Si può assimilarlo a una partita di calcio della coppa del mondo o d’Europa: Francia e Italia, faccia a faccia, in un delirio di insulti fra tifoserie avverse. Anche nel rugby i giocatori italiani ci tengono in ansia in quello che, grazie a loro, è diventato il torneo delle Sei Nazioni.
È facile l’elenco dei temi della discordia: immigrazione dai porti e dalle frontiere italiane; populismi alimentati dalle diatribe antieuropee; visita imprevista e nascosta di un dirigente politico italiano, L. Di Maio, che ignora la condizione di uomo di stato e la funzione di governo; richiamo dell’ambasciatore francese come se fossimo alla vigilia di un conflitto armato; polemica sul passato coloniale della Francia.
Comprensibile che le rispettive tribune mediatiche e il gioco delle polemiche abbiano preso il sopravvento sulle riflessioni sapienti dell’una e dell’altra parte. Nessuno sta vincendo la partita. È un cattivo gioco che non fa onore alla politica. E tuttavia è proprio l’amore alla politica che ha dato senso all’incontro delle due nazioni.
Noi francesi siamo nati da Roma, la Roma della Repubblica e dell’Impero, ben prima di riunirci attorno al trattato di Roma in Europa, la cui costruzione già avviata è una garanzia di pace per il mondo. Napoleone ha capito il genio romano che ha permesso alla rivoluzione di transitare dalla repubblica, dal consolato e l’impero, ma ha fatto l’errore di proclamarsi re d’Italia.
Il diritto romano rimane l’ossatura del diritto francese. La struttura delle nostre città e il tracciato delle nostre strade hanno il loro fondamento nella «pax romana».
Chi ricorda oggi che le ambasciate permanenti, cioè con scambio di residenze stabili, sono stati inventate dal re Francesco I e da papa Clemente VII? Alla fine degli stati pontifici il principio di uno scambio di residenze pagate in forma simbolica (un euro) si avvia con l’unificazione dell’Italia dopo la conquista di Roma e la sua qualifica di capitale nel 1870.
Partecipiamo allo stesso gioco politico con le sue passioni e la sua saggezza democratica… Ci scambiamo le cucine, i vini, lo stile elegante dei vestiti e delle arti.
Le nostre frontiere non sono mai state delle barriere, ma luoghi di passaggio. Le nostre culture si sono compenetrate perché la Francia ha cercato l’anima classica nella Roma antica e l’Italia si è talmente ispirata al gusto francese da inventare il nome del figlio di un mercante di tessuti di Assisi: «Francesco il poverello» come si dice anche in francese.
Il nome «Francesco» vuol dire «francese» nella lingua di Dante. È stato il più vicino a Cristo di tutti i santi e il più popolare degli italiani.
Francesco, un nome così francese e così italiano che un papa non italiano lo ha scelto, pur non parlando il francese!
Forse abbiamo trovato l’arbitro ideale di una partita il cui esito è la pace nel contesto della modernità e nel suo fragile destino storico, allarmata per i rischi di squilibri ecologici, avvertita dell’inevitabile deriva delle grandi migrazioni del futuro.
Un risultato di pareggio deve diventare una vittoria per le due nazioni, per l’Europa e per la pace nel mondo.
Hugues (Français, Marie-Joseph, sono i miei nomi allo stato civile) Derycke
Prete della Mission de France