Giovedì scorso, 10 gennaio, nella capitale Caracas, Maduro ha giurato per il secondo mandato di sei anni come presidente del Venezuela. Non è una buona notizia per il paese e nemmeno per il mondo.
I vescovi – come avevano anticipato – non hanno partecipato alla cerimonia del giuramento. E l’Assemblea nazionale ha rifiutato di riconoscere il presidente. Il parlamento, da lui esautorato e sostituito da un’Assemblea costituente, è inefficace così che la chiara vittoria elettorale dell’opposizione del 2015 è diventata politicamente senza valore.
L’arcivescovo di Maracaibo, José Luis Azuaje, presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, ha dichiarato che questo nuovo mandato è illegittimo e moralmente inaccettabile. E ha aggiunto che non si può più andare avanti così; il paese, non ha infatti alcun futuro se continua sulla strada intrapresa.
Si moltiplicano intanto le prese di posizioni in tutto il mondo, e soprattutto in America Latina, contro la legittimità della presidenza di Maduro. Dopo l’Argentina, la Colombia, l’Ecuador, il Perù e il Paraguay, anche Cile e Brasile hanno dichiarato ufficialmente il loro atteggiamento negativo.
Il presidente cileno Sebastián Piñera ha diramato una nota ufficiale in cui si dice che «il Cile non riconosce la legittimità del regime di Maduro», perché è giunto al potere «in modo illegittimo, come risultato di un’elezione che non ha risposto ai requisiti minimi e necessari» di una elezione «libera, democratica, trasparente e con presenza di osservatori internazionali».
Anche il ministero degli esteri brasiliano ha diffuso una nota ufficiale in cui è definito «illegittimo» il governo del presidente Maduro. Dopo aver precisato di voler riconoscere l’Assemblea nazionale come «unico organo costituzionalmente eletto», il comunicato afferma che «il Brasile continuerà a lavorare per la restaurazione della democrazia e dello stato di diritto in Venezuela e proseguirà il coordinamento con tutti i soggetti impegnati per la libertà del popolo venezuelano».
Un paese in profonda crisi
ll Venezuela ormai da anni è scosso da una profonda crisi politica interna. Il fenomeno, iniziato nel 2014, dopo la morte del leader rivoluzionario Hugo Chávez e la successiva controversa vittoria di Maduro, accompagnata da proteste di massa, in tutto il paese, è sfociato in un gigantesco esodo di massa. Finora circa tre milioni di venezuelani hanno abbandonato la loro terra a causa della persistente crisi degli approvvigionamenti, dell’alto tasso di criminalità, della dilagante inflazione e della repressione statale.
L’arcivescovo Josè Luis Azuaje ha affermato che il paese soffre di una drammatica crisi umanitaria. «Ci sono molte persone – ha affermato – che cercano del cibo tra i rifiuti. È una cosa contraria alla dignità umana». Scarseggiano anche i medicinali e, ogni giorno, circa 5.000 venezuelani si rifugiano all’estero. E se uno osa affermare che la causa di questa situazione è politica, subisce delle minacce.
Preoccupazione per la Chiesa
Il cardinale ha parlato anche del repentaglio a cui è esposta la democrazia e della minaccia ai diritti umani. Per quanto riguarda la Chiesa in Venezuela, ha dichiarato «che essa sta dalla parte dei bisognosi, anche se ciò comporta molti inconvenienti e molte difficoltà».
Un’eco di tutto ciò viene anche dalla Germania. Il presidente della commissione per i problemi mondiali della Conferenza episcopale tedesca, l’arcivescovo di Bamberg, Ludwig Schlick, ha dichiarato recentemente di essere molto preoccupato per la situazione dei cristiani, il cui impegno pastorale o caritativo ha assunto un carattere politico: queste persone – ha affermato – sono entrate ben presto in conflitto con l’apparato politico. Tutto ciò che è sospettato di mettere in discussione il pensiero e il monopolio dello stato viene represso. Le vessazioni amministrative e la sistematica discriminazione sono all’ordine del giorno. «Proclamare apertamente il messaggio di liberazione di Cristo del Vangelo, e anche solo parlare apertamente delle disfunzioni sociali – ha sottolineato il vescovo – espone a gravi rischi».
Questa è anche la ragione della crescita delle polemiche e dell’aggressione massiccia verso la Chiesa cattolica.
Amnesty International, da parte sua, accusa il governo di Maduro di essere corresponsabile di migliaia di esecuzioni extragiudiziarie e Human Rights Watch parla di torture e di violenze su ordine dei socialisti del governo di Caracas. E le Nazioni Unite, per l’anno appena iniziato, prospettano uno scenario quanto mai tetro: per la fine del 2019, ai precedenti tre milioni di profughi, potrebbero aggiungersene altri due-tre milioni.
Particolarmente energica è la critica a Maduro della vicina Colombia. Tra questo paese governato tradizionalmente dai conservatori e il Venezuela, da 20 anni in mano ai socialisti, esiste una profonda rivalità politica.
Il presidente della Colombia, Ivan Duque, da pochi mesi in carica, rifiuta anch’egli di riconoscere Maduro e questi gli risponde con scherno, definendo Duque un mercenario degli Stati Uniti: «Ivan Duque – dice – non va nemmeno alla toilette senza prima interpellare l’ambasciatore dei gringos».
Poco prima del giuramento di Maduro, è intervenuto anche papa Francesco per chiedere di continuare a cercare delle vie istituzionali pacifiche per risolvere la crisi politica, sociale ed economica del Venezuela e anche del Nicaragua che soffre di problemi analoghi.
Più chiaramente ancora si è espresso l’arcivescovo emerito di Coro, Roberto Lückert Leon, il quale, parlando con l’emittente colombiana W-Radio, ha affermato che «il papa teme che s’instauri una dittatura in Venezuela».
I socialisti venezuelani tuttavia credono in una ripresa del dialogo che era fallito, nonostante gli sforzi del Vaticano. Diosdado Cabello, numero due del Venezuela, ne è convinto. Ma tutti i tentativi finora effettuati, anche quelli del Vaticano, non hanno avuto successo.