La Corte Costituzionale francese, con una sentenza del 1° febbraio 2019,[1] ha stabilito che la penalizzazione dell’acquisto di prestazioni sessuali, prevista dalla legge n. 444 del 13 aprile 2016 in tema di lotta contro il sistema prostituzionale, è costituzionalmente ineccepibile.
Con questa decisione la più alta istanza giuridica dell’ordinamento francese[2] ha definitivamente riconosciuto che l’acquisto delle prestazioni sessuali non è altro che il primo anello della «domanda» prostituiva, che può sfociare nei più gravi reati di sfruttamento e tratta di persone.
La decisione – ha dichiarato in un comunicato del 1° febbraio l’Alto Consiglio per l’eguaglianza tra le donne e gli uomini (Haut Conseil à l’égalité entre les femmes et les hommes[3]) – «costituisce un chiaro divieto di ogni sfruttamento delle persone in situazione di precarietà e vulnerabilità, di cui la prostituzione è una delle forme più violente. Essa contribuisce a costruire una società dove l’uguaglianza tra donne e uomini è non solo formale ma reale».
La pronuncia del Conseil Constitutionnel, da un lato, conferma la legge fortemente voluta dal precedente governo francese a guida socialista[4] dopo cinque anni di dibattiti parlamentari, dall’altro, la rafforza. Afferma, infatti, che la penalizzazione del cliente non lede in alcun modo il diritto alla vita privata, dichiara che l’esercizio della prostituzione non ha nulla a che vedere con la libertà d’impresa, non potendo essere considerato alla stregua di una prestazione lavorativa.
Perché il ricorso alla Corte Costituzionale francese
Per intendere correttamente l’importanza della sentenza, è utile richiamare sinteticamente i quattro argomenti utilizzati da coloro che hanno ritenuto di sollevare la «questione prioritaria di costituzionalità» (QPC) davanti alla Corte francese.
La legge del 2016 ha introdotto nell’ordinamento francese un divieto generale e assoluto di acquisto di atti sessuali, compresi quelli compiuti tra persone adulte consenzienti in un luogo privato. Questa drastica misura violerebbe la libertà di chi vende e acquista atti sessuali. Si tratterebbe di una violazione di un diritto fondamentale che non trova giustificazione nella pur comprensibile esigenza di salvaguardare l’ordine pubblico, di lottare contro lo sfruttamento sessuale e la tratta di persone, nonché di tutelare le persone dedite alla prostituzione. Ne deriverebbe, pertanto, una violazione sia del diritto al rispetto della vita privata, sia del diritto all’autonomia personale e alla conseguente autodeterminazione nella sfera sessuale.
In secondo luogo, le misure introdotte dalle legge in questione misconoscerebbero la libertà di impresa e la libertà contrattuale, atteso che l’esercizio della prostituzione potrebbe/dovrebbe, secondo i ricorrenti, essere equiparato a qualsiasi altra attività professionale.
In terzo luogo, la penalizzazione di chi acquista atti sessuali sarebbe contraria ai principi giuridici dell’adeguatezza e proporzionalità delle pene.
Infine, la legge avrebbe aggravato l’isolamento e la clandestinità delle donne che si prostituiscono, esponendole ad un aumento dei rischi di violenza da parte dei loro clienti e costringendole ad accettare condizioni di igiene che mettono a repentaglio la loro salute.
Rimangono saldi i «quattro pilastri» della legge del 2016
Tutti gli argomenti portati a giustificazione della «questione prioritaria di costituzionalità» (QPC) sono stati disattesi.
I giudici del Conseil Constitutionnel hanno di fatto riconosciuto che il principio di dignità ha carattere oggettivo e non soggettivo. Rinunciare ai diritti fondamentali non è una libertà: essi sono inalienabili e universali.
Rimangono, dunque, saldi i quattro “pilastri” sui quali la legge è fondata.
Il primo pilastro è costituito da misure specifiche che rafforzano, anche su internet, la lotta alla tratta di esseri umani, allo sfruttamento sessuale e al favoreggiamento della prostituzione.
Il secondo pilastro ha come obiettivo il miglioramento della protezione delle vittime della prostituzione, mediante la realizzazione di programmi di uscita da essa, l’abrogazione del reato di adescamento, la considerazione che la prostituzione è una forma di violenza e l’attribuzione dello status di vittima a chi si prostituisce.
Il terzo pilastro recepisce gli orientamenti provenienti da organismi internazionali ed europei che invitano gli Stati ad adottare o a potenziare misure educative, sociali e culturali, per scoraggiare la domanda che incrementa tutte le forme di sfruttamento delle persone, incide negativamente sulla parità di genere e viola il principio della dignità umana.
