Il 19 giugno, Pentecoste, la Chiesa Ortodossa, a Creta, inaugurerà i lavori, che dureranno 15 giorni, del Santo e grande sinodo, (SGSChOr) da tanto tempo desiderato. Le prime discussioni per la possibilità di un tale evento ecclesiale si erano già tenute negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Per giungere a questa data benedetta ci sono state quattro conferenze panortodosse: 1961, 1963, 1964, 1968, e cinque conferenze panortodosse prosinodali: 1976, 1982, 1986, 2009, 2015. Vi hanno lavorato cinque patriarchi: Gioacchino III, Meletio IV Athenagora, Demetrio e Bartolomeo, insieme con una moltitudine di metropoliti, preti e laici e professori universitari di teologia.
Più la data si avvicina più le discussioni sono accese e serrate nei circoli ecclesiastici. Le opinioni spaziano su tutti i fronti. Si discute sull’opportunità di tale convocazione, sui temi da affrontare, sulle modalità di convocazione, sulla procedura di formazione delle delegazioni delle Chiese, escludendo la convocazione di tutti i vescovi per il suo costo, e su come finanziare l’evento; non mancano le allusioni politiche e nazionaliste ecc.
Sulla la necessità e l’opportunità della convocazione
Gli ambienti più rigidamente conservatori non vedono né la necessità né l’opportunità della convocazione. Niente di nuovo: anche per la Chiesa cattolica, alla vigilia della convocazione del Vaticano II, gli ambienti cattolici paralleli erano dello stesso parere.
Il metropolita di Pireo – in una giornata teologica tenutasi nella sua metropoli, in una sala del palazzetto dello sport di Faliro, in presenza di altri metropoliti, professori universitari e tanta gente – si chiedeva cosa fosse cambiato negli ultimi anni da richiedere la convocazione di un Sinodo; riprendeva l’opinione di un santo serbo – s. Giustino Popovitz (1971) – e diceva: «Personalmente non vedo nelle presenti circostanze la necessità impellente di convocare un Sinodo ecumenico. Ma anche se esistesse io credo che il momento presente sia il meno adatto nella storia della nostra Chiesa». In più, tutto quanto riguarda i temi che verranno trattati è già stato fissato nei canoni degli apostoli e dei padri e maestri della nostra santa Chiesa.
Egli riportava anche il parere di un professore universitario della facoltà teologica di Atene, l’ultra conservatore padre Giorgio Metallinos, che presiedeva quel meeting e che aveva scritto: «Si prepara un Sinodo, come leggiamo e come vediamo, per condurci ad accettare il papismo e il protestantesimo, come autentica espressione di cristianesimo, e questo è tragico. Prego che questo non accada. Purtroppo però le cose sono state spinte in questa direzione. Allora, se e quando si riunirà tale Sinodo pan-ortodosso, perché gli sia riconosciuto carattere ecumenico devono prima essere annoverati tra i sinodi ecumenici anche l’VIII e il IX; se non lo si farà allora sarà uno pseudosinodo».
Si criticano inoltre aspramente, come inauditi e non previsti dalla tradizione conciliare della Chiesa, due aspetti: a) che ogni Chiesa sia rappresentata da 24 vescovi più il loro primate. È anticanonico il modo di selezionare un numero ristretto di vescovi e non tutti, e avere come criterio le loro competenze scientifiche; b) che siano chiamati degli osservatori a partecipare ai lavori. Questa pratica è un’invenzione introdotta dai due pseudosinodi papisti. Come può la nostra unica e vera Chiesa copiare una pratica papista, anzi come si può ancora sopportare e riconoscere carattere ecclesiale a quella «configurazione» che sono gli uniati?
