Avevo già diciotto anni – o solo diciotto! – e un cespuglio di riccioli di cui ormai non c’è più traccia. Era il giorno di san Bernardo e fui portato all’Isola per dirimere una questione che mi sembrava, al momento, assai importante: farmi monaco o entrare in un seminario romano con le sue prospettive. Il vescovo desiderava e il parroco sognava che andassi a Roma, ma il mio giovane cuore resisteva.
Non riuscivo a decidermi e fratel Bernardo mi propose di andare a chiedere consiglio alla «Madre dell’Isola». Perché no? Mi trovai da solo dinanzi ad una figura che mi conquistò per la sua rara eleganza.
La domanda fu semplice dinanzi alla mia indecisione: «Sei stato a Mattutino? Cosa hai ascoltato nella lettura della memoria di san Bernardo?». «Amo quia amo, amo ut amem/Amo perché amo, Amo per amare!». «Ti piace questa frase?». A diciotto anni ci può essere una frase più esaltante di questa? Decisi: entrare in monastero.
Amo quia amo
Con Madre Anna Maria (24 aprile 1931 – 21 marzo 2019) non si poteva che decidere… e subito! Una donna già anziana da giovane quanto giovane da anziana; così minuta da sferrare la forza imperante che si trova nelle matriarche della tradizione biblica e monastica; un fuscello di salice con la tempra del ferro battuto! Davanti a lei non si poteva che decidere… e per sempre!
Ogni tentennamento o rimando avrebbe fatto arrossire di vergogna. Annunciai la mia decisione, hic et nunc, al mio futuro superiore che l’accolse in lacrime e col canto del Magnificat: finalmente un postulante per il monastero di monaci che non riuscirà mai a tenere testa all’effluvio delle decine di veli bianchi approdati all’isola sospinti dalla brezza del Cusio.
In alcuni momenti della mia vita mi sono chiesto se non decisi troppo in fretta. Mi sono chiesto se quel semplice «sì, eccomi!» senza un attimo di rimando, sia stato adeguato. Per anni, dalla mia cella monastica, ho goduto della vista sul lago che tiene sospeso il monastero sull’Isola come una luminosa conchiglia ricolma di misteri.
Quando questa vista mi fu tolta, mi chiesi se la mia era stata una vocazione vera, o la precipitazione di un diciottenne innamorato dei grandi ideali e in cerca di emozioni forti. Non ho mai risposto a questa domanda. Il «sì» di quel giorno è diventato storia! Non c’è bisogno di aggiungervi altro, se non la perseveranza di credere senza troppo pensarci.
La bara e la barchetta
Quando tutto mi crollò addosso, con la stessa velocità dell’attimo con cui avevo deciso di farmi monaco, non andai da «nessun altro» (Gal 1, 19) se non da Lei: avevo bisogno di conforto. Nessun commento su ciò mi stava capitando, ma una sola parola: «In ogni modo, MichaelDavide, tu appartieni al Signore, tutto».
Un compito ancora tutto da onorare! Mentre ieri sostavo accanto alla sua bara nuziale, l’ho ringraziata per aver dato una bella spinta perché la mia barchetta prendesse comunque il largo.
La mia prima uscita da postulante – di soli dieci giorni – fu la partecipazione alla celebrazione del decennale della fondazione del monastero Mater Ecclesiae presieduta da Mons. Aldo Del Monte, accanto al quale da oggi madre Anna Maria attenderà il Grande Giorno. Misurai subito la differenza tra la maestosa vita monastica che si conduceva all’Isola e il torrentello di montagna, con le sue impetuosità e tempi di secca, che sarebbe stata la mia ben più povera avventura di monaco.
Diversi sarebbero stati i cammini, ma un’intesa profonda, come un filo di porpora, non si sarebbe mai spezzata. Attestare che la protesta del monachesimo, come dice papa Francesco, «non è una realizzazione più perfetta del Vangelo ma, attuando le esigenze del battesimo, costituisce un’istanza di discernimento e convocazione a servizio di tutta la Chiesa: segno che indica un cammino, una ricerca, ricordando all’intero popolo di Dio il senso primo ed ultimo di ciò che esso vive»[1].