Il quarto e ultimo pilastro introduce il divieto di acquisto di atti sessuali e la penalizzazione non di chi li vende ma di chi li acquista.
Fondata su questi quattro pilastri, la legge francese, come auspicano le risoluzioni adottate rispettivamente dal Parlamento europeo il 26 febbraio 2014 in tema di «sfruttamento sessuale e prostituzione e loro conseguenze per la parità di genere» e dal Consiglio d’Europa l’8 aprile 2014 in tema di «prostituzione e schiavitù moderna», ritiene che il modo più efficace per combattere tratta e sfruttamento e per rafforzare la parità di genere sia quello attuato in numerosi altri Paesi (il cosiddetto “modello nordico”) che considera reato l’acquisto di atti sessuali.
Responsabilizzare il cliente
«Facendo la scelta di penalizzare chi compra prestazioni sessuali, il legislatore ha inteso, sottraendo fonti di guadagno a chi sfrutta la prostituzione, lottare contro l’attività prostituiva e contro la tratta di persone ai fini di sfruttamento sessuale, attività criminale fondata sull’oppressione e l’asservimento dell’essere umano», scrive il Conseil Constitutionnel il quale, poi, ricorda che, «nella stragrande maggioranza dei casi, le persone che si prostituiscono sono vittime di sfruttatori e trafficanti». Così facendo – prosegue la sentenza – «il legislatore ha altresì inteso assicurare la salvaguardia della dignità della persona umana contro ogni forma di asservimento».
Il Conseil Constitutionnel ritiene «non manifestamente sproporzionate» le sanzioni previste dalla legge a carico del cliente e finalizzate a scoraggiare la domanda e a contribuire a modificare lo sguardo dell’intera società sulla prostituzione: una contravvenzione di 1.500 euro, che, in caso di recidiva, può trasformarsi in multa di 3.750 euro.
A titolo di pena complementare, il cliente ha l’obbligo di partecipare, all’occorrenza a proprie spese, a stages di sensibilizzazione, sul modello di quelli dedicati alla prevenzione e alla lotta contro le violenze sessuali.
L’obiettivo è renderlo più consapevole delle conseguenze delle sue azioni e, in particolare, renderlo edotto, al di là delle versioni false e compiacenti veicolate dai media sulle reali condizioni di vita delle persone che praticano la prostituzione e sugli stretti legami che intercorrono tra quest’ultima e la tratta e lo sfruttamento di esseri umani.
Gli stages di sensibilizzazione servono anche a evidenziare i legami che intercorrono tra prostituzione e diseguaglianza di genere, nonché la responsabilità dei clienti nel perpetuare il sistema prostituzionale.
Violenza e disuguaglianza di genere
Come emerge in modo assolutamente chiaro dalla lettura degli atti parlamentari, secondo il legislatore francese, la legge dichiarata conforme a Costituzione dal Conseil Constitutionnel si inserisce nel quadro della lotta contro le violenze di genere e all’interno dell’impegno di promozione dell’effettiva eguaglianza tra donne e uomini.
Il principio di uguaglianza tra i sessi e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne sono incompatibili con il diritto di imporre con il denaro un atto sessuale, sfruttando la precarietà delle persone in un contesto di prostituzione.
Per l’ordinamento francese la prostituzione è, in sé, la prima forma di violenza nei confronti delle donne: è, anzi, la forma di violenza nei confronti delle donne più antica del mondo. Essa è intrinsecamente dannosa per la loro sicurezza, ed è devastante per la loro salute fisica e mentale. Molte persone sono costrette a dissociarsi dal corpo per poterlo lasciare a disposizione del cliente. Tutte le persone fuoriuscite dalla prostituzione concordano nell’affermare che un rapporto sessuale coatto o senza altro desiderio se non quello del denaro è distruttivo e lascia delle tracce indelebili. Le ricerche dimostrano altresì che gli uomini che acquistano sesso hanno per lo più un’immagine degradante della donna.
Una società senza prostituzione
Con questa pronuncia vengono drasticamente disattese le aspettative di chi reclama la legalizzazione del lavoro sessuale (“sex work”).
Il legislatore francese ritiene che la prostituzione sia un asservimento arcaico della donna da superare. La prostituzione non va né regolamentata né tollerata: va progressivamente abolita.
Obiettivo certamente ambizioso, che si vuole tuttavia perseguire con pervicacia. Vi è una totale asimmetria tra il cliente che cerca di soddisfare, di tanto in tanto, il suo piacere e la persona che deve subire relazioni sessuali in serie, nel disprezzo della sua sensibilità e del suo desiderio. L’acquisto e la vendita del sesso è una negazione della persona.
