Buon 8 marzo a tutte le donne che si trovano in Italia.
Fare gli auguri alle donne, in realtà, vuol dire rivolgerli all’intera comunità nazionale. Perché la componente femminile è parte, oltre che essenziale, decisiva della nostra società.
Per questo, l’8 marzo si celebrano valori di fondo della nostra vita in comune. Valori che recano il segno delle conquiste realizzate, spesso con fatica e tra molte difficoltà, dalle donne. La condizione femminile è uno di quegli elementi che attestano il grado di civiltà raggiunto da un Paese.
So che diverse donne non amano parlare, in questa giornata, di “festa della donna”. L’8 marzo è, difatti, soprattutto un giorno di responsabilità e di impegno, come ha messo bene in luce Nicole Grimaudo, nella sua coinvolgente conduzione di questo incontro.
Ancora tante donne trovano ostacoli nel dispiegare il proprio talento, sono minacciate da condizioni di indigenza, oppresse da forme di violenza, sono gravate da pesi supplementari, talvolta difficilmente sostenibili, tra il lavoro e la cura della famiglia, sono sottopagate o escluse da un’occupazione stabile benché capaci e meritevoli.
Tutti gli indicatori concordano sul dato che il progresso economico e sociale di un Paese va di pari passo con lo sviluppo dell’occupazione femminile. Quest’anno abbiamo scelto come tema dell’8 marzo quello delle donne rese schiave e costrette a prostituirsi.
Si tratta di uno sfruttamento ignobile a danno di donne, spesso minorenni, provenienti dalla povertà più estrema, da contesti di guerra, da terre aride, che finiscono nelle reti di crudeli trafficanti di persone. Si tratta, in gran parte, di organizzazioni criminali senza scrupoli, di mafie trasnazionali che lucrano sul corpo e sull’animo delle donne; e che non esitano a ricorrere alle minacce, alla violenza e alla coercizione più brutale.
Rivolgo i miei auguri e i complimenti a Stefania e a Hope per la loro coraggiosa e sofferta testimonianza. Sono molto lieto – e orgoglioso – della loro presenza al Quirinale. Dai loro terribili racconti, per fortuna a lieto fine, abbiamo ascoltato, ancora una volta, come questo turpe fenomeno non risparmi l’Italia. Ne hanno parlato, con puntualità e passione, Anna Pozzi e Lina Trovato.
Lo sfruttamento sessuale delle donne è una pratica criminale purtroppo diffusa. È bene chiamare questa condizione con il nome appropriato: schiavitù. Si tratta dell’infame schiavitù del nostro secolo. Non dovrebbe essere necessario – ma lo è, malauguratamente – ribadire che la civiltà non potrà mai convivere con la schiavitù. Dove questa sussiste, la civiltà è negata.
Nessun compromesso è accettabile. Nessuna tolleranza può essere mascherata da realismo o da opportunismo. La tratta va sradicata. Colpendo chi controlla il traffico delle schiave costrette a prostituirsi. Stroncare il traffico è compito delle forze di polizia, dei magistrati, delle istituzioni nazionali e degli organismi internazionali. Ma tutta la società civile è chiamata a fare la propria parte, agendo con responsabilità e coerenza morale. Nessuno può restare indifferente.
Contrastare la tratta vuol dire sottrarsi a ogni complicità con le organizzazioni criminali e prosciugare le aree grigie. Vuol dire spezzare il legame di protezione che, purtroppo, si crea tra la vittima e i suoi aguzzini. Significa che tutti devono aprire gli occhi su una cruda realtà: la domanda di prostitute schiave è alimentata da comportamenti di uomini delle società più prospere.
Da uomini, di ogni età e censo, che approfittano di queste povere donne, indifferenti davanti alla violenza, alla riduzione in schiavitù, spesso anche di fronte alla minore età palese delle ragazze. È un fenomeno diffuso, che, in realtà, esprime una acquiescenza se non una tacita ma concreta connivenza con il crimine.
Abbiamo esempi di straordinario valore civile che vengono da associazioni, da volontarie e volontari, che ho avuto più volte l’opportunità di incontrare e incoraggiare. Lavorano, insieme alle forze dell’ordine, alla magistratura, per i programmi di recupero – e le iniziative di accoglienza – che consentono alle donne di uscire dalla condizione di schiavitù. È un compito difficile ma prezioso, perché spesso le donne schiavizzate sono minacciate di violenze o di ritorsioni nei confronti delle loro famiglie.