Questo ideale, affinato dalle intuizioni del Concilio, l’abbiamo perseguito in modo diverso. Per me è stata più costrizione che deliberata volontà. Pur nella diversità di realizzazione, sottilmente fustigata da Madre Anna Maria con la sua invitta eleganza, spero si tratti del medesimo desiderio di dare carne all’amore, narrandolo con l’alfabeto del Vangelo e la sintassi della tradizione monastica.
Il distacco è preferibile
La fiumana che è accorsa in queste ore per dare l’estremo saluto a Madre Anna Maria conferma ciò che diceva Gregorio Magno: «viva lectio est vita bonorum/la vita dei santi è una lectio vivente»[2]. La vita e la morte di Madre Anna Maria ci confermano che quanto si legge nella storia dei santi non sono favole o esagerazioni.
Che piaccia o meno, il vero potere è nelle mani e nel cuore dei santi[3]: il potere dell’amore che dolcemente costringe a farsi amare. È ciò che molti hanno sperimentato a contatto diretto o indiretto con Madre Anna Maria. Il suo è un dono incommensurabile che dà speranza: il mondo è nelle mani dei buoni. Il mondo è pieno di presenze, ma le persone esistono solo perché hanno incrociato il nostro cammino e lo hanno segnato: Madre Anna Maria ha incrociato e segnato la mia vita come quella di molti.
Quando una persona come Madre Anna Maria muore a torto ci si sente orfani. In realtà, il più grande dono che i santi fondatori e ispiratori ci fanno è quello di lasciarci… finalmente. Dopo averci guidato con le loro parole e i loro gesti, come l’unico Signore e Maestro (cfr Gv 16, 7), devono lasciarci a noi stessi.
Non per vivere nel rimpianto, ma per avere lo stesso loro coraggio e la medesima audacia nel tracciare sentieri di vita tanto antichi quanto sempre nuovi. È ciò che Gregorio Magno dice concludendo il racconto della vita di San Benedetto: «Se io non sottraggo il mio corpo al vostro sguardo, non posso mostrarvi cos’è l’amore dello Spirito; e fino a quando non cesserete di vedermi nella carne, voi non potrete imparare ad amarmi in modo spirituale»[4].
Da parte sua, così consiglia Meister Eckart: «È come se dicesse: “Voi avete troppa gioia nella mia presenza, e per questo motivo non potete ricevere la gioia perfetta dello Spirito”. (…) perciò il distacco è preferibile a tutto»[5].
La fiaccola che Madre Anna Maria ci passa come un testimone, dopo averla tenuta accesa nella sua vita, è quella di una fede sconfinata nell’amore. Un amore tanto più spirituale quanto più capace di lasciarsi incontrare, toccare, sentire come un profumo che fa rinvenire dallo stordimento della paura di dare interamente e fino in fondo la propria vita.
In quest’ora Madre Anna Maria riposa nella Basilica di san Giulio, in attesa della sua sepoltura, come una perla incastonata nell’aureo anello dell’isola. Molti accorrono per lasciarsi ancora una volta inebriare dalla luce divina che riflette perché come ricorda il libro dello Zohar: «I santi non muoiono, si sposano».
Dicono che un’ostrica non può creare dolorosamente una perla se non è ferita. Quale dolore ha ferito il cuore di Madre Anna Maria perché si trasformasse in una perla così preziosa e lucente? Questa donna compiuta ne sta dialogando amabilmente e allegramente nella sua ora nuziale col suo dolce Creatore, Sposo e Ardore.
E noi, e io, cosa ne sto facendo del dolore che mi attraversa perché si trasformi in una perla, meno preziosa e meno lucente, certo, eppure ugualmente unica?
25 Marzo 2019.
Fr. MichaelDavide,
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[1] Vultum Dei quaerere, 4.
[2] GREGORIO MAGNO, Commento morale a Giobbe, XXIV, 8, 16.
[3] Idem, Omelie su Ezechiele, I, V, 2
[4] Idem, Dialoghi, II, 38, 4.
[5] MEISTER ECKART, Opere tedesche, op. cit., p. 118