno al contrario neanche un passo per andare verso il re messia pure atteso con ansia, distante solo 9 chilometri dalla capitale. Non lo fanno, pur avendo a disposizione tutta la ricchezza interpretativa fornita dalle sacre Scritture di Israele.

Il re Erode finge di voler “venerare con prostrazione regale/adorare/proskynēsō” il bambino, ma in realtà, come tutte le autorità politiche malsane attaccate al loro potere – cf. Messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2019, che al n. 2 parla della tendenza «a perpetuarsi nel potere» – vuole eliminare colui che avverte come un potenziale avversario che lo potrebbe scalzare dal potere ottenuto per concessione degli occupanti romani.

Non tutti i particolari del racconto possono essere evidentemente storico-fattuali: il re poteva inviare assieme ai magi anche delle spie che lo informassero; nessun testo extrabiblico parla della carneficina dei bambini di Betlemme inferiori di due anni. Il significato profondo del testo, espresso tramite anche degli aspetti leggendari, esotici o incongruenti, sta nel fatto che, fin dai suoi primi giorni, il bambino Gesù condivide nella sua carne la sorte del suo popolo, Israele, perseguitato e decimato lungo tutta la storia dalle potenze politiche e militari di turno.

Del resto, l’assenza di una documentazione storica circa lo sterminio perpetrato a sangue freddo dal re vassallo di Roma, Erode il Grande, di alcuni bambini di un villaggio situato nella lontana provincia di Giudea, rispetto a Roma capitale dell’impero, non è strana.

Sarebbe stata una notizia ben meno tragica, insignificante alla fin fine, in confronto a quella riguardante l’uccisione comandata da Erode di alcuni dei suoi famigliari più stretti: la moglie prediletta Mariamme I nel 29 a.C.; i due figli avuti da lei, Alessandro e Aristobulo, fatti strangolare a Sebaste nel 7 a.C. e sepolti nell’Alexandreion (Flavio Giuseppe, Ant. XVI, 394); il figlio maggiore Antipatro III, avuto da Doris, la prima delle sue dieci mogli, nel 4.C., pochi giorni prima di morire a Gerico.

Pochi giorni prima della sua dolorosa fine, Erode il Grande fece inoltre uccidere tutti i notabili giudei fatti lì convenire e richiusi nell’ippodromo – nemici o persone innocenti che fossero –, dimodoché la sua morte fosse accompagnata da un “vero” cordoglio da parte del popolo giudeo, da lui mai amato e da esso mai corrisposto (cf. Flavio Giuseppe, Ant. XVII, 168-188).

La ferocia del soggetto è quindi ben nota e documentata. Anche Gesù ne è stato lambito, in un modo o nell’altro.

Oro, incenso e mirra

Preceduti dalla stella ricomparsa, che essi videro con grandissima gioia, i magi giunsero al luogo su cui essa si era fermata per indicare la meta raggiunta. I sapienti entrano nella “casa/oikia” (non in una ripostiglio-stalla di Luca), dove si presenta una scena regale: vedono il re-bambino e la regina madre.

Il padre Giuseppe non è menzionato. Non fa parte del genere letterario…

“Dopo essere caduti (a terra)/pesontes < piptō”, i magi  “si prostrano in venerazione/adorano/prosekynēsan” di fronte al re in un gesto di omaggio riverente di amicizia e di sottomissione.

Essi presentano quindi al re i loro munifici regali esotici. Ne vengono ricordati solo tre. Questo non significa che i sapienti fossero in tre, che fossero dei re, che avessero il colore della pelle diverso tra loro, e soprattutto che avessero un nome ben preciso.

La tradizione successiva arricchì di ogni particolare la figura di questi personaggi e le loro azioni appoggiandosi sulla ricca fantasia attestata nei vangeli apocrifi, in particolare il Protovangelo di Giacomo, il Vangelo dello pseudo Matteo, il Vangelo dell’infanzia arabo siriano, Il Vangelo dell’infanzia armeno, il Vangelo di Nicodemo. Con un’immaginazione molto più grande di quella dell’evangelista Matteo, viene così descritta l’universalità dei popoli rappresentati dai magi.

La tradizione li individuò con il numero tre e indicò anche i loro nomi: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare.  Una delle fonti più antiche a riportare questi tre nomi è l’Excerpta Latina Barbari 51B. Stessi nomi si ritrovano, con alcune varianti, anche nel Vangelo armeno dell’infanzia.

La tradizione li fece inoltre diventare “re” sulla base del Sal 72,10: «I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni».

L’oro è donato al re, l’incenso al dio, la resina odorosa e preziosa della mirra in onore dell’uomo (che poi alla sua morte, sarebbe stato unto proprio con essa, mista ad àloe, con una quantità tale, trenta chili, da configurarsi come una sepoltura regale, cf. Gv 19,39). Gli “inizi” di Gesù sono strettamente collegati con la sua fine… (cf. Mc 16,1 «vennero per ungerlo»; Lc 23,56b–24,1; Gv 12,1-8; 19,39).

Il ritorno dei magi alla propria patria «per un’altra strada» (che potremmo immaginare essere l’“autostrada dei re” che corre sul limitare del deserto giordano) è un’irrisione ben assestata al re sanguinario, dispotico e assolutista.

Gesù bambino è stato manifestato alla sua famiglia e ai poveri, i pastori (cf. Lc 2,1-20).

Il re nato di Israele è stato manifestato ai popoli pagani, rappresentati dai magi che seguono con scienza e coscienza le loro vie, illuminate dalle Scritture di Israele (cf. Mt 2.1-12).

L’epifania di Gesù attende il suo compimento più naturale: la rivelazione al proprio popolo, Israele.

Sarà il momento del suo battesimo nel fiume Giordano Mt 3,13-17//Mc 1,9-11//Lc3,21-22).

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