Centosettanta morti nel Mediterraneo (solo quelli che si sanno), 200 vittime nei primi 21 giorni del 2019. «La storia ce lo ricorderà e ci indicherà da che parte stavano vittime e carnefici».
In un tweet di ieri l’ONG Open Arms riassume l’ennesima tragedia nel Mediterraneo passata quasi nell’indifferenza, mentre altre 393 persone sono state riportate in Libia, violando le Convenzioni internazionali perché tutti sanno che non è un porto sicuro dato che le persone subiscono gravissime violazioni dei diritti umani. Nel 2018 almeno 2.262 persone hanno perso la vita in mare. Papa Francesco, domenica, dopo l’Angelus, ha espresso dolore per le vittime e ha pregato «per loro e per coloro che hanno la responsabilità di quello che è successo».
Dalla nave ferma a Barcellona per un provvedimento della Capitaneria di porto – doveva partire l’8 gennaio per una nuova missione nel Mediterraneo – parla Riccardo Gatti, comandante e capomissione di Open Arms.
– Centosettanta morti, un’altra tragedia. Che effetto vi fa non poter stare in mare a salvarli?
Centosettanta morti sono quelli stimati ma la cifra reale non si sa perché c’era solo una nave della Marina militare che ne ha salvati 3 su 120. È ciò che noi denunciamo da sempre: se distruggi un operativo di soccorso in mare come è successo, visto che tutte le ONG operavano coordinate e dirette dalla guardia costiera italiana e funzionava benissimo. La nave Diciotti e Dattilo sono in porto e non le fanno partire, perciò ci sono più morti.
– Altre 393 persone sono state riportate indietro dalla guardia costiera libica.
Sanno tutti che dietro la guardia costiera libica ci sono milizie coinvolte nel traffico di persone, fanno quello che vogliono, chiedono ancora più soldi, per le navi, per i carburanti. Hanno già 24 imbarcazioni e dal 21 dicembre l’Italia ha stanziato fondi per comprarne altre 20. L’Italia continua a fare accordi con dei criminali e riporta indietro le persone in Libia facendo passare questa operazione come se fosse in linea con le Convenzioni internazionali: ma sono menzogne. Perché vuol dire violare il diritto marittimo per riportarle in un posto che non è sicuro. Ci sono un’infinità di documenti, comunicati, rapporti delle Nazioni Unite sulle condizioni in Libia. Le riportano in un inferno. Le persone che salviamo ci dicono che preferiscono morire piuttosto che tornare in Libia. Li abbiamo visti buttarsi in acqua cercando di annegare alla vista di una motovedetta libica. La Libia non è un posto sicuro e tra qualche anno l’Italia potrebbe essere condannata per questi respingimenti o facilitazione dei respingimenti.
– Duecento vittime in 21 giorni nel 2019. In Italia c’è chi invece continua ad esultare dicendo “meno partenze, meno morti”.
Non commentiamo tutte le dichiarazioni del ministro dell’Interno o di altri esponenti politici. In Italia si sta falsando la realtà. Si sta creando una realtà che non ha niente a che vedere con la verità, per creare un immaginario comune utile a guadagnare voti. Questo è il motivo di tutti i messaggi in cui si accostano le ONG ai trafficanti. Si dice che i porti sono chiusi ma non è vero perché non esiste nemmeno un decreto e sarebbe illegale. Il fatto che le ONG non siano in mare può portare solo più morti e qualcosa di ancora peggiore, ossia il silenzio assoluto su quanto sta succedendo perché in mare non ci sono testimoni scomodi. Che alla fine è ciò che interessa i governi europei, primo tra tutti il governo italiano che sta facendo accordi criminali con la guardia costiera libica. Anche i vari messaggi del ministro dei Trasporti non hanno niente a che fare con il diritto marittimo, mentre lui dovrebbe sapere di ciò che sta parlando. Povera Italia, sta vivendo veramente un momento buio.
– In questa situazione che peso possono avere le dichiarazioni che giungono in continuazione da chi riveste ruoli politici di primo piano?
Ci sono discorsi politici violenti che legittimano la violenza, e lo stiamo vedendo nelle nostre strade, ad esempio l’intolleranza verso le persone migranti. Si sta legittimando una mancanza di cultura e di etica istituzionale. Quando ministri vari fanno dichiarazioni senza alcun fondamento, la legittimazione diventa dannosa per la stessa cittadinanza italiana. Perché continua la distruzione culturale e fa sì che le persone siano mosse secondo gli interessi di chi è al potere. Sta avvenendo qualcosa di molto triste.
– Le ONG hanno avuto l’appoggio di buona parte della società civile, comprese le Chiese. Cosa vi potrebbe aiutare ancora di più?
Bisogna continuare a mandare messaggi proattivi e non avere un atteggiamento da vittime. Non fermarsi e mettere in campo tutte le azioni possibili. Ad esempio l’hashtag #facciamorete sta dando tanto fastidio. È vero che fa più rumore il padrone che morde il cane piuttosto che il cane che morde il padrone. Ma non è vero che sono tutti xenofobi e razzisti. È importante continuare ad andare avanti in maniera indipendente, senza stancarsi. I discorsi del governo italiano sono talmente vuoti che si sgonfieranno, anche grazie all’azione dei cittadini. Bisogna riappropriarsi un po’ della politica e non lasciare spazio aperto a chi si trova a governare.
