Al Manifesto della fede del card. Müller ha risposto con un breve intervento critico il card. Walter Kasper: gli rimprovera di avere diffuso solo «mezze verità» e di avere seminato «confusione e divisione».
Senza dubbio il Manifesto pubblicato dal card. Gerhard Müller contiene molte affermazioni di fede che ogni cattolico sincero può solo accogliere di tutto cuore. Diverse di esse sono professate con tutto il cuore anche da molti cristiani evangelici. È bene ricordare queste verità fondamentali affinché non siano ignorate nei dibattiti attuali solo apparentemente più importanti. Fin qui, tutto bene.
Non va bene, invece, che alcune verità siano sottolineate in modo così accentuato da trascurare l’altra metà. Solo un esempio: è certamente vero che la professione di fede in Dio uno e trino costituisce una differenza fondamentale nella fede in Dio e nell’immagine dell’uomo rispetto alle altre religioni. Ma non esistono forse anche delle verità comuni soprattutto con gli ebrei e con i musulmani nella fede nell’unico Dio? E queste verità comuni non sono forse, tanto più oggi, fondamentali per la pace nel mondo e nella società? La mezza verità non è la verità cattolica!
In altre parti, ci sono delle affermazioni generalizzate che così come sono espresse non stanno in piedi; per esempio quando è detto che la coscienza dei fedeli non è sufficientemente formata. Un’affermazione così generalizzata è offensiva per molti fedeli. E cosa diranno molti pensando ai preti accusati di abusi? La loro coscienza è forse sufficientemente formata? Più ancora, cosa proveranno le vittime degli abusi di fronte ad un’affermazione così generica come «il sacerdote continua l’opera di salvezza sulla terra»? La giusta differenza fa il teologo.
In altre parti, non si tratta di un Manifesto della fede, ma di un manifesto che esprime una convinzione teologica privata, che non può essere universalmente vincolante.
Ancora un esempio: il Manifesto, per affermare che i divorziati civilmente risposati e i cristiani non cattolici non possono ricevere fruttuosamente l’eucaristia, si richiama al n. 1457 del Catechismo della Chiesa cattolica. Ho consultato due volte la fonte, ma la frase in questa forma lì non l’ho trovata. E non conosco nessun’altra affermazione dogmatica vincolante in cui la questione viene espressa in questa forma.
Inoltre, il Manifesto parla di divorziati risposati il cui primo matrimonio «esiste davanti a Dio». Perciò suppone chiaramente che ci siano anche coloro per i quali il primo matrimonio non esiste davanti a Dio. Chi può deciderlo e cosa fare con queste persone?
Anche per quanto riguarda la disciplina ecclesiastica del celibato si fa riferimento al n. 1575 del Catechismo, purtroppo in maniera imprecisa. Nel numero citato c’è la parola «normalmente» che il Manifesto ignora. In realtà, ci sono nella Chiesa cattolica dei preti che sono sposati: nelle Chiese orientali in comunione con Roma, i pastori ex-evangelici, o – come ha disposto recentemente Benedetto XVI – presbiteri ex-anglicani. Anche se personalmente sono convinto che si debba ripensare e approfondire il significato del celibato volontario dei sacerdoti, non può essere proibita almeno la discussione sui viri probati.
Sono rimasto profondamente sconcertato quando ho letto, verso la fine del Manifesto, dell’«inganno dell’Anticristo». Ciò richiama quasi alla lettera l’argomento di Lutero. Anche Lutero, a suo tempo, aveva criticato giustamente molte cose nella Chiesa. Ma l’accusa di Anticristo – come dicono attualmente anche i nostri partner di dialogo luterani – già allora era inappropriata.
Si nasconde un Lutero redivivo dietro al Manifesto? Uno che giustamente si impegna per le riforme nella Chiesa, ma le vuole imporre scavalcando il papa o mettendosi contro di lui? Non lo voglio credere. Ciò infatti potrebbe solo generare confusione e divisione; e finirebbe con lo scardinare la Chiesa.