Il corpo umano non si può vendere e non si può comprare. Non esiste il diritto ad approfittare del corpo altrui.
La prostituzione si iscrive nella lunga tradizione maschiocentrica che rende i corpi delle donne disponibili per l’uso che ne vogliono fare a piacimento gli uomini (ius primæ noctis, debito coniugale, aggressioni fisiche, minacce armate, stupro, molestie sessuali, atti persecutori o stalking). La società non può accettare che la libertà di alcune persone (i clienti) sia fonte di oppressione per altre persone (donne nella prostituzione).
Il legislatore francese ha avuto il coraggio di affermare che la prostituzione non è utile, non è indispensabile, non è necessaria per la vita di una società moderna. E la Corte Costituzionale non ha avuto nulla da eccepire quanto alla conformità all’ordinamento francese di tale scelta.
E in Italia ?
A seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata il 6 febbraio 2018 dalla Corte di appello di Bari, il prossimo 5 marzo, a pochi giorni dalla “Giornata internazionale della donna”, la Corte Costituzionale italiana dovrà dirci se sia o meno conforme alla Costituzione italiana la legge 20 febbraio 1958 n. 75 («legge Merlin»), laddove considera reato, punibile da due a sei anni di reclusione e con la multa da euro 258 a euro 10.329, il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, anche nel caso in cui questa sia esercitata volontariamente e consapevolmente.
Stante il tenore degli argomenti utilizzati dalla Corte di appello di Bari per dubitare della legittimità costituzionale della legge Merlin, la Consulta dovrà altresì pronunciarsi su due questioni di fondamentale importanza:
1. stabilire se l’autodeterminazione lucrativa della sessualità possa o non possa essere considerata alla stregua di una estrinsecazione dell’iniziativa economica privata rispettosa della dignità umana ai sensi dell’articolo 41 (sicurezza, libertà e dignità del lavoro) della Costituzione;
2. chiarire se l’esercizio della prostituzione anche volontaria e consapevole possa o non possa essere ritenuto una forma di espressione della libertà della persona sotto il profilo degli articoli 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili) e 13 (inviolabilità della libertà personale) della Costituzione.
[1] Si tratta della sentenza n. 2018-761 QPC (questione prioritaria di costituzionalità) decisa nella seduta del 31 gennaio 2019 e resa nota il 1° febbraio 2019.
[2] Degli otto giudici componenti, quattro le donne e quattro gli uomini.
[3] Organismo nazionale consultivo indipendente che ha il compito di tutelare i diritti delle donne e di promuovere l’eguaglianza tra i sessi.
[4] Va detto che anche l’attuale governo, presieduto dal Primo Ministro Edouard Philippe, condivide in toto la “filosofia” della legge del 2016. Come ha affermato in Senato il 23 gennaio 2019 Marlène Schiappa, segretaria di Stato con competenze in materia di parità tra donne e uomini, il governo ha fermamente difeso la costituzionalità della legge nel corso delle audizioni davanti al Conseil Constitutionnel.
Sentenza completamente priva di fondamento sui diritti umani, sulla logicità e sulla dignità democratica. Comunque, la battaglia in questione non è finita, visto che il Sindacato dei Sex Workers francesi ha impugnato questa pronunci alla Cortè Europea dei Diritti dell’Uomo.
Lei forse non ha letto bene. I diritti umani di cui lei ” soggettivamente ” parla in tema di prostituzione sono diritto oggettivo e non soggettivo come lei pensa. Il legislatore su questo punto è stato esauriente. Altresì, è inappropriato, secondo me, che lei parli di dignità democratica poichè il legislatore ha specificato cos’è la dignità, ovviamente e proprio per logica, intrinseca a qualsiasi principio democratico in quanto diritto inalienabile e universale, ripeto, oggettivo. La sentenza della Corte Costituzionale francese ha considerato i diritti umani con logica e dignità democratica. Quindi lei cosa vuole adesso ? Appellarsi inutilmente ad un ” sindacato ” dei sex workers francese per, a spese dei contribuenti italiani ed europei, rivolgersi alla Corte dei diritti dell’ uomo, che emetterebbe analoga sentenza ? Come cittadino europeo avrei diritto a sapere, invece, da chi mai può essere composto ( se da finti sex worker, fake sex worker, operatori stipendiati, coordinatori retribuiti etc. ) un sindacato di questo tipo, e da chi o da quale organo viene eventualmente finanziato ?