Molti hanno ancora riserve sul fatto che le Chiese ortodosse locali siano rappresentate da delegazioni e non da tutti quelli che esercitano la «paternità» del vescovo. Secondo loro, il principio della rappresentanza per delegazione è estraneo al sistema sinodale della Chiesa. Nel Sinodo non parlano gli esperti, non si dibattono idee, non si propongono dei pareri. Si espongono esperienze e la loro verità è giudicata dal criterio di essere comunicate e condivise da tutti, come argomenta il prof. Ghianaras. L’esperienza sinodale della Chiesa ha dimostrato che argomenti brillanti di famosi patriarchi e vescovi sono stati oscurati dalla testimonianza di un vescovo insignificante sia come persona, sia come sede, sia per l’argomentazione. Il prof. Ghianaras propone ancora che nel Sinodo non si discuta tanto su come accordare l’autonomia a una Chiesa ecc., ma ci si concentri piuttosto sul suo fondamento e sul contenuto teologico, ecclesiologico e storico e su come funzioni in pratica e possa essere celebrata la sinodalità; su cosa significhi e implichi oggi l’istituzione Patriarcato. E ancora, sul vero contenuto del termine «salvezza» e se essa sia acquisizione e abilità personale, oppure il risultato di uno stile di vita comunionale ecclesiale.
Favorevoli e contrari
Le opinioni favorevoli alla convocazione e celebrazione del Sinodo partono dalle ragioni stesse dell’esistenza della sinodalità, la quale è espressione sostanziale della Chiesa come comunione eucaristica. Ad essa prepara e mira alla costruzione del corpo della Chiesa. Il Sinodo è una liturgia che rende possibile la presenza dello Spirito Santo, che con la sua ispirazione facilita sia la precisazione della terminologia teologica sia la rimozione delle possibili devianze ed errori. Per questo i rappresentanti delle Chiese devono creare isichia (pace, quiete, serenità) per sentire ciò che lo Spirito dice alle Chiese. I membri del Sinodo devono mantenersi lontani da giudizi nazionali o di parte, personali o di gruppo. Allora è il Sinodo a determinare le frontiere della comunione o della non comunione, e non voci singole o determinati circoli ecclesiastici.
Mons. Crisostomo Il, metropolita di Messinia, Sud Ovest del Peloponneso, professore di teologia alla Facoltà di teologia dell’Università statale di Atene, vede l’utilità del Grande sinodo in due direzioni: a) verso l’esterno, per dare finalmente una testimonianza di unità tra le Chiese ortodosse in un tempo nel quale le tensioni separatiste tendono a essere la norma; b) verso l’interno, per dare l’opportunità alle Chiese di dialogare tra di loro sul modo con cui affrontare i problemi comuni ed elaborare possibili soluzioni in comune, dato che – come disse san Giovanni Crisostomo – «il nome di Chiesa è sinonimo di sinodo e accordo».
Qui il metropolita tocca il grande problema della diaspora e della mentalità «etnofiliaca» (il fatto che ogni realtà nazionale sia autonoma e sia presente con un vescovo in ogni luogo dove esiste un certo numero fedeli della stessa espressione linguistica, nazionale, rituale e culturale. Se in un citta ci sono molte nazionalità, possono esservi tanti vescovi, a volte non in comunione tra loro). Malgrado tale pratica fosse stata condannata sin dal 1872 dal Patriarcato ecumenico, ha preso il sopravvento ed è oggi causa di tanti problemi tra le Chiese nazionali ortodosse.
Tanto per capire la vastità del problema, tra il Patriarcato ecumenico e il Patriarcato di tutte le Russie vi sono attriti e tensioni, perché la Chiesa nazionale dell’Estonia, dopo il crollo dell’URSS, si è sottratta al Patriarcato di Mosca per ragioni ovviamente nazionali. Non solo, si è dichiarata autonoma rispetto alla paternità del Patriarcato ecumenico, cosa che il Patriarcato ecumenico ha accettato. Il Patriarcato di Antiochia è ai ferri corti con il Patriarcato di Gerusalemme, perché quest’ultimo ha istituito una sua metropolia e delle parrocchie in Qatar, paese che ricade di per sé sotto la giurisdizione del primo. Nell’Europa occidentale esiste una selva di metropolie nazionali ortodosse, diverse per nazione e per obbedienza, che si accusano l’un l’altra. Nella sola Parigi, ad esempio, hanno sede qualcosa come 12 metropolie nazionali, con relative parrocchie, e molte non sono in comunione tra loro. L’Ucraina ha tre diverse obbedienze a Chiese ortodosse nazionali, una delle quali è di obbedienza moscovita (vedi Chiese in Ucraina).
