L’onda d’urto dello scisma si propaga rapidamente nelle comunità ortodosse del mondo senza che vi sia, per ora, una spinta o una iniziativa capace di invertire la rotta. Quanto è successo all’assemblea nazionale o Concilio di unificazione (Kiev 15 dicembre) è già noto (cf. qui su Settimana News).
Un accurato resoconto, firmato da Yannick Provost (su Orthodoxie.com), ne ricostruisce le ambiguità, contraddizioni, scontri e prospettive. Esce sconfitto lo sforzo di Bartolomeo di allargare i consensi a tutte e tre le Chiese ortodosse del paese (una filo-russa e le altre due «scomunicate»), mentre le rivalità interne fra vincitori e sconfitti preannunciano nuove tensioni e il peso politico riveste un ruolo sempre maggiore.
Ciononostante un sondaggio all’indomani dell’assemblea mostra che il consenso alla nuova Chiesa raggiunge il 43% degli ucraini (era il 31% in maggio), mentre è stabile quello verso la Chiesa filo-russa (da 20 a 22%). Nelle regioni occidentali il consenso è al 70% (7% contrari), mentre nel centro il 52%è a favore e il 18% è contro. Non ci sono dati per la Crimea, occupata dalla Russia e il Donbass teatro di una guerra che ha fatto oltre 10.000 morti.
Il tomo e i suoi contenuti
Dopo l’Assemblea, il Parlamento ha approvato una legge che toglie alla Chiesa filo-russa il riferimento all’Ucraina, mentre lo riserva per la nuova Chiesa. Non è ancora stata approvata una seconda legge che facilita il passaggio delle comunità dall’obbedienza a Mosca a quella di Kiev.
Il 5 gennaio è stato firmato a Costantinopoli il tomo (documento) di autocefalia e consegnato al primate eletto Epifanio. Le particolarità del tomo alla Chiesa ortodossa ucraina sono bene illustrate da Vladimir Burega (sempre su Orthodoxie.com). Fra le particolarità di un testo che in genere segue le formulazioni storiche del passato vi sono alcuni elementi.
Il capo della Chiesa è chiamato primate e non patriarca e si specifica che il titolo non può essere modificato senza il consenso di Costantinopoli. Nei dittici, cioè nell’elenco dei patriarchi da nominare durante il culto, il tomo prevede il nome di Cirillo di Mosca, contrariamente agli umori locali. Costantinopoli diventa una autorità giuridica superiore e di riferimento per i problemi maggiori e per i ricorso di preti e vescovi. Una dottrina già espressa nei tomi di riconoscimento per la Chiesa ortodossa di Polonia e delle Terre della Cechia e Slovacchia.
Mentre nei tomi del XIX secolo il riferimento ai poteri politici è presente ma secondario e addirittura assente per i tomi più recenti (Polonia, Bulgaria, Cechia e Slovacchia), diventa di nuovo rilevante per l’Ucraina. A testimonianza di un rinnovato protagonismo della politica. Il sacro crisma della cresima che gli ortodossi celebrano durante il battesimo è riservato ai patriarchi delle Chiese storiche. Invece Albania, Polonia, Cechia e Slovacchia (assieme alla Grecia) fanno riferimento a Costantinopoli. Non così la Romania e la Bulgaria.
Normalmente i tomi non entrano a definire nel dettaglio le strutture delle Chiese. In quello di Ucraina si è preteso, invece, che il Sinodo sia, almeno in parte, a rotazione e che le disposizioni dello statuto non contraddicano il tomo. Esso fa divieto di aprire parrocchie e strutture diocesane ucraine fuori dai confini. Costantinopoli ha chiesto di avere in terra ucraina un proprio esarcato. Sono una dozzina i monasteri che farebbero direttamente riferimento al Fanar e le due laure maggiori dovrebbero essere sottratte alle comunità monastiche filo-russe.
L’azzardo dei greco-cattolici
I cattolici di rito bizantino (4-5 milioni), i greco-cattolici detti anche «uniati», sono stati silenziosi durante tutto il periodo caldo della richiesta di autocefalia (2017-2018), ma i laici, come il presidente del parlamento, A. Parouby, si sono dati molto da fare nel processo.
Da decenni gli arcivescovi maggiori della comunità greco-cattolica (card. Slipyi, card. Husar e mons. Sviatoslav Chevtchuk) richiedono il titolo di patriarca e, soprattutto, spingono per la formazione di un unico patriarcato ucraino che comprenda non solo le Chiese dell’ortodossia, ma anche la loro.
Un unico patriarcato con due obbedienze: a Roma e a Costantinopoli. Ipotesi non condivisa da Roma e assolutamente avversata da Mosca. Ora, con l’unificazione, almeno formale, della Chiesa ortodossa locale si apre una nuova stagione nei rapporti. Il patriarca Epifanio e l’arcivescovo maggiore Sviatoslav si sono incontrati e hanno deciso di elaborare un programma di azione comune in ambiti di servizio come quelli educativo e degli studi. Per il radicamento popolare, la testimonianza rigorosa nel passato comunista e l’autorevolezza della gerarchia greco-cattolica, la nuova Chiesa ortodossa potrebbe giovarsi di un sostegno prezioso.
