«Di solito un sinodo si fa alla fine di un ministero episcopale quasi per raccogliere i frutti. E se, invece, lo facessimo all’inizio, per lavorare tutti insieme nella vigna del Signore, non potremmo forse sperare in un raccolto abbondante irrorato di grazia?». Così il vescovo Franco Giulio Brambilla spiegava, ad apertura del percorso, il perché dell’indizione di un sinodo diocesano, chiamato a rinnovare la Chiesa novarese, nell’organizzazione e nello stile pastorale.
Il cammino del 21° sinodo diocesano è incominciato due anni fa, con l’annuncio solenne dato dal vescovo in cattedrale durante la messa crismale del giovedì santo del 2014 e la celebrazione di apertura tenutasi durante la veglia di Pentecoste dello stesso anno.
Nel decreto di indizione mons. Franco Giulio Brambilla spiegava la necessità del sinodo: «Affinché la nostra Chiesa viva un periodo di intenso discernimento su ciò che deve essere intrapreso per rinnovare un’azione pastorale più missionaria di fronte alle sfide future per annunciare il Vangelo in modo nuovo e sognare la Chiesa “in uscita” verso la vita delle persone e della società».
Due anni di lavoro intenso, che si è articolato in 11 assemblee plenarie (la prima, sabato 13 settembre 2014; l’ultima, sabato 12 marzo 2016).
A scandire il ritmo sono stati i cinque verbi del “generare” indicati da mons. Brambilla proprio nell’omelia del giovedì santo del 2014.
Il primo è quello del Desiderare: è stato il momento dell’espressione delle «priorità, sensibilità e stile che devono incarnare le scelte pastorali del futuro: sia per quanto riguarda le persone, sia per quel che riguarda le strutture». La fase in cui riflettere sul «sogno della Chiesa di domani».
Poi il Concepire: l’obiettivo è stato quello «di concretizzare i sogni, i desideri e le idee condivise nei primi mesi». Questo punto generale è declinato in tre obiettivi specifici: «Il nuovo volto della parrocchia in relazione alle Unità pastorali missionarie (Upm); Il senso, i compiti e la struttura delle Upm; Il ministero del prete e le nuove figure di ministeri».
Il terzo è stato Mettere al mondo. Ha avuto il focus puntato su due ambiti strategici della vita della comunità: la pastorale giovanile e la pastorale familiare nelle Upm.
Queste prime tre fasi hanno segnato il lavoro di stesura del Documento finale. Le ultime due riguarderanno le prossime tappe del cammino sinodale.
La prima sarà segnata dal Prendersi cura, e riguarderà il prossimo anno. Sarà il tempo in cui si sperimenteranno le proposte concepite nel sinodo e si verificheranno le qualità e i difetti delle stesse.
La quinta tappa, il tempo in cui il cammino sarà diventato autonomo e produrrà diversi risultati nella sua maturazione come il seme buono della parabola, corrisponde al quinto movimento: Lasciar andare.
I lavori sono stati divisi in quattro parti. Per ciascuna fase, la presidenza ha elaborato la traccia da seguire per i lavori nei gruppi sul territorio, aperti anche ai non sinodali. Un lavoro animato da un dibattito vero e vivace, che ha prodotto il documento finale, un Liber synodalis, diviso in settanta numeri i paragrafi e strutturato sui primi tre verbi del generare.
Le riforme concrete
Ecco alcuni degli elementi più visibili della riforma del sinodo.
1) La creazione della nuove Unità pastorali missionarie. Saranno gruppi di parrocchie territorialmente vicine e socialmente “omogenee” chiamate a collaborare, programmare e lavorare insieme. È l’elemento essenziale della riforma e la risposta del sinodo a diversi tipi di necessità. Da un lato, lo spopolarsi di alcuni piccoli centri e, contemporaneamente, il calo delle vocazioni, rendono sempre più difficile mantenere vive le piccole parrocchie. Dall’altro, è forte l’esigenza di non perdere la ricchezza di ciascuna comunità. Anche delle più piccole. Nelle Unità pastorali Missionarie le parrocchie non vengono soppresse, ma vengono chiamate a unirsi per “camminare insieme”. Così facendo si risponde anche alla vocazione alla comunione cui è chiamata la comunità.