– È però una tendenza che si va diffondendo in tutta Europa?
L’Europa sta andando tutta in questa direzione. Non è qualcosa di casuale è tutto organizzato. I governi di Italia e Ungheria stanno facendo la voce grossa contro i migranti in maniera più criminale. L’Italia, per la sua posizione geografica, sembra sia la vittima di tutte le migrazioni; invece è semplicemente un punto nevralgico nel Mediterraneo perché numeri i più alti stanno arrivando in Spagna.
– Intanto la vostra nave è stata bloccata a Barcellona. Ci sono novità?
Stiamo aspettando i tempi del ricorso ma anche una riconsiderazione da parte del governo spagnolo. Credo che il primo ministro spagnolo Sanchez abbia paura dell’Europa, di rimanere l’unico Stato che rispetta le Convenzioni internazionali. Ha paura dei voti che stanno arrivando ai partiti di estrema destra. Però l’appoggio della società civile spagnola ad Open Arms è forte. Alcuni deputati spagnoli hanno dichiarato che voteranno contro tutte le proposte del governo finché non verranno rilasciate l’Open arms e la nave di un’altra Ong che dovrebbe iniziare ad operare adesso, bloccata l’altro giorno. Io credo e spero che tutto ciò accada prima della decorrenza dei 30 giorni del ricorso, anche perché politicamente non è una scelta molto furba. Speriamo che anche prima di febbraio la nave possa tornare in mare. Ogni giorno aspettiamo che arrivi questa comunicazione.
– Intanto ci sono in vista le elezioni europee. Siete preoccupati che il dibattito sui migranti si inasprirà ancora di più?
Oramai da due anni vediamo azioni volte a ledere la dignità delle persone migranti e a criminalizzare le ONG. Ci insultano dicendo che portiamo stupratori o persone che vivono a sbafo degli italiani, sono tutti i messaggi del governo. C’è una responsabilità su tutto ciò. Non so se possono dormire tranquillamente ma a me sembra che si stia distruggendo la base della società: non si possono schiacciare sempre gli altri per i propri interessi. Non c’è più coscienza. Noi non siamo preoccupati di sparire presto, speriamo che non ci sia più bisogno di noi perché vorrà dire che ci sarà un operativo di soccorsi in mare. Mi conforta il fatto che gli attacchi politici contro le ONG e i migranti sono sempre vuoti e falsi e vengono smentiti subito. Basta mettersi a studiare solo un po’ e informarsi su ciò che sta succedendo. L’appoggio che riceviamo è molto elevato a livello intellettuale e culturale. Quello per noi è importante, tutto il resto sono grida e slogan. Durerà quello che dovrà durare, perché i problemi delle persone non si risolvono con gli slogan. Sono sicuro che si tornerà ad una situazione di equilibrio. Noi andiamo avanti e non ci scoraggiamo.
Agenzia SIR, 22 gennaio 2019.
La mistificazione della realtà è sotto gli occhi di chi vuole vedere e informarsi.
E’ di lunedì 21 gennaio l’ennesima smentita di fake news che purtroppo girano da parecchio nell’opinione pubblica: il fatto che i migranti sarebbero portatori di malattie. Niente di più falso.
E a dirlo è il “Rapporto sulla salute dei rifugiati e migranti nella regione europea” presentato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità alle Nazioni Unite a Ginevra.
Contro ogni pregiudizio e luogo comune (spesso così radicato, perché abilmente veicolato anche da alcuni media), il Rapporto rivela un’amara realtà: sono invece i migranti a rischiare di più di ammalarsi, durante il viaggio o una volta arrivati nei Paesi ospitanti (per questo sarebbe “umano” assicurare loro l’accesso alle cure). Nonostante la difficoltà di raccogliere i dati, si può affermare che, dopo viaggi “estremi”, quanti giungono a bussare alle porte dell’Europa hanno subito e subiscono gravi conseguenze fisiche e psichiche, tanto che tra i nuovi arrivati la mortalità risulta minore per neoplasie, malattie endocrine e dell’apparato digerente, ma più alta per infezioni e patologie ematiche e cardiovascolari.
Più documentate le malattie infettive (soprattutto a carico di bambini e donne in gravidanza o puerpere), causate perlopiù dalle condizioni igienico-sanitarie e l’uso di acqua contaminata durante gli spostamenti: tra le più insidiose tubercolosi, HIV, epatite.
Con l’allungarsi della permanenza aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, ictus e cancro, ma anche l’instaurarsi di sovrappeso e obesità, causati dal cambiamento degli stili di vita.
Il disturbo da stress post-traumatico è prevalente tra i rifugiati e i richiedenti asilo; frequenti anche depressione e ansia.
La conclusione del Rapporto andrebbe diffusa: per i Paesi accoglienti non si tratta solo di rispettare un dovere umanitario, ma non consentire ai migranti l’accesso alle cure potrebbe avere ripercussioni negative su tutta la popolazione. Quindi garantire la salute di chi arriva (con una vasta copertura vaccinale ai minori, per esempio) sarebbe una buona e auspicabile strategia di sanità pubblica: Danimarca, Francia e Svezia hanno i migliori programmi, noi no.
Riferimenti: Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region: no public health without refugee and migrant health (2018)