Il patriarcato di Mosca si è espresso in termini duri e diretti contro l’operazione ecclesiale svolta da Costantinopoli e ha deciso di rompere la comunione, cosa che Costantinopoli non ha fatto. In una lunga e appassionata lettera del patriarca Cirillo a Bartolomeo del 31 dicembre scorso si ricorda come il processo in atto «politicizzato, di unificazione forzata, sia lontano dalle norme e dallo spirito dei santi canoni» e «accompagnato da un mostruoso miscuglio di menzogne e, già ora, di violenze». La compattezza della Chiesa filo-russa (solo due vescovi su 90 hanno partecipato al concilio di unificazione), il protagonismo dei vescovi «scomunicati», Filarete e Macario, la fragilità, a parere di Mosca, delle motivazioni storiche di un intervento del Fanar mostrano la necessità di tornare indietro, di smentire il processo di autocefalia.
Il papato: detestato e necessario
Costantinopoli non tornerà indietro, perché le decisioni sono state prese all’unanimità dal Sinodo, perché hanno elementi di plausibilità e hanno proiettato il patriarcato verso un protagonismo inabituale. Nel contesto di una condizione di minorità al limite della sopravvivenza l’allargamento del riconoscimento di autocefalia all’Ucraina e ad altre possibili comunità nazionali rafforza la sua immagine in Turchia. Il pieno assenso degli Stati Uniti, espresso dal segretario di stato Mike Pompeo (10 gennaio), alimenta il suo profilo.
I dubbi e le critiche, tuttavia, non provengono solo da Chiese di scontata vicinanza a Mosca, come la Chiesa serba e quella antiochena, ma anche dalla recente Chiesa polacca. E i possibili sostenitori si mostrano timorosi nell’esprimersi apertamente.
A partire dalla Grecia in cui il Sinodo ha dato mandato all’assemblea dei vescovi di elaborare una risposta. Cipro si dice preoccupato prima della divisione che dell’autocefalia. La Georgia tende a prolungare i tempi per il suo consenso all’operazione ucraina. Maggior movimento nelle aree dove emerge con forza la domanda dell’autocefalia locale. È il caso del Montenegro e della Macedonia, ambedue in conflitto con la Chiesa serba.
Un esempio della complessità a cui le comunità ortodosse vanno incontro è quello della Chiesa di Gerusalemme. Molto legato a Mosca, il patriarcato di Gerusalemme è vicino alla posizione della Chiesa ucraina filo-russa. Ma i pellegrini, assai numerosi, che provengono da quel paese, chiedono la partecipazione all’eucaristia. Vi sono spinte politiche di Israele e degli Stati Uniti, oltre che di Costantinopoli, in senso favorevole all’accoglienza della nuova Chiesa ucraina, nonostante ripetute affermazioni del patriarca Teofilo III a sostegno dell’unica Chiesa ucraina canonicamente riconosciuta, cioè quella filo-russa.
In Occidente
Assai meno percepito, ma non meno importante è quanto avviene nelle comunità ortodosse in Occidente. Se Costantinopoli ha provveduto a rimuovere l’esarcato di tradizione russa, nato in Europa occidentale a seguito dei fuoriusciti durante la rivoluzione russa del 1917 e divenuto esarcato autonomo nel 1999, a favore delle diocesi ortodosse direttamente riferibili al Fanar, il patriarca di Mosca ha risposto formando un suo esarcato per tutta l’Europa occidentale e l’Asia. Il 23 febbraio prossimo l’esarcato «rimosso» dovrà decidere il suo futuro se verso Costantinopoli o verso Mosca o in piena autonomia.
Fra le molte domande che rimangono ne accenno a tre: Come reagirà il popolo di Dio sia in Ucraina che nella diaspora? Quale sarà l’effetto complessivo della frantumazione in ordine alla testimonianza cristiana e al dialogo ecumenico? Come potrà svilupparsi il dialogo con le altre fedi, in particolare con l’islam attivo nelle aree interessate o prossimo ad esse?
La Chiesa cattolica e il papato si ritrovano con una responsabilità ulteriore. Le prossime visite di papa Francesco in Bulgaria, Macedonia e Romania saranno un banco di prova.
Chiederei una precisazione sul significato del titoletto: “Il papato: detestato e necessario”. Grazie.
Obbligata a fare da paciere la Chiesa cattolica? Mi auguro tanto che le Chiese abbiano la forza di restare indipendenti dalla politica, almeno questo può facilitare il compito e sopratutto semplificare il rapporto tra gli ortodossi. Saluti