In questi mesi ricorre spesso la frase che risuona talora come una minaccia: «Ridotto allo stato laicale». Sarebbe più esatto nei casi in cui questo avviene dire: «Dimesso dallo stato clericale». Nella conferenza da me tenuta a Vische il 9 Marzo 2019 su invito di un gruppo di laici che si riunisce attorno a Mons. Bettazzi, ho offerto degli stimoli per pensare e sperare in un momento certo difficile, ma non disperato.
Si moltiplicano gli attacchi contro papa Francesco accusato di adottare una «strategia del silenzio» come tattica per stravolgere i fondamenti della vita della Chiesa. Al contrario, papa Francesco non fa altro che “ridurre” nel senso di ripristinare la Chiesa al suo mistero di sacramento della compassione di Dio per l’umanità.
Le accuse contro papa Francesco di sottrarsi al confronto e di cercare di far passare sottobanco una sorta di distruzione della Chiesa, sono infondate. Basta rileggere con attenzione il discorso dell’11 Ottobre 2017 in occasione del XXV di pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica.
In realtà, coloro che accusano papa Francesco di non rispondere sono proprio quelli che non ascoltano. La confusione tra il legittimo disappunto e il sofferto malessere per il cammino che la Chiesa sta vivendo da settant’anni e l’accusa a papa Francesco di barare rischia di essere non così in buona fede. La firma del «Documento sulla fratellanza umana» a Abu Dhabi lo scorso 4 Febbraio non è certo così estraneo al «Manifesto della fede» del cardinal Müller del 10 Febbraio.
L’insistenza sulla conservazione si scontra certo con l’attitudine di papa Francesco che crede fermamente nel dovere della Chiesa di non «umiliare lo Spirito Santo» e di lasciarsi guidare e perfino destabilizzare dalla sua energia creativa. La domanda per la Chiesa in cui viviamo è esigente: abbiamo nostalgia di noi stesso o del Regno di Dio che viene e nessuno sa «come» (Mc 4, 27).