Il Patriarcato di Mosca, seguendo un certo spirito zarista e neozarista putiniano, aspirava e tuttora aspira a un certo primato tra le Chiese ortodosse, identico a quello del Patriarcato ecumenico (vedi anche la teoria della Terza Roma). Il Patriarcato ecumenico ha problemi con la Chiesa di Grecia a causa dell’amministrazione delle metropolie della Grecia del Nord. Il Nord della Grecia era stato inglobato nella Grecia dopo il 1912. Ecclesiasticamente era area del Patriarcato; dopo diverse vicissitudini, nel 1928, sono state cedute all’amministrazione della Chiesa di Grecia. Gli ultimi attriti sono sorti per il fatto che il Patriarcato, esercitando la sua paternità, ha voluto includere nella sua delegazione per il Sinodo anche uno dei loro metropoliti della Macedonia. È inutile dire che la situazione di tutte le Chiese divenute autonome, almeno nei Balcani, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento era dolorosissima. Esse vedono dunque nel Sinodo una grande e unica occasione di affrontare e risolvere i tanti problemi, per costruire finalmente una solida base di sinodalità secondo quella che fu l’esperienza dei primi secoli.
Il metropolita di Messinia sostiene anche che in questo periodo vige nella Chiesa ortodossa, e specialmente negli ambienti tradizionalisti e benpensanti, una specie di guerra fredda con l’Occidente, dovuta all’idealizzazione di un presunto modo di vivere orientale unito a una «sindrome fobica» nei confronti di un modello di vita occidentale, quasi demonizzato. L’Ortodossia è il «solo, unico, esclusivo popolo eletto di Dio», «l’unica vera nazione santa»; tutti gli altri, e soprattutto gli occidentali, si sono staccati dalla vera Chiesa (l’Ortodossa), e quindi non hanno posto nella salvezza. Di conseguenza, essi sono da rigettare e condannare, e si deve escludere ogni contatto con loro. Si cerca quindi di costruire intorno alla Chiesa ortodossa, come loro la intendono, delle fortezze protettive.
Questa posizione è più evidente nelle Chiese dell’Europa orientale, ma la stessa mentalità viene importata anche in Grecia. Tutti costoro ritengono che il Sinodo sia un veicolo per far passare un modo di vita occidentale anche nell’Oriente ortodosso, e così occidentalizzare anche la Chiesa alterandone la vita. Cercano perciò di impedire tale occidentalizzazione, contrastando qualunque idea giudicata non tradizionalmente ortodossa, senza disdegnare di allearsi anche con forze di dubbia connotazione.
Ma così facendo è come se negassero la natura delle Chiese come comunione dialogica.
Così si entra a fondo nel problema dell’ecumenismo e del dialogo ecumenico, che i tradizionalisti considerano come la summa delle eresie. Loro sostengono che l’unica vera Chiesa di Cristo sia la Chiesa Ortodossa; pertanto, gli altri «cosiddetti cristiani» di ogni denominazione devono fare ritorno a essa. Il problema, casomai, è se per accettarli basti la sola crismazione, oppure debbano essere ribattezzati.
Sino ad oggi la Chiesa ortodossa non ha espresso una posizione unitaria. Il Sinodo è forse l’occasione buona per costruire una solida base che possa determinare sufficientemente cosa sia sostanziale e cosa secondario nei temi in discussione: la sostanza e la forma, lo Spirito e la lettera, quello che vale per sempre e dappertutto e quello che vale protempore per un certo luogo e tempo. In poche parole, i problemi relativi ai principi dell’economia, dell’epikeia e dell’akribeia (esattezza e fedeltà). In particolare, nelle relazioni con le altre Chiese, con le altre confessioni, con il Consiglio ecumenico delle Chiese e con le altre religioni. E questo è grave perché le Chiese ortodosse non hanno elaborato una posizione unitaria circa «lo status ecclesiale delle altre Chiese non ortodosse».