Capita non raramente che la apparenza inganni. Così anche nella Chiesa può sembrare che sia un atto di “forza” chiedere che la tradizione venga rispettata, denunciando i cedimenti e le fragilità altrui. Anche il documento firmato dal card. Müller, che si intitola modestamente Manifesto della fede (qui), si propone retoricamente come un atto di forza e di coraggio, mentre è soltanto un forma debole e paurosa di arretramento di fronte alla realtà ecclesiale contemporanea. Già un altro cardinale, W. Kasper, ha provveduto a mettere in luce la parzialità e la fragilità del testo di Müller (rimando al suo testo tedesco qui) mostrando le citazioni incomplete e inesatte che l’autore propone dal CCC e che compromettono l’equilibrio del discorso in tema di ordinazione,
Qui vorrei limitarmi a mettere in luce un altro aspetto, che emerge dal testo di Müller, e che entra in aperta contraddizione con il testo di Amoris lætitia. Inizio col citare il testo in questione:
La S. Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (1324). Il sacrificio eucaristico, in cui Cristo ci coinvolge nel suo sacrificio della croce, è finalizzato alla più intima unione con Lui (1382). Per questo la Sacra Scrittura ammonisce riguardo alle condizioni per ricevere la santa Comunione: «chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore» (1Cor 11, 27), dunque «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione» (1385). Dalla logica interna del sacramento si capisce che i divorziati risposati civilmente, il cui matrimonio sacramentale davanti a Dio è ancora valido, come anche tutti quei cristiani che non sono in piena comunione con la fede cattolica e pure tutti coloro che non sono debitamente disposti, non ricevano la santa Eucaristia fruttuosamente (1457), perché in tal modo essa non li conduce alla salvezza. Metterlo in evidenza corrisponde a un’opera di misericordia spirituale.
Il testo di Müller continua a interpretare la condizione dei “divorziati risposati” secondo una prospettiva in cui la “condizione oggettiva” dei soggetti – ossia la loro posizione giuridica – si identifica immediatamente con la condizione ecclesiale. Non vi è rilevanza alcuna delle “condizione soggettive”, neanche nella forma che già Familiaris consortio aveva introdotto nel 1981. Addirittura si arriva a giudicare “oggettivamente infruttuosa” la ricezione dell’eucaristia.
Ciò contrasta apertamente e direi scandalosamente con il dettato esplicito di Amoris lætitia, che al n. 304 sembra prevedere esattamente la posizione espressa incautamente dal card. Müller, che viene fotografata e giudicata in questo modo:
È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. (AL 304)
Come è evidente, e come era apparso già in più di una occasione, G. Müller pretende di interpretare la tradizione secondo schemi vecchi, rigidi, incapaci di considerare l’evoluzione della storia, la coscienza dei soggetti e il discernimento ecclesiale. Sembra difficile dire, come qualcuno ha voluto insinuare, che queste posizioni non siano apertamente ostili al magistero recente. Certo esse manifestano una ostilità grave a tutto il cammino della Chiesa post-conciliare e bloccano ogni possibile sviluppo, identificando la tradizione con la stasi e con la paura del cambiamento. Esse mostrano anche una totale indifferenza verso la “esistenza concreta degli esseri umani” nel loro rapporto con la volontà di Dio. In questo loro tentativo maldestro di immunizzarsi dalla realtà, le parole del card. Müller appaiono, come dice AL, “meschine”, o, per usare il testo latino, “pusilli animi”, ossia frutto di animo debole e pauroso. Dietro una maschera di durezza, quanto espresso dal card. Müller tradisce una paura e una fragilità davvero preoccupanti, che non fanno onore né al pastore, troppo indifferente e insensibile, né al teologo, troppo rozzo e gravemente impreciso: infatti se come strumento del pensiero usi solo il martello, finisci per trattare tutte le questioni come se fossero chiodi. Così tutto risulta irrimediabilmente sfigurato. E la fede, anziché essere “manifestata”, viene “ridotta a manifesto”, a “slogan rassicurante”, ad “assicurazione sulla vita”. Persino il Catechismo vi appare irriconoscibile.
Pubblicato il 11 febbraio 2019 nel blog: Come se non.