2) L’istituzione di nuove figure di ministeri ecclesiali in un ottica di corresponsabilità. I laici non saranno più chiamati ad essere solo “collaboratori”, ma a condividere la responsabilità – ciascuno nei propri ruoli – con i presbiteri. I nuovi ministeri (ad esempio quello della carità o della catechesi), andranno in questo senso. Per accompagnare in questo percorso di corresponsabilità saranno attivati opportuni percorsi di formazione, non solo pastorale o teologica, ma anche al “sensus ecclesiae”, al senso di Chiesa e di “comunità”.
3) Unificazione dell’età per i sacramenti dell’iniziazione cristiana. La prima comunione per tutti a nove anni e la cresima a undici. Un segno concreto di condivisione dei cammini pastorali e del legame delle comunità con la Chiesa diocesana e col vescovo.
Documento del 21° sinodo diocesano
«Per il nostro sinodo, inizia il tempo del Prendersi cura. Avremo bisogno di due atteggiamenti armonici e convergenti: la capacità di chinarsi con passione e amore sulla storia delle persone e la coscienza che gli strumenti costruiti insieme siano un aiuto necessario, anche se insufficiente. Bisognerà anche evitare due estremi: quello di chi sogna idealisticamente chissà quali traguardi e cambiamenti, senza l’umiltà di chinarsi sulle situazioni concrete; e quello di chi resta ossessivamente legato al passato, al “si è sempre fatto così”». Così il vescovo Franco Brambilla nell’omelia della veglia di Pentecoste ha presentato alla diocesi il Documento finale del 21° sinodo diocesano.
Tre percorsi «su cui chiamo tutti alla riflessione e all’azione comune» per il vescovo: Le nuove Unità pastorali missionarie, la pastorale giovanile e la pastorale familiare.
Le Upm – scrive il vescovo – «devono diventare nei prossimi anni, con pazienza e tenacia, il motore della vita pastorale, dentro l’azione dello Spirito! Il vescovo e i suoi collaboratori dedicheranno il prossimo anno all’accompagnamento delle Upm andando a visitarle e ad accompagnarle una per una».
Sul tema dell’attenzione dei giovani, scrive il vescovo: «Se la società fatica a donare prospettive di vita rassicuranti, con il lavoro, la casa, la partecipazione civile, la comunità cristiana deve svecchiare i propri linguaggi, rendere sciolte le iniziative, uscire dal chiuso dei suoi recinti, per andare incontro ai giovani dove sono e sfidarli sulla cosa che più conta: costruire la propria identità futura, mostrando che la fede sia un vantaggio per raggiungere un’umanità piena».
Sulla famiglia, il vescovo, sottolinea una sorta di difficoltà della pastorale ordinaria delle nostre parrocchie: «Non vorrei sbagliarmi – anzi sarei contento di essere smentito –, ma vedo che la nostra pastorale diocesana fatica a mettere al centro la famiglia, mentre dalle famiglie viene un forte appello a considerare la loro vita come una grande risorsa della chiesa, non tanto per l’aiuto che essa può dare, ma perché la famiglia è il tessuto connettivo della comunità cristiana e della società, semplicemente essendo sempre meglio se stessa».
«Il nostro sinodo – prosegue il vescovo – ha speso parole importanti per la famiglia, ma ancora di più l’impulso che l’esortazione Amoris laetitia di papa Francesco porterà alla vita della chiesa, appare un punto di non ritorno. Fino a far dire, persino un po’ retoricamente, che dopo l’esortazione nulla nella chiesa sarà come prima. Ma avverrà così solo se alacremente la famiglia diventerà una scelta strategica della nostra pastorale».
E tra le famiglie, particolarmente a cuore di mons. Brambilla e del sinodo, sono quelle che vivono una ferita nei rapporti: «La nostra diocesi con le altre diocesi vicine sta costituendo un Centro interdiocesano per l’accoglienza dei fedeli separati, per accompagnarli in un vero cammino d’integrazione ecclesiale».
Upm, giovani e famiglie: tre nodi cruciali sullo sfondo dei quali c’è la nuova responsabilità cui saranno chiamati i laici. E su questo tema il vescovo conclude, con un augurio. «Oso sperare che, nel vivo del cammino di quest’anno, sorga anche il desiderio ardente di dare avvio al Seminario per e con i laici. È un’occasione importante che non si può bruciare con una falsa partenza, ma esige persone preparate, dedizione e passione, e soprattutto tenace pazienza».