Donne terrorizzate, rese ancor più vulnerabili dal giogo della malavita, possono ricostruire la propria dignità attraverso un percorso di integrazione, che apra le porte di un lavoro e di una casa, che restituisca umanità alle relazioni personali. Per fare questo c’è bisogno di istituzioni solide, ma anche di una cultura di comunità che sia più forte degli egoismi e dei timori del nostro tempo.
Poc’anzi Simona Severini, interpretando con tanta efficacia, la canzone di Lucio Dalla ci ha ripetuto le sue parole: “Aspettiamo senza avere paura, domani”. Le donne – italiane e di ogni parte del mondo – ci hanno insegnato molto. La libertà personale è condizione di una vera parità. E la parità è la sola leva che può far crescere la società in modo accettabile, sostenibile. Ci sono lezioni del passato su cui è opportuno meditare.
Sessantuno anni fa, una legge dello Stato, promossa da una senatrice, partigiana e costituente, dichiarò fuorilegge lo sfruttamento della prostituzione. Dovette lottare, in Parlamento e fuori da esso, contro pregiudizi e stereotipi inaccettabili, duri a morire. Vi erano parlamentari che sostenevano persino che alcune donne nascevano prostitute e pertanto non sarebbero mai cambiate.
Quella legge fu una tappa importante nel cammino di liberazione della donna. Oggi quella senatrice, Lina Merlin, sarebbe in prima linea contro la tratta di questo nostro tempo. Bisogna andare coerentemente avanti: contro tutte le forme di sfruttamento e violenza nei confronti delle donne, in qualsiasi campo e settore della vita familiare e sociale.
L’apporto delle donne alla crescita civile, culturale, sociale, economica del nostro Paese è stato immenso. Ma ancora oggi paghiamo storture e disparità che, penalizzando le donne, ci penalizzano come società. È nostro compito costante rimuovere gli ostacoli che – come ci ricorda la Costituzione -, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo di ogni persona umana. Sul mercato del lavoro le condizioni delle donne italiane sono ancora critiche e il tasso di occupazione femminile è insoddisfacente, soprattutto se paragonato agli altri Paesi europei.
Tanti positivi progressi sono stati compiuti, ma la scarsa condivisione del lavoro di cura in famiglia e il permanere di alcune rigidità nei ruoli domestici, restano tra le cause delle difficoltà di accesso delle donne al mercato del lavoro. Sono dunque necessarie politiche pubbliche volte ad ampliare la base occupazionale, ma avvertiamo anche il bisogno che la crescita culturale continui; e che si rimuovano antichi pregiudizi.
Forme di sfruttamento, talvolta subdole, si annidano nelle rigidità sociali. Quando rallenta, o si arresta, l’ascensore sociale – e questo accade in grande misura nei periodi di crisi economica – sulle donne ricade spesso uno svantaggio ulteriore, negando opportunità soprattutto alle donne meno istruite e meno abbienti. Lo stesso tema delle diseguaglianze salariali – ingiustificabili ma tuttora presenti in misura rilevante – riguarda maggiormente proprio le donne in difficoltà e con più bassi livelli di istruzione.
Superare gli squilibri e le condizioni di sfruttamento, liberare la società da barriere e pregiudizi, fermare le violenze sulle donne sono le premesse per progettare insieme un mondo più giusto di donne e di uomini liberi. La violenza contro le donne è, secondo l’Onu, una delle più grandi e diffuse violazioni dei diritti umani. Non possiamo continuare ad assistere alla violenza nelle case e nelle strade.
Ancora ieri, nel nostro Paese, sono state assassinate due donne – Alessandra e Fortuna – vittime di una violenza prodotta da distorte e criminali mentalità di possesso e dominio. È necessario educare, prevenire, organizzarsi, offrire aiuto, mettere in campo reti e strumenti di contrasto che consentano alle donne, soprattutto alle più vulnerabili, di non sentirsi più sole davanti alle minacce.
Nel nostro Paese ci sono risorse civili e morali in grado di continuare il percorso della libertà, della parità, della differenza che arricchisce la nostra comunità. L’8 marzo ci ricorda che le donne sono protagoniste preziose e imprescindibili per progettare i tempi nuovi che ci attendono. Auguri!
Palazzo del Quirinale, 08/03/2019