P. Zollner: convocati per la protezione dei minori

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Si apre domani in Vaticano l’incontro sulla protezione dei minori nella Chiesa (21 – 24), a cui parteciperanno tutti i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo, i capi delle Chiese orientali, unite a Roma, i leader dei principali dicasteri vaticani e i superiori maggiori degli Ordini e Istituti religiosi. P. Zollner, gesuita, nell’intervista qui riportata, rilasciata a Roland Juchem per l’agenzia KNA il 6 febbraio scorso, e in altre sue dichiarazioni al quotidiano Suddeutsche Zeitung, il successivo 16 febbraio, descrive il significato e la portata di questo incontro. Il padre è professore ordinario e preside dell’Istituto di psicologia presso l’università Gregoriana di Roma. Nel 2018, papa Francesco lo ha nominato membro, per un secondo mandato, della Commissione pontificia per la protezione dei minori; ha cooperato anche alla preparazione del vertice dei vescovi.

– Padre Zollner, il titolo ufficiale del vertice è molto lungo. Come potrebbe esprimerlo più in breve?

«Incontro per la protezione dei minori nella Chiesa». Chiedo di evitare assolutamente l’infelice espressione «vertice sugli abusi».

– Verranno tutte le persone che il papa ha convocato?

Quasi tutti quelli che sono stati invitati vi hanno aderito. Uno o due non vengono per motivi di salute. Se qualcuno ha un sostituto, lo invia; ma alcuni vescovi non lo possono designare perché non appartengono a nessuna conferenza episcopale.

– Come percepisce le aspettative dei media?

L’interesse spazia dall’approvazione e dal sostegno al dubbio, al rifiuto e allo scetticismo. Questa diversità è l’espressione realistica dei differenti punti di vista e dei desideri che ognuno coltiva. A mio parere, è anche l’espressione di un giustificato interesse «più ampio» circa il futuro della Chiesa, perché vuol dire che uno riconosce o s’immagina che la Chiesa ha o potrebbe avere un ruolo importante in questo mondo. Comprendo anche le critiche che vengono fatte. Si dice a ragione: se uno ti critica, vuol dire che non ti ha lasciato.

– Quali sono le aspettative realistiche?

Irrealistico sarebbe, in ogni caso, credere che, con un incontro come quello di febbraio, l’argomento dell’abuso sia sbrigato una volta per sempre. Spero vivamente, tuttavia, che quanto viene dibattuto e trattato a Roma, venga riportato, attraverso i partecipanti, nelle locali; che coloro che vi prendono parte assumano in proposito le loro responsabilità di governo; che si faccia chiarezza sugli strumenti necessari che devono essere poi utilizzati. Soprattutto, mi auguro che la riunione di febbraio non sia considerata l’ultima del genere.

– L’esito dell’incontro sarà decisivo anche per il pontificato di questo papa?

Come sempre avviene, una seria decisione di un’epoca di governo non dipende da un singolo fatto o avvenimento. È indiscutibile che, per la Chiesa, un’appropriata gestione degli abusi costituisce un problema chiave nell’ambito della sua responsabilità. Ma già fin d’ora dev’essere chiara una cosa: il pontificato di papa Francesco è uno di quelli in cui vengono affrontati e discussi apertamente problemi difficili, anche se la loro gestione non sarà ancora terminata alla conclusione di questo pontificato.

– Questo tema degli abusi è sfruttato da alcuni contro Francesco, come alcuni dicono?

Sì, certamente. Ci sono delle persone a cui questo papa non piace, per una serie di ragioni, e a questo scopo si servono di ogni osservazione e di ogni argomento. Non credo che il tema degli abusi sia diverso dagli altri.

vaticano protezione minori

– Lei ha ripetutamente affermato che la percezione sul piano mondiale del significato del problema è diversa. Dove è maggiore e dove lo è meno?

Primo: la consapevolezza e l’impegno nei problemi riguardanti la lotta contro gli abusi continuano a crescere, sul piano mondiale. Secondo: effettivamente, esistono grandi differenze. In ogni paese si trovano delle persone che sono molto più avanti e altre che non fanno niente. Non ho l’impressione che si operi attivamente in senso contrario. La consapevolezza di questo problema nell’insieme della società e in quella esistente nella Chiesa si intrecciano tra loro.

Nelle diverse culture ci sono modi differenti di comprendere concetti come vicinanza e distanza, sessualità, violenza, infanzia o autorità e potere. Ciò influisce molto se e come le misure contro l’abuso possono essere efficaci. Inoltre, in una Chiesa perseguitata diventa più difficile potersi occupare di problemi interni rispetto ai luoghi dove la Chiesa è – ancora – accettata e apprezzata. Ciò non dev’essere una scusa per le omissioni, ma dobbiamo capire come poter intervenire in maniera appropriata. In tutte le parti del mondo ci sono altri problemi – come i bambini soldato, povertà dell’infanzia, lavoro minorile e cose del genere. In alcuni paesi africani si ritiene che la violenza sessuale debba essere considerata in un contesto di violenza più ampio.

– Lei ha recentemente annunciato che, durante l’incontro, i vescovi dovrebbero proporre la creazione di una «Task-Force». Come dovrebbe essere un gruppo di intervento di questo genere?

Ho delle idee, ma prima devono essere presentate e discusse. A mio parere, ci dovrebbero essere delle Task Forces regionali, con competenze per i continenti o le regioni. I team potrebbero essere costituiti da tre a cinque persone che vanno in giro, portando con sé l’esperienza in diversi settori – teologia, psicologia, diritto – e che cercano di informarsi e discernere cosa fare.

– Le pene canoniche dovrebbero essere più severe per i colpevoli?

La pena comune è la più severa che possa essere inflitta a un prete: la dimissione dallo stato clericale. Le altre punizioni dipendono dalla gravità del reato, ma la maggior parte vengono archiviate. La Chiesa non ha delle prigioni e non dispone di altri strumenti punitivi. Ciò è compito dello Stato.

– Quanto giova rendere noti pubblicamente i nomi di persone, in particolare di vescovi, che sono venuti meno al loro dovere di far chiarezza?

È una situazione spinosa. È difficile parlare di persone che si ritiene abbiano occultato l’abuso, ma che non possono più difendersi perché sono morte. Per molte vittime tuttavia è un passo importante sapere che vengono resi pubblici nomi concreti di persone che hanno causato loro del male.

– Finora si tratta spesso di abusi sui minori. Con la “Causa McCarrick” (dimesso anche dallo stato clericale il 13 febbraio scorso, ndtr) l’attenzione si è incentrata anche sui seminaristi maggiorenni, ma ancora dipendenti. Raramente le suore riferiscono di essere state vittime di abusi clericali. Prima o poi si presenterà anche il problema delle donne colpevoli di abusi. Come continuerà a svilupparsi questo problema?

Il recente ritiro di una suora americana da una scuola superiore in cui svolgeva la sua attività, ma anche il caso di cui hanno parlato i media di un vescovo dell’India che ha abusato di una suora hanno messo in luce il fatto che il problema non può ridursi soltanto ai preti che hanno commesso abusi sui minori. Il fenomeno abusi non si limita soltanto all’ambito sessuale, ma può abbracciare anche quello spirituale. Papa Francesco ne ha parlato chiaramente quando ha detto che «abuso sessuale, abuso di coscienza, abuso di potere» vanno spesso di pari passo. Sarà compito dei prossimi anni indagare e occuparsi più esattamente di questo problema.

vaticano minori

Padre Zollner, una decina di giorni dopo questa intervista, ha dichiarato al quotidiano Süddeutsche Zeitung (16 febbraio) che il vertice dei vescovi che sta per iniziare può provocare «una slavina che non potrà essere fermata» perché «quanto sarà trattato a Roma si estenderà alle Chiese locali di tutto mondo».

Gli studi sulla violenza sessuale nella Chiesa – ha sottolineato – consentono di concludere che dietro a questi fatti «c’è l’eccessiva esaltazione del ruolo del prete in cui la persona scompare completamente dietro all’ufficio».

Anche l’età media dei colpevoli consente di trarre alcune conclusioni: l’età è di circa 39 anni, vale a dire che passano 10/15 anni dopo l’ordinazione prima che vengano commessi questi i crimini. Ciò significa che i reati, in gran parte, non hanno niente a che fare con una pedofilia fissa, ma con il sovraccarico di lavoro, la frustrazione, la solitudine.

Il fatto, infine, di attribuire la colpa al celibato – secondo Zollner – è troppo semplice. Tuttavia, la Chiesa dovrebbe riflettere di nuovo sulla formazione dei candidati a una vita celibataria e sul modo di come vivere una sessualità matura.

Il gesuita rifiuta anche la tesi secondo cui ci sarebbe un collegamento tra abuso e omosessualità. «Ed è sbagliata – ha aggiunto – anche la convinzione che basterebbe allontanare dalla Chiesa tutti i preti omosessuali per far scomparire il fenomeno degli abusi».

Ma bisogna anche porsi in maniera nuova il problema di come noi di solito parliamo della sessualità, come la valutiamo e l’affrontiamo – non solo in relazione all’abuso. Qui – ha concluso – arriviamo a un «ganglio